In una bella intervista del 2017 su cosa sia diventato il giornalismo, il direttore del Post Luca Sofri a un certo punto rispondeva: “i giornali sono prodotti commerciali […] che collocano le loro priorità in un punto variabile tra gli estremi della ricerca del profitto e la funzione di servizio pubblico.”
Per capire dove collocano le proprie priorità alcuni giornalisti italiani che fungono da commentatori della guerra russo-ucraina, è necessario analizzare su cosa hanno postato nei rispettivi social ieri due colleghi famosi. Rispondono ai nomi di Alessandro Gilioli (già vicedirettore de l’Espresso e oggi direttore di Radio Popolare) e Salvatore Cannavò (già vicedirettore de Liberazione e oggi vicedirettore de Il Fatto Quotidiano). Leggiamoli:
Come si può notare dalla foto, addirittura postata da Cannavò ma evidentemente non osservata, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, in visita in zona di guerra dal premier ucraino Zelensky, non indossa affatto “una maglietta militare mimetica”, ma una banale maglietta verde scuro su un pantalone nero. Anche come notisti di moda, Cannavò e Gilioli lasciano davvero a desiderare.
Come comprende chiunque tranne i nostri due colleghi, il look di Metsola risponde anzitutto alla necessità di indossare un vestiario funzionale a consentire spostamenti veloci a piedi in caso di necessità, come può accadere quando si va in zona di guerra. E’ supponibile, infatti, che sotto abbia un paio di scarpe da ginnastica e non delle Louboutin, anche se questo la foto non ce lo mostra. All’aperto, ci si può aspettare, che alla presidente venga anche fatto indossare un elmetto: così come prevede il protocollo per i politici che entrano in una zona di guerra.
Tuttavia, la foto in questione è scattata all’interno. E Metsola non indossa un elmetto. Come non indossa nemmeno la fantomatica “mimetica militare” vista da Gilioli e Cannavò, al fine di stigmatizzare la cosa in chiave di marketing e poter fare la loro squallida dietrologia. La realtà è che occuparsi di un immaginario look di Metsola è per Gilioli e Cannavò certamente meno impegnativo che non dover parlare dei crimini di guerra operati dai russi.
Dunque, le osservazioni che Gilioli e Cannavò fanno nei loro social diffondono una notizia platealmente falsa. Ma soprattutto ci dicono quale sia il livello di notiziabilità che Gilioli e Cannavò hanno in relazione alle notizie arrivate ieri dall’Ucraina. Si dirà: forse ieri non è accaduto nulla di rilevante in Ucraina, e questo elemento del look di Metsola meritava l’attenzione dei due illustri colleghi. Eppure ieri abbiamo saputo di una strage nella città di Bucha, con cadaveri di civili lasciati a marcire in mezzo alle strade, davanti a ogni abitazione.
E abbiamo saputo di fosse comuni per oltre 300 persone non in divisa militare. Abbiamo poi saputo di violenze sessuali contro donne civili da parte di soldati russi che le hanno costrette a rapporti orali sotto la minaccia di pistole puntate alle tempie.
Una delle cose positive della libertà di stampa è che ogni giornalista è libero di decidere quali siano le priorità da riportare in un articolo o nei propri social. Allo stesso modo, però, ogni lettore è libero di scegliere chi leggere e chi seguire per informarsi sull’andamento di una guerra. A ciascuno le sue priorità. A ciascuno il suo livello di deontologia, di dignità e di decenza.