La fine di Blockbuster è la fine degli anni ’90

La fine di Blockbuster è la fine degli anni ’90

Continua l’agonia finanziaria di Blockbuster. La più celebre società di videonoleggio, in amministrazione controllata dallo scorso settembre, è sul punto di passare in mano coreana. SK Telecom, la principale compagnia telefonica della Corea del Sud, ha pronta un’offerta per gli americani. Tuttavia, la maggior parte degli analisti sta sconsigliando l’operazione. Troppi i rischi per un business ormai sorpassato. E non sarebbe la prima volta che la tecnologia corre più veloce degli investitori.

Un nuovo capitolo si è aperto per la società texana di Dallas, passata in pochi anni da leader di mercato a simbolo di un prodotto che non c’è più, la videocassetta. E non che il dvd, naturale sostituto del vhs, stia tanto bene. Per Blockbuster è pronta un’offerta da quasi 300 milioni di dollari. Nel settembre 2010 per l’ex regina del videonoleggio è arrivata l’iscrizione al Chapter 11 dello US bankruptcy code, il codice fallimentare statunitense. E con essa è giunto lo smembramento, unito alla ristrutturazione delle attività. Ora il tentativo è quello di evitare la bancarotta vera e propria. Blockbuster è stata quindi messa all’asta. SK Telecom si è fatta avanti, ma non mancano le critiche. Da un lato troviamo un gruppo sano, dall’altro uno in completo deterioramento. Eppure non è quello il problema.

L’ostacolo maggiore, secondo gli analisti, è il core business di Blockbuster. Questo è troppo focalizzato su un servizio, il videonoleggio, che è stato soppiantato dalla tecnologia. SK Telecom, fa notare anche il Wall Street Journal, non dovrebbe prendere Blockbuster per il semplice fatto che non ha più mercato, né possibilità di riadattarsi senza ingenti spese per gli investimenti. Quattro i colpevoli: NetFlix, il peer-to-peer (P2P), iTunes e i siti come Megavideo. Il primo ha dato il colpo iniziale a Blockbuster. Perché muoversi da casa per andare a prendere un film in uno dei 6.500 negozi Blockbuster quando puoi avere lo stesso risultato stando a casa? Con NetFlix, nato nel 1997, si può ordinare un dvd via internet e dopo poco questo ti arriverà a casa, grazie alle poste statunitensi. Per rimandarlo alla sede? Sempre via posta. Semplice, redditizio, comodo: il successo di NetFlix è stato immediato. E la società ha saputo innovarsi con lo sviluppo del web, tramite la sezione streaming ad abbonamento.

Simile è il secondo colpevole della fine di Blockbuster, il P2P, cioè la condivisione di file fra internauti. Anche in questo caso, come per NetFlix, perché pagare per il noleggio di un video quando era possibile ottenere lo stesso a costo zero, comodamente seduti da casa? Certo, esiste il problema della legalità, ma questo ha poco inciso sull’espansione di questo strumento, che ancora adesso è in voga nonostante il giro di vite sulla pirateria.

C’è poi Apple, il terzo assassino. Con iTunes, Steve Jobs ha visto lungo, lunghissimo. Da prodotto di gestione delle librerie musicali, iTunes è diventato un vero e proprio portale. Dalle canzoni alle lezioni di management di Harvard, passando per video, apps e film, Apple è riuscita a togliere quote di mercato a Blockbuster grazie al suo tipico fare accentratore.

Oltre a Cupertino, a uccidere la società di Dallas sono stati i siti di video-sharing come Megaupload e Megavideo. Gli utenti caricano un filmato, senza limitazioni temporali come per YouTube, e tutti gli iscritti ai questi siti possono vederlo (o scaricarlo) anche in alta definizione. E dato che buona parte delle moderne tv hanno hard disk e predisposizione per il collegamento internet, è facile scaricare un film dalla rete e vederselo comodamente sulla tv in salotto. Infine, ci sono gli ibridi, come GoogleTV, Apple tv, Cubovision di Telecom, TvBox di Tiscali e l’ultimissimo nato, Boxee Box di Microsoft. Sono tutti strumenti che servono da collegamento per televisioni e web, capaci di rendere attivo un soggetto storicamente passivo come il televisore.

La fine di Blockbuster, cioè di vhs e dvd, sancisce la fine degli anni Novanta. Ma, sicuramente, anche gli attuali strumenti sono destinati ad essere soppiantati nel giro di pochi anni. Basti pensare alle musicassette, ai compact disc, ma in realtà a qualsiasi supporto fisico per file e documenti. Se pensiamo alle pendrive, le pennette di archiviazione usb, queste stanno già declinando nei confronti dell’avanzata del cloud computing. Nei server virtuali, online, cioè nella nuvola del web, è possibile archiviare qualsiasi file senza aver la paura di perdere la pennetta fra uffici vari e casa. Oltre a questo, pensiamo anche ai telefonini. Sono sempre di meno quelli con tastiera fisica, ora superata dagli schermi touchscreen. E se perfino Research in motion (Rim), la mamma dei BlackBerry, nella prossima generazione di smartphone ha deciso di introdurre il touch (seppur unita alla tastiera reale) sul proprio modello di punta, il cambio di passo è segnato.

Un settore che invece è più lento della tecnologia esistente è quello della stampa in Italia. La carta tira ancora e sono ancora troppo pochi gli esempi di quotidiani esclusivamente online. Il tutto mentre nel resto del mondo nascono iniziative editoriali multimediali legate all’evoluzione tecnologica. Basti pensare ai tablet e alla rivoluzione che hanno creato. Solo l’Italia è dietro. Molteplici le colpe, unica la speranza, riguardante anche Linkiesta: che il progresso faccia il suo corso.