Ciao bunga bunga, è Mr. Playboy l’architetto del piacere

Ciao bunga bunga, è Mr. Playboy l’architetto del piacere

Passano gli anni per Hugh Hefner ma il fondatore di Playboy continua a farsi immortalare in una posa tradizionale: sorridente in pigiama di seta e vestaglia corta di velluto, circondato da conigliette bionde e sempre a bordo piscina. Mai però al di fuori della Playboy Mansion di Los Angeles. Secondo i biografi Hefner ha vissuto per oltre 40 anni da felice recluso nelle sue case, salvo spostarsi eccezionalmente a bordo del suo jet Big Bunny, un DC9 fornito di posta da ballo, letto ellittico e terme romane. Qualcuno lo ha definito “un uomo d’interni”, ma Hefner per primo si è sempre visto come un architetto pop per scapoli in cerca di una isola felice del sesso, di un utopistico regno casalingo del piacere. E alla costruzione di un parco di attrazioni sessuali domestiche, di una Disneyland per adulti dove un uomo “può invecchiare insieme a un gruppo costantemente rinnovato di giovinette in bikini”, ha dedicato molto del suo tempo. Una Pornotopia che la filosofa spagnola Beatriz Preciado racconta in un libro edito da Fandango (“Pornotopia. Playboy: architettura e sessualità”, pp. 237, euro 16,50) e che è stata sempre parte integrante della rivista: “Niente studio o effetti speciali, Playboy è una rivista d’interni per l’uomo urbano e le playmates devono dare la stessa impressione” è il protocollo di Hefner destinato alla sua principale assistente, la fotografa Bunny Yager. 

A gennaio Hefner ha dichiarato su Twitter che Playboy sbarcherà a breve su iPad con l’intero catalogo (nessuna applicazione per iPhone in vista, resta valido il blocco imposto ai contenuti porno da parte di Steve Jobs). In attesa di ammirare l’estetica di Hefner sul tablet ci si può accontentare del racconto della Preciado.
Più che a un rude cowboy, cacciatore di prede nei grandi spazi americani, per i suoi lettori Hefner si è ispirato al modello contemporaneo da guerra fredda, alla spia alla James Bond, l’uomo che per ogni evenienza deve avere tutto a disposizione. A questo 007 del sesso Hefner ha cercato di dare una casa, consigliandolo con editoriali, servizi di design e reportage d’architettura che hanno influenzato l’immaginario di appartamenti, pied-à-terre, motel, alberghi e locali. Per Hefner bisognava disegnare uno spazio radicalmente opposto all’habitat naturale della famiglia americana, invitare gli uomini a rinchiudersi dentro l’attico autarchico e felice dello scapolo o del neodivorziato, ricostruito secondo i dettami del coniglio giocherellone, vestito di smoking: «L’uomo chiede gridando una casa per sé, non sogna un angolo in cui appendere il cappello bensì un luogo che sa che gli appartiene». Una manna per i single. La Preciado sottolinea: «Lo scapolo urbano poteva finalmente evitare il sospetto di essere omosessuale anche se non si adattava alle norme familiari».

Sul finire degli anni 50 Playboy raggiunge lo storico traguardo del milione di copie vendute. Nel 1956 esce il primo reportage d’interni. L’uomo simbolo è Victor Lownes, socio di Hefner, neo divorziato. Aveva tutto ma era insoddisfatto, cercava solo un posto per consumare amori extraconiugali. Uscì per comprare le sigarette, e non tornò più dalla sua famiglia. Ritrovò l’allegria nel suo piccolo castello da scapolo, una reggia intima “simile a una sala da ballo”. Un posto dove giocarsi l’autonomia e la mascolinità. Per esempio, la cucina c’è ma non si vede, perché la donna non se ne deve impadronire. Compare invece il letto girevole che incorpora telefono, radio bar e comodino, un must per Hefner. Poi nel 1959 arriva il reportage illustrato sulla casa a Miami di Hardol Chaskin, altro amico di Hefner. Le piastrelle sono ovunque: in bagno, terrazza, solarium e piscina. Una superficie omogenea che trasforma tutto in un interno climatizzato. Al centro c’è una piscina con il tetto retrattile e pareti trasparenti dove gli ospiti possono osservare i corpi nudi che nuotano. È il trionfo del peep show casalingo.

Ma non basta perché poi bisogna passare all’azione. Ecco allora sofà reclinabili, bar girevoli, sedie comode per accontentare l’ozio e il lavoro, tende trasparenti, elementi che ristrutturano in continuazione lo spazio. Tutto per sedurre e non perdere tempo, come spiega Hefner: «Uno degli armadi pensili di Knoll collocati sotto le finestra contiene un bar. Così si evita il rischio che sfumi il momento giusto». Pure i telefoni hanno un silenziatore e una segreteria telefonica.

Ma anche il re vuole la sua reggia e nel 1959 Hefner inizia la costruzione del suo attico privato. Milleottocento mq a Chicago, tre milioni di dollari di spesa di ristrutturazione, più dell’intero immobile. Nello stesso anno una emittente locale chiede il permesso di girare il primo reality americano, con Hefner conduttore. “Playboys Penthouse” andrà in onda per 26 settimane. La troupe trova tutto già pronto. La Mansion di Hefner è un bordello multimediale a dimensione domestica, un harem glamour ermeticamente chiuso, filmato per mezzo di un circuito interno, perfetto scenario di un reality in cui un uomo sposato (Hefner si sposerà diverse volte) vive con un gruppo di più di trenta donne, tutte candidate a diventare playmates”. Un teatro sexy pronto per essere rivenduto ai lettori di Playboy, un modello importato in tutto il mondo. 

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