Linkedin a Wall Street: vuol far soldi coi vostri cv

Linkedin a Wall Street: vuol far soldi coi vostri cv

I responsabili delle risorse umane di mezzo mondo applaudono. Linkedin, il social network dei professionisti, come ormai viene definito su entrambe le sponde dell’Atlantico, è sbarcato oggi a Wall Street. Questa notte, a New York, inizieranno le contrattazioni sul prezzo definitivo prima dell’effettiva quotazione, attesa giovedì mattina (primo pomeriggio ora italiana). Piccola curiosità: l’Ipo non avverrà sul Nasdaq, il paniere americano dei titoli tecnologici. Un po’ perché i movimenti del listino sono strettamente correlati all’andamento di Apple, che da sola vale il 20% dell’ex società presieduta da Bernie Madoff, un po’ per motivi di prestigio.

Con una mossa a sorpresa, ieri Linkedin ha rivelato di aver alzato del 30% il prezzo di acquisto delle 7,84 milioni di azioni offerte, da 32-35 dollari a 42-45, che consentirà alla creatura di Reid Hoffman, il poliedrico fondatore ex studente a Stanford, di raccogliere 405 milioni di dollari di capitali freschi. Il prezzo delle azioni deriva da una valutazione della società pari a 4,25 miliardi di dollari, che implica un multiplo di 11,3 volte il fatturato stimato al 2011, e 258 volte gli utili del 2010. Un multiplo inferiore a Facebook, 13,8 volte il fatturato, ma più di Saleforce, 8,3 volte, quest’ultima ritenuta dagli analisti più simile alla web company di Mountain View, la stessa cittadina californiana che ospita il quartier generale di Google. Se da un lato, come ha scritto questa mattina il Wall Street Journal, la quotazione di Linkedin è vista come un test per tutte le altre compagnie online che stanno pensando alla quotazione, ovvero i big four Facebook, Twitter, Groupon e Zynga, dall’altro non mancano le critiche sul prezzo iniziale, che rischia di sgonfiarsi fin da subito. 

«Ritengo che 45 dollari per azione in questa fase del loro sviluppo aziendale sia un livello decisamente caro», spiega a Linkiesta Eric Jackson, fondatore del fondo hedge Ironfire Capital, che ha già investito in Yahoo! e Renren. «Sarebbe stato un investimento più interessante se le azioni fossero state disponibili a 20-25 dollari», chiosa Jackson. 

Seppure siano di natura strettamente finanziaria, queste considerazioni aiutano a capire il nocciolo della questione: il modello di business di Linkedin, per ora, non è vincente. Secondo un documento della Sec, i ricavi del gioiellino fondato nel 2003 da Hoffman sono più che raddoppiati nel 2010 rispetto al 2009, ma al contempo le spese per il marketing e la promozione sono cresciute del 120 per cento. Non solo: a differenza di Google e Facebook, Linkedin non guadagna con la pubblicità online, nonostante una potenza di fuoco da 100 milioni di iscritti nel mondo. A differenza del social network di Marc Zuckerberg, Linkedin è utilizzato come primo passo per contattare persone con cui fare affari. Una teoria dimostrata dalla proliferazione di mini Linkedin georeferenziati, come MilanIn, che riunisce la comunità finanziaria e del marketing internettiano meneghino. A livello globale, il 56% dei ricavi netti del sito di networking professionale è composto dalla vendita di strumenti per il reclutamento del personale, un segmento remunerativo ma fortemente concorrenziale, basti pensare ai siti specializzati in particolari settori lavorativi o ai colossi dell’interinale, che si stanno fortemente riposizionando sul web. 

Più appetitoso, in particolare per le grosse società – come Siemens, paghino regolarmente il social network per poter surfare tra i profili professionali degli iscritti e cercare così talenti da assumere – utilizzare il social network come database. Il tutto, sia chiaro, rispettando il protocollo Usa sul trattamento dei dati personali. Per gli utenti, i servizi premium, che costano dai 20 ai 100 dollari al mese (e vanno dalla possibilità di essere “presentati” a potenziali interlocutori alla personalizzazione delle ricerche di lavoro, alla profilazione di chi ha visto il proprio profilo) non hanno molta presa. Sottolinea ancora Jackson: «La maggioranza dei navigatori non vuole pagare per utilizzare il servizio offerto da Linkedin. Credo perciò che dovranno spostarsi su altre linee di business, ma sempre correlate al loro prodotto principale». 

Secondo una teoria fatta propria dal Financial Times, lavera gallina dalle uova d’oro di Linkedin non sta nei profili delle persone, come per Facebook, ma delle aziende. Su Linkedin ci sono oltre 160mila società e un motore di ricerca ad hoc, che abbina i risultati alla storia professionale delle persone che condividono la stessa rete dell’utente, come un vestito su misura. Un vantaggio in termini di tempo tanto per chi cerca lavoro quanto per chi cerca alleanze. Il ritorno dell’appetito al rischio sul mercato americano potrebbe infatti favorire, come è accaduto per Twitter – una costante dei nuovi media – un utilizzo diverso dalle intenzioni dei fondatori. Ovvero, capire la salute finanziaria delle compagnie, partendo dalle connessioni dei loro lavoratori, in ottica di nuove fusioni e acquisizioni.