Chissà come l’ha presa la Gelmini la notizia che lo Stato dovrà mettere mano al portafogli anche per causa sua. Il Tar Sardegna ha accolto in un colpo solo i ricorsi (tutti molto simili) dei genitori di oltre 20 studenti disabili rimasti senza insegnanti di sostegno dopo i tagli effettuati al personale e previsti dal ministero dell’Istruzione.
La «diminuzione delle ore di sostegno subita ha provocato danni sulla personalità del minore, privato del supporto necessario a garantire la piena promozione dei bisogni di cura, di istruzione e di partecipazione a fasi di vita “normale”». Così si è espresso il Tribunale amministrativo dell’Isola. Ora tocca allo Stato che – per legge – dovrà rimborsare le famiglie con 3500 euro ciascuno: 3.000 euro, più 500 euro di spese processuali a carico dell’Ufficio scolastico regionale e del ministero.
Nel mirino dei genitori, gli uffici scolastici di ciascun istituto che – nei mesi – hanno tagliato il sostegno ignorando i consigli di classe e le équipe psicopedagogiche delle scuole che prevedevano per i giovani un rapporto di uno a uno, un docente per ogni disabile. Al riguardo il Tar non ha usato mezze parole: «Fra le misure previste dal legislatore – si legge – viene in rilievo quella del personale docente specializzato, chiamato ad adempiere alle “ineliminabili forme di integrazione e di sostegno a favore degli alunni diversamente abili”». D’altra parte, i giudici non hanno fatto altro che ribadire la natura inalienabile dei diritti dei bambini, basandosi sul diritto costituzionale ma anche su quello internazionale. Un colpo basso per il ministero che – dopo questa sentenza – dovrà fare i conti anche con altre decine di ricorsi e istanze di risarcimento che pendono davanti ai giudici sardi. Ma la protesta era partita al Nord. A Milano per esempio, il sostegno scolastico è a rischio dal novembre del 2010, quando diciassette famiglie coraggiose e pazienti hanno fatto ricorso (per la prima volta in Italia) contro il ministero al tribunale ordinario. L’accusa? Discriminazione a carico dei loro figli.
Per il 2009-2010 si contano oltre 200mila studenti disabili certificati (il 2,2% della popolazione scolastica). Erano 138mila nel 2001/02. L’incremento è del 45% in 10 anni, concentrato soprattutto alle superiori. Il budget statale invece è fermo a 4 miliardi di euro l’anno (compresi gli stipendi degli insegnanti). Ad oggi, la Gelmini precisa che nella super manovra da 44 miliardi di Tremonti non è previsto “nessun taglio ai finanziamenti per la disabilità”. Ma, dopo avere ribadito che il rapporto alunni docenti di sostegno deve essere pari a due, il ministero fa anche sapere che «la scuola provvede ad assicurare la necessaria azione didattica e di integrazione per i singoli alunni disabili, usufruendo tanto dei docenti di sostegno che dei docenti di classe». I presidi quindi potrebbero assegnare ai portatori di handicap anche docenti non specializzati. L’idea è quella di formare «tutto il personale docente sulle modalità di integrazione degli alunni disabili». Una mossa, questa, volta forse a mettere una pezza sul ben più grave e generale problema dei precari della scuola, che così facendo riuscirebbero a rientrare nelle strutture scolastiche come docenti temporanei di sostegno.
Per evitare inganni e scorciatoie, Fondazione Agnelli, Caritas e l’associazione TreeLLLe hanno lanciato la loro contro-proposta.
La “rivoluzione” parte in effetti dall’assunto del ministero: ribaltare il sistema “rigido” alunno-insegnate di sostegno abolendo gli effetti scolastici della certificazione Asl e mantenendone l’efficacia solo per la provvidenza. Protagonisti del nuovo sistema sarebbero però i centri risorse per l’integrazione (Cri). Strutture territoriali, provinciali o subprovinciali che dispongano di insegnanti di ruolo o a tempo pieno offrendo consulenze e aiuto per tutti gli istituti del territorio. Così facendo si passerebbe dagli insegnanti di sostegno all’organico normale, in un sistema nel quale tutti i docenti vengano formati in ingresso e in itinere nella pedagogica e didattica speciale per ogni grado scolastico, compresa la scuola secondaria ora esclusa dal percorso formativo dei docenti. Lo scopo non è – almeno ufficialmente – quello di abbattere la specializzazione. Tutt’altro. L’idea è invece di mettere fine alla corsa al “posto di sostegno” e, al contrario, favorire la continuità didattica per gli studenti disabili. Che nel 42% dei casi cambiano insegnante una o più di una volta l’anno.