Gli operai cinesi sottopagati da Piaggio

Gli operai cinesi sottopagati da Piaggio

È stato salutato come uno dei capitani coraggiosi, quelli che, muovendo da Mantova e Brescia, folgorarono Massimo D’Alema («apprezzo il coraggio di chi oggi manifesta l’intenzione di acquisire la Telecom»). È il padre di Matteo, attuale «responsabile per lo sviluppo industriale e la finanza d’impresa» del Pd. Ma è anche uno dei “patrioti” che ha salvato Alitalia, di cui è presidente. Tuttavia, visto da Foshan, città nella regione cinese del Guangdong dove la Piaggio nell’aprile 2004 ha fondato una joint venture con la locale Zongshen Industrial Group, il coraggio del capitano Roberto Colaninno viene percepito sotto un’altra luce. Come pure le sue parole su Marchionne: noi italiani, ha detto il presidente e amministratore delegato del gruppo di Pontedera, «dobbiamo abituarci a lavorare di più, i diritti vengono dopo il dovere, dobbiamo cominciare a pensare che gli altri sono meglio di noi».

A descrivere la situazione alla Zongshen Piaggio Motorcycle è una ricerca dell’Institute of contemporary observation, una Ong di Shenzhen che, su iniziativa di Fim-Cisl, dell’Iscos (Istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo, l’organizzazione non governativa fondata dalla Cisl nel 1983) e della stessa Ico, ha condotto una serie di indagini sulle condizioni di lavoro nel delta del Fiume delle Perle mettendo assieme un rapporto di circa 90 pagine. Nell’arco di tempo tra maggio 2009 e agosto 2010, il gruppo di ricerca di Ico, composto da dodici persone, ha condotto una serie di indagini su 279 lavoratori (237 dei quali di prima linea, ossia addetti alla produzione non specializzati) in un totale di sedici imprese situate principalmente in sei città: Canton, Shenzhen, Dongguan, Foshan, Huizhou e Jiangmen. Un campione di fabbriche che comprende, fra le altre, aziende come Fiat, Marelli, De’ Longhi e appunto la joint venture di Piaggio, e che, secondo gli autori, è «in grado di rappresentare sia le grandi aziende che le Pmi metalmeccaniche italiane presenti in zona».

Certo le condizioni di lavoro in Cina non sono facili per nessuno ma, si legge nel rapporto, «la maggior parte delle aziende coperte dall’indagine non rispettano né i principi degli standard internazionali del lavoro né le linee guida dell’Ocse» di cui l’Italia è parte. Ad esempio «molte delle aziende prese in considerazione garantiscono salari e welfare ben al di sotto degli standard minimi, impongono eccessivi orari di lavoro, violano la libertà di associazione, di contrattazione collettiva e persino le norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro».
Il caso della joint venture di Piaggio, di cui la casa italiana controlla il 45% (il 12,5% attraverso la controllata diretta Piaggio China), è quello che emerge con maggiore evidenza. Nello stabilimento i contratti in genere sono di durata biennale con inclusi tre mesi di periodo di prova ma, si legge nel report, «questo non è conforme alla legislazione cinese in vigore, infatti per i contratti di durata da uno a tre anni, il periodo di prova non dovrebbe eccedere i due mesi. Inoltre, ai lavoratori non viene consegnata una copia del contratto». La fabbrica, si legge ancora, applica un sistema di lavoro a cottimo. Ogni officina produttiva ha una determinata quota fissa da portare a termine. Se l’orario di lavoro ordinario non basta per raggiungere la quota, è necessario fare degli straordinari.
Ma è sui salari che la joint venture di Piaggio genera più mal di pancia. Dal primo maggio del 2010, la città di Foshan ha elevato gli standard salariali a 920 yuan al mese (103 euro). Tuttavia, «stando alle testimonianze dei lavoratori intervistati al momento della seconda indagine [il 19 maggio 2010, ndr], la fabbrica non ha ancora annunciato l’innalzamento del livello dei salari di base dei dipendenti» e quelli «dei lavoratori di prima linea sono ancora fermi a 770 yuan al mese», cifra pari a 86 euro che, sottolinea la ricerca, è «meno del salario minimo legale locale». Un rialzo delle buste paga sul quale pare che l’azienda avesse preso degli impegni: «stando a quello che hanno raccontato non pochi lavoratori, prima del capodanno lunare del 2010 [14 febbraio, ndr] la fabbrica aveva promesso un aumento dei salari, ma alla fine di maggio questa promessa non si era ancora mantenuta». Dai controlli eseguiti da Linkiesta non è stato tuttavia possibile capire se, da maggio a oggi, l’adeguamento salariale ci sia stato. Silenzio da Piaggio e da Zongshen Industrial Group mentre anche alla sede di Ico a Shenzhen non sanno cosa sia avvenuto da allora. Tuttavia una possibilità di guadagnare di più c’è: dal momento che la fabbrica calcola i compensi dei lavoratori delle officine produttive con il sistema del cottimo di gruppo, il salario dei lavoratori comuni può arrivare a 1300 yuan al mese, mentre quello dei tecnici può arrivare fino a 2.600 yuan (292 euro).

Altro punto dolente, secondo la ricerca, il sistema di trattenute sui compensi. Nel periodo di picco, il salario mensile dei lavoratori addetti alla produzione supera 2.000 yuan, ma «parte dei pagamenti per gli straordinari viene trattenuta fino alla stagione “morta”, quando gli straordinari sono poco numerosi. Questa – specifica il rapporto – è una forma di deposito sotto mentite spoglie».
Il capitolo dei permessi è in linea con il resto. Se si commette un errore nel montaggio di un prodotto e questo ha un difetto o qualche problema, l’azienda multa i lavoratori da 30 a 50 yuan. Ma soprattutto «se i lavoratori chiedono un permesso per malattia, viene loro detratto il salario del giorno stesso; se invece chiedono un permesso per questioni personali, viene detratto il 150% del salario di un giorno». Se poi i dipendenti non intendono fare degli straordinari, «questo viene considerato alla stregua di saltare il lavoro ingiustificatamente». Durante l’indagine del 19 maggio 2010, i ricercatori hanno visto che all’ingresso della fabbrica era affisso l’annuncio del licenziamento di sei operai del dipartimento della verniciatura.

La ragione addotta era che avevano saltato il lavoro senza giustificazioni per tre giorni, ma stando alle testimonianze di altri dipendenti, «in realtà questi lavoratori non erano soddisfatti del trattamento salariale e, visto che la fabbrica non aveva pagato i salari in base agli accordi presi in precedenza, avevano deciso di scioperare, prima di andarsene di loro spontanea volontà». Infine «non pochi lavoratori» hanno affermato che l’impianto «ha una storia di licenziamenti condotti con ogni tipo di pretesto» anche perché nello stabilimento «non vi è un sindacato o un comitato di lavoratori equivalente». Accuse che contrastano con le parole del manager mantovano che il 27 gennaio scorso ha definito il sindacato «un’istituzione fondamentale per le imprese» specificando che lui con la «Fiom non ha mai avuto alcun problema».
I dipendenti pagherebbero anche un prezzo in termini di condizioni mediche: «La salute dei lavoratori addetti alla verniciatura dei motocicli, i quali vengono a contatto con vernici per periodi piuttosto lunghi, ne risente, ma la fabbrica non organizza delle analisi mediche specifiche per loro».

Ultimo nodo, il welfare aziendale. L’azienda infatti, si legge ancora, «non paga la previdenza sociale a tutti i lavoratori in accordo alla legislazione sul lavoro in vigore. Stando all’indagine, l’impresa obbliga i tecnici a comprarsi a proprie spese un’assicurazione commerciale contro gli infortuni personali, i lavoratori devono pagare 50 yuan al mese, mentre i contributi agli altri fondi previdenziali richiesti dallo Stato in genere vengono pagati autonomamente dai lavoratori nel caso in cui lo desiderino. Nel caso di infortunio sul posto di lavoro, la fabbrica paga un risarcimento, ma non è chiaro quali siano le modalità».
Da Pontedera non è stato possibile avere alcun commento ufficiale. La gestione dell’azienda è appannaggio del socio cinese, viene fatto notare, e la joint venture è contabilizzata nel bilancio consolidato non integralmente ma secondo il metodo del patrimonio netto. Tuttavia Pontedera ha un codice etico che, all’articolo 12, afferma che a rispettarlo devono essere gli organi sociali, il management e i prestatori di lavoro e «tutti i collaboratori esterni, quali consulenti, agenti, fornitori, ecc.». Non solo. Ma Piaggio «si impegna a mantenere, aggiornare ed eventualmente integrare procedure, regolamenti o istruzioni idonei a garantire che i comportamenti dei propri organi sociali, dirigenti, dipendenti e collaboratori siano rispettosi dei valori qui affermati, prevedendo appositi sistemi sanzionatori per le eventuali violazioni».
E cosa dice il codice etico? All’articolo 6 afferma che «la società tutela la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro e ritiene fondamentale, nello svolgimento dell’attività economica il rispetto dei diritti dei lavoratori. La gestione dei rapporti di lavoro è indirizzata a garantire pari opportunità e a favorire la crescita professionale di ciascuno». Forse è arrivato il momento che il capitano coraggioso ricordi al socio cinese che i diritti verranno anche dopo il dovere ma prima o poi devono venire.

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