Insomma, uno che ha fatto studi regolari, magari anche buoni studi, o che al contrario ha studiato poco e niente, ma è riuscito comunque a praticare un’idea dignitosa di convivenza civile, oggi voterebbe Lega con legittimo orgoglio, o piuttosto, per giustificare la sua scelta, si affiderebbe a quella scorciatoia intellettuale secondo cui il mercato delle opzioni politiche è così scarso, che l’unico modo per sentirsi rappresentati è premiare chi è «presente sul territorio»?
C’è un punto distintivo assolutamente vincente nell’assunto padano, che sul piano inclinato della comunicazione si fa un baffo di tutti i paraguru nostrani: l’incrollabile certezza che il tuo consigliere, il tuo deputato, il tuo senatore leghista di riferimento si sta battendo per te. E che nella cittadina dove vivi, lo potrai incrociare nel tuo stesso bar, in coda al supermercato, al campo di calcio dove la prima squadra gioca in promozione.
Converrete che per un Paese provinciale come il nostro, l’apoteosi della provincialità costruita così sapientemente dai leghisti è un bonus che teoricamente non ha prezzo. Nell’immaginario di noi ex-giovani ragazzi, nell’immaginario soprattutto di molti nordisti, la distanza che ci separava da Roma, e da ciò che Roma rappresentava, – i Palazzi, la fogna politica, l’impressione di non contare mai nelle decisioni e molto altro – ha costituito nel tempo un fardello insopportabile, che in epoche diverse ha avuto esiti molto diversi: c’è una radice comune – non è sacrilego pensarlo – tra i movimenti politici e studenteschi di tempi lontani e quel movimento leghista che si creò all’inizio degli anni ’90. Abbattere Roma (per poi conviverci) è stato un programma comune.
Tornando all’oggi si può dire che molta della comunicazione padana è letteralmente fuffa, che la cosiddetta vicinanza leghista si è trasformata in una mistica visione della vita sociale, opportunamente illustrata da migliaia di venditori porta a porta. E se dobbiamo proprio parlare di territorio, si può dire semmai che Bossi & C. hanno mutuato alla perfezione la lezione comunista delle storiche terre comuniste, in cui il rapporto con il cittadino-elettore costituiva uno degli elementi fondativi. Se vogliamo aggiungere che in tempi moderni il Partito Democratico non fa ciò che di buono un tempo faceva il vecchio Pci, il cerchio allora si potrebbe anche chiudere.
Ma c’è un altro aspetto non proprio trascurabile del procedere padano e che riguarda principalmente il possibile, nuovo elettore. Come dovrebbe convivere con l’intolleranza leghista, quando affiora in superficie e rende inconciliabile ogni mediazione: far finta di nulla con un’imbarazzata alzatina di spalle, raccontarsi che in fondo il ceppo è buono e democratico, pensare – in ultima analisi – che la difesa delle nostre prerogative (di noi italiani/padani) è primaria rispetto a qualunque altro diritto?
Su questo problema, cercasi intellettuali in grado di definire appieno la questione, ammesso che poi sia morale. Per il momento, pervenuti esclusivamente singulti etici che non fanno un pensiero definito e indignazioni di sinistra più o meno interessate. Giusto per ricordarlo ai lettori: avreste apprezzato (e votato) Borghezio nell’atto di pulire con il disinfettante i sedili di una carrozza ferroviaria, dove si erano sedute alcune ragazze nigeriane?
Molto del merito e del consenso leghista altro non è che il frutto dell’altrui assenza, sfruttata abilmente dal genio di Bossi. C’è un calore non peloso nella vicinanza “verde”, molto al di là della concretezza degli argomenti politici, quella testimonianza “fisica”, persino affettuosa, che, in totale mancanza di ideali, rappresenta una calda coperta (padana) di Linus con cui riscaldarsi.