Con la firma avvenuta ieri del contratto di cessione alla cordata Cin (Compagnia italiana di navigazione) si è conclusa, dopo due anni e mezzo, la procedura di privatizzazione dell’ormai ex compagnia marittima di bandiera Tirrenia. Il contratto, secondo una nota di Cin, prevede «l’acquisto del marchio Tirrenia, di 18 navi e delle linee attraverso la convenzione che verrà stipulata con il ministero dei Trasporti» (di cui esiste già una bozza, citata in vari documenti dell’amministrazione straordinaria della compagnia e mai resa pubblica, ndr).
Confermati il prezzo: 380 milioni di euro, 200 cash più 3 tranche condizionate al versamento delle sovvenzioni pubbliche previste per i prossimi 8 anni, la «formula Alitalia» e il piano industriale anticipati da Linkiesta ma «il passaggio di Tirrenia a Cin rimane condizionato all’ottenimento del via libera antitrust da parte della Commissione Europea e interverrà definitivamente solo in tale data». Oltre all’europlacet, le incognite maggiori restano la trattativa coi sindacati per la ridefinizione dei contratti e la (tardiva) minaccia della Regione Sardegna di impugnare la legge sulla privatizzazione se non sarà accolta la richiesta di un suo ingresso (al 25%) nel capitale di Cin con una sorta di golden share che le attribuisca, a statuto, particolari diritti amministrativi a tutela – è la tesi della Regione – della continuità territoriale.
In attesa di questi passaggi vale la pena ripercorrere i momenti salienti di una privatizzazione ingarbugliata, caratterizzata da scarsa trasparenza e da molti interrogativi ancora aperti, che solo parziale risposta (anche a causa dei numerosissimi omissis) trovano nei documenti resi noti dall’amministrazione straordinaria della compagnia. Occorre innanzitutto spiegare che alla scelta di privatizzare Tirrenia si è arrivati per l’incompatibilità con la normativa europea del sistema italiano a garanzia della continuità territoriale. Il ventennale meccanismo convenzionale italiano, scaduto il 31/12/2008 e prorogato alla conclusione della privatizzazione (con conseguente apertura di procedura di infrazione da parte della Commissione Europea), prevede che la compagnia di Stato effettui quelle tratte che il privato non avrebbe convenienza ad operare e che applichi tariffe tali da garantire la continuità territoriale.
Lo Stato in cambio si impegna a ripianare il gap fra costi e ricavi di una simile gestione, quale che sia l’importo. Così distorcendo il mercato, perché Tirrenia può permettersi per anni qualunque inefficienza gestionale e l’applicazione di tariffe sottocosto anche sulle rotte soggette a competizione.
Scaduta la convenzione, l’attuale esecutivo preferisce vendere la compagnia (controllata dal Ministero dell’Economia attraverso Fintecna), piuttosto che – come caldeggiato anche a Bruxelles – mettere a gara le sovvenzioni riconosciute ai singoli servizi e magari mantenere la proprietà di Tirrenia. Scelta scaturita dalla considerazione che, in un mercato così liberalizzato, Tirrenia, gravata dal passivo di decenni di gestione allegra e da contratti col personale diversi (e per essa sfavorevoli) da quelli applicati dai privati, fallirebbe presto. La strada intrapresa è accompagnata dalla proroga delle convenzioni, dallo scorporo delle controllate regionali di Tirrenia e dalla definizione di nuove convenzioni: a garanzia della continuità territoriale Tirrenia riceverà 72,6 milioni di euro annui per 8 anni, mentre le regionali beneficeranno di sovvenzioni per 12 anni.
Il primo tentativo di vendita fallisce però nell’agosto 2010 a causa del mancato accordo contrattuale fra Fintecna e la newco Mediterranea Holding, unica offerente (circa 25 milioni l’offerta). Il bando infatti spaventa tutti gli interessati. Contrariamente alle altre regioni competenti, la Sicilia ha rifiutato il conferimento della sua regionale (Siremar), che viene accollata alla compagnia madre, inficiandone l’appetibilità, già compromessa dall’incredibile passivo. Quando la compagnia domanda e ottiene l’amministrazione straordinaria, dopo la gara, l’esposizione debitoria di Tirrenia è di 701 milioni di euro e quella di Siremar di 78,1 milioni. A questo punto il neocommissario straordinario Giancarlo D’Andrea, che rimpiazza Franco Pecorini (da 25 anni al timone di Tirrenia), pubblica bandi distinti per Tirrenia e Siremar. Non si parla più di «intero complesso aziendale», bensì di «ramo di azienda di Tirrenia», e si fa strada l’ipotesi, ancora oggi non chiarita, della creazione di una bad company stile Alitalia cui accollare il passivo della compagnia.
Ipotesi avallata dalla perizia affidata a Banca Profilo, che valuta Tirrenia 380 milioni (non considerando evidentemente i debiti) e Siremar 55. Di certo c’è lo stato passivo da 620 milioni di euro e 1700 iscritti (dipendenti, fornitori, banche, consulenti e Fintecna stessa), mentre dal bando sono esclusi immobili, opere d’arte, una nave desueta e i 6 famosi traghetti veloci, ordinati negli anni novanta alla Fincantieri zoppicante per circa 500 miliardi di lire e quasi mai usati perché troppo onerosi come consumi. Una commessa così sballata che D’Andrea le dedica addirittura un capitolo della «relazione sulle cause di insolvenza». Da settembre in poi si prosegue fra manifestazioni di interesse, due diligence e data room, all’insegna di mancanza di pubblicità e gran confusione, fino a quando, in primavera, si delinea l’unica offerta ricevibile: 200 milioni, suscettibili di diventare i 380 (ritenuti il minimo accettabile), in tre rate vincolate all’ottenimento dei 72,6 milioni annui di sovvenzione (su cui pende ancora il giudizio della Commissione Europea che potrebbe giudicarle illegittime).
A presentarla è la newco Cin formata da tre big dell’armamento italiano: Gianluigi Aponte (Msc e Snav), Manuel Grimaldi (Grimaldi Napoli) e Vincenzo Onorato (Moby). Un insieme che, considerato che Aponte ha da poco comprato il 50% di Grandi Navi Veloci assumendone il controllo, occupa nel complesso una posizione rilevante nel Tirreno, in particolare nei servizi con la Sardegna (l’unico player fuori dalla cordata è Corsica Ferries). Ma, quando a novembre la newco si palesa come favorita, nessuno solleva problemi di concentrazione di mercato e solo a cose praticamente fatte (il 15 giugno scorso) l’Antitrust si accorge di non essere competente e passa la palla a Bruxelles. D’altro canto anche sull’altra cordata in gara, protagonista pure nel primo bando, nessuno ha avuto da eccepire malgrado Mediterranea Holding, guidata dall’armatore Salvatore Lauro (gruppo Lauro, ex senatore Pdl), vanti come socio di riferimento la Regione Siciliana, prefigurando quindi l’ipotesi che una privatizzazione finisca con il passaggio ad una Regione.
Un’assurdità non solo semantica, perché, in caso di perdite, l’eventuale ripiano configurerebbe una sovvenzione pubblica indebita identica a quelle stigmatizzate per anni dall’Europa. Partiamo proprio dalla Sicilia per vedere cosa è stato delle compagnie locali. Per Siremar, rifiutata dalla Regione, finita in amministrazione straordinaria e messa in vendita, D’Andrea, dopo una procedura ancor più opaca di quella Tirrenia, ha ricevuto a fine maggio le offerte di Compagnia delle Isole (60,1 milioni) e Società Navigazione Siciliana (55,1 milioni), neonata joint venture fra Ustica Lines (storico e fortissimo operatore locale) e Caronte&Tourist.
Compagnia delle Isole è una newco guidata da Lauro e controllata al 60% da Mediterranea Holding. Cioè dalla Regione Siciliana, pronta quindi a pagare ciò che le era stato offerta gratuitamente un anno e mezzo prima… Fra i soci minoritari Navigazione Generale Italiana, società partecipata al 50% da Caronte&Tourist (delle famiglie Franza e Matacena). Caronte partecipa quindi ad entrambe le cordate e, se non bastasse, poche settimane fa ha registrato l’ingresso nel capitale della controllata Cartour del Fondo Italiano d’Investimento Sgr (con una quota del 25% e un investimento di 17,5 milioni di euro), fra i cui soci (paritari) vi sono Cassa Depositi e Prestiti e Ministero dell’Economia. Il vincitore non è ancora stato proclamato.
La Toscana Regionale Marittima (Toremar) è l’unica regionale già venduta, ma anche qui le anomalie non mancano. Dopo una gara condotta in modo abbastanza trasparente, la Regione ha capovolto l’iniziale verdetto, assegnando la compagnia a Moby (che rinuncia a 14 dei 174 milioni di euro di sovvenzione previsti per 12 anni) e decretando la sconfitta di Toscana di Navigazione, newco guidata dal solito Lauro. Bocciato dal Tar fiorentino il ricorso di quest’ultimo, il problema concentrazione è stato «risolto» dall’Antitrust autorizzando l’operazione, ma condizionandola ad alcune misure tali da portare la quota di slot assegnati a Moby e Toremar dall’80% al 66%. Per quanto riguarda Caremar (che nei prossimi 12 anni riceverà 29,8 milioni di euro l’anno) l’unica novità degli ultimi 18 mesi è l’avvenuto passaggio, a febbraio, del ramo pontino della compagnia alla Regione Lazio, con la creazione ad hoc di Laziomar. Né Campania né Lazio hanno ancora chiarito le rispettive intenzioni.
La Sardegna fa infine caso a sé. Quando a gennaio è emerso il cosiddetto fenomeno del caro-traghetti, la Regione, previa denuncia all’Antitrust (che ha avviato un’istruttoria) del presunto cartello fra Moby, Gnv, Snav e Corsica Ferries, ha deciso di conservare la proprietà di Saremar (beneficiaria nei prossimi 12 anni di 13,6 milioni di euro l’anno di sovvenzioni) per effettuare collegamenti col continente. Un progetto abborracciato per tempistica e tale da scatenare le ire degli armatori privati. I quali, dopo aver derubricato a invenzione il cartello, evidenziando, anche in Parlamento il legame fra incremento dei prezzi e caro-petrolio, hanno minacciato di ricorrere alle autorità europee: se pure il sovvenzionamento ai servizi pubblici regionali di Saremar può esser aggirato con una doppia contabilità (una per i collegamenti locali e una per i nazionali), l’eventuale ripiano delle perdite da parte della Regione configurerebbe l’indebito aiuto pubblico.
Intanto il piglio acceso con cui l’Autorità garante della concorrenza ha avviato l’ istruttoria fa pensare che saranno esaminati anche elementi apparentemente laterali, dalla «fusione» Gnv-Snav, al default della compagnia T-Link, allo stemperarsi della storica concorrenza fra Moby e Corsica Ferries. Nel frattempo Saremar si è trasformata per la giunta Cappellacci nel simbolo della difesa della continuità territoriale, tanto da arrivare alla minaccia di «attaccare» giuridicamente l’intera procedura di privatizzazione. Ultimo colpo di mano con i traghetti veloci. Messi separatamente in vendita da D’Andrea con la solita procedura bulgara, le navi hanno finora continuato a languire nei rispettivi porti di disarmo, ma la settimana scorsa pare sia stata conclusa la vendita (a circa 1 milione l’uno, prezzo da rottamazione) ma senza nessuna comunicazione ufficiale.