Come si può leggere sulla bacheca di uno dei tanti gruppi che in queste ore stanno nascendo su Facebook, «Non si sa ancora cosa sia, ma si sa che è pacifica, è nata su Twitter come le rivoluzioni arabe e non intende fermarsi». È l’italian revolution (#italianrevolution è l’hashtag su Twitter) che questa sera sbarca nelle principali piazze italiane, da Padova a Palermo, da Milano a Bologna, e ieri sera è andato in scena a Firenze. L’idea è quella di diffondere la spanish revolution, che da giorni sta impazzando in molte città della penisola iberica. Organizzata dal gruppo M-15, sigla che sta per «15 maggio», giorno in cui vari gruppi studenteschi si sono ritrovati, «spontaneamente» a quanto dicono loro, nella centralissima Plaza del Sol a Madrid, essenzialmente per protestare contro la disoccupazione – il 44% dei 20enni è senza lavoro (il tasso globale è del 21%, cioè 5 milioni di disoccupati) – la mancanza di riforme e per recitare il consueto mantra «noi la crisi non la paghiamo». Un evento inaspettato per le autorità spagnole, alla vigilia delle elezioni amministrative di questo weekend.
Il sito web da cui è partita l’organizzazione del movimento si chiama Democracia Real Ya!, e recita uno slogan piuttosto eloquente: «non siamo merce nelle mani di politici e banchieri». Provando a fare un paragone, il modello della primavera spagnola sembra più vicino al qualunquismo che al ’68. Madrid, insomma, non pare la versione vintage della Parigi anni ’70. Lo si evince dal manifesto, che recita: «Siamo gente comune, che si alza ogni mattina per studiare, lavorare o trovare lavoro, persone con famiglia e amici, che lavorano duramente ogni giorno per vivere e dare un futuro migliore a chi le circonda. Alcuni di noi sono progressisti, altri conservatori. Alcuni credenti, altri no, ma siamo tutti indignati dalla situazione politica, economica e sociale che vediamo intorno a noi».
Sebbene non esista un programma vero e proprio, inteso nel senso politico del termine, ci sono però otto punti dolenti la cui riforma rappresenta il vero obiettivo di Democrazia real ya. Alcuni pensati “di pancia”, altri “di testa”: al primo insieme appartiene lo stop ai privilegi della classe politica, la cancellazione delle ipoteche sulle case, la riduzione della spesa militare, il divieto di salvataggio delle banche in difficoltà con capitali pubblici, la gratuità della formazione universitaria, la rappresentanza in Parlamento per chi fa “scheda bianca” alle elezioni, in un ipotetico partito dello scontento. Al secondo la concertazione sindacale per ridurre la disoccupazione strutturale entro un fisiologico 5%, la Tobin tax, dal referendum obbligatorio per approvare le leggi comunitarie, l’indipendenza della magistratura, la lotta ai paradisi fiscali. Sebbene molti temi siano dei grandi classici dei partiti di sinistra, la protesta non è partitica. E nemmeno autorizzata.
Come testimoniano i numerosi video che circolano su Youtube, ciò ha creato un problema di ordine pubblico non da poco, visto che la manifestazione, nella sola Madrid, ha coinvolto oltre 50mila persone. Una sentenza del 2008 del Tar andaluso, cui si sono appellate numerose amministrazioni locali in questi giorni, vietava le manifestazioni che potessero influenzare il voto alla vigilia della tornata elettorale. Una misura poi annullata dalla Corte costituzionale spagnola nel 2010, spiega oggi El Paìs, nei casi in cui sia «remota» la capacità di influire sull’elettorato. In queste ore, rivela il quotidiano, la Commissione elettorale è riunita a Madrid per decidere se i ragazzi del 15 maggio rappresentino una minaccia tale da indurre i cittadini all’astensionismo. L’appuntamento con le urne, questo fine settimana, è importante: si vota in 8mila comuni e per il rinnovo di 13 presidenti di Regione su un totale di 17. La decisione arriverà in serata, ma a giudicare dal tam tam sui social network la determinazione del movimento non sembra per nulla scalfita da alcun timore reverenziali di sorta.
Intanto, in Italia, pochi volenterosi tentano di propagare il contagio dell’onda rivoluzionaria, esattamente come in Medio Oriente. Al momento in cui scriviamo, su Facebook il gruppo “Italian revolution – Democrazia reale ora” conta 5900 fan, quello di Milano 164, a Roma 20, a Trieste 7. Per ora, ma con riserva – le dinamiche del web sociale, ça va sans dire, regalano sempre tassi di crescita imprevedibili – i numeri appaiono decisamente modesti, per non dire insignificanti. Navigando nella blogosfera italiana la rivoluzione non trova molte menzioni, mentre il Popolo viola le dedica solo qualche riga di un post. Insomma, l’onda italiana, forse perchè non ha un manifesto né un programma, sembra importare davvero solo a qualche fanatico del marketing 2.0.