Il sottile gioco del destino non lascia scampo. A fine luglio, mentre l’impero mediatico di Rupert Murdoch scricchiolava e venivano a galla certe sue amicizie pericolose, il Primo ministro britannico David Cameron aveva concesso un’intervista a Big Issue, magazine che si occupa di temi sociali e che per le strade viene venduto da particolari strilloni come i senzatetto o i disoccupati: i disagiati nel gergo corrente.
In quel dialogo, il leader conservatore aveva rilanciato – per l’ennesima volta – il progetto più ambizioso dei suoi primi anni da inquilino al n. 10 di Downing Street: la Big Society. Il cavallo di battaglia promosso durante la campagna elettorale e che, a detta di molti, rischia di andare in fumo mentre Londra, Manchester, Birmingham e altre città inglesi fanno da scenario agli scontri degli ultimi giorni.
«La Big Society vuole creare una cultura dove la gente si chieda “cosa posso fare di più?”», aveva affermato Cameron nell’occasione, aggiungendo che il dovere del cittadino non deve essere solo quello di pagare le tasse e rispettare la legge, ma deve andare oltre. Perché accada, aveva rimarcato, gli inglesi devono rispolverare l’orgoglio di sentirsi membri di una stessa comunità. La parole sono chiare, gli intenti pure, ma il modo con il quale Cameron intenda mettere nero su bianco il disegno ambizioso rimane piuttosto vago. Anche ora che paradossalmente potrebbe trovare maggiore spazio.
Nelle intenzioni del Primo ministro, i servizi che non possono essere adeguatamente prestati dallo Stato, saranno garantiti da quei privati che già si impegnano nel sociale attraverso il volontariato o nell’assistenza delle fasce di popolazione più in difficoltà. Un esperimento iniziale è cominciato in primavera, dopo che Cameron si era presentato ad una platea di persone già attive in questi ambiti, accompagnato guarda caso da alcuni imprenditori pronti a investire nell’operazione. «Stimoleremo il volontariato, la filantropia e l’azione sociale. Ci sono cose – furono le sue parole – che un Primo ministro fa perché il dovere lo chiama, ridurre il debito è una di queste. Altre, come la Big Society, perché sono il cuore e la passione a spingerlo».
Gli incidenti di Tottenham, Ealing, Brixton e altri quartieri della capitale per alcuni hanno bocciato il tentativo ancora prima di capirne i risultati, ma per altri lasciano intendere l’opposto. Brendan O’Neill è una firma quantomeno provocante nel panorama giornalistico britannico: c’è chi lo definisce libertarian, chi marxista, chi semplicemente «un ignorante». Ha firmato articoli sia per il New Statesman (rivista di sinistra) che per lo Spectator (laboratorio conservatore), sia per il Guardian che per il Sunday Times. E ancora: dall’Abortion Review al Catholic Herald, passando per il Christian Science Monitor.
Oggi dirige spiked , testata on line che tratta di politica, economia, cultura e in generale di società dove ha fornito una interpretazione dei fatti che, involontariamente o meno, ha servito un assist a Cameron. «Ciò che abbiamo nelle strade di Londra e altrove sono delle welfare-state mobs», con il termine “mob” che per il vocabolario inglese equivale alle nostre “ressa” o “bolgia”.
I giovani che si ritrovano per assalire i negozi «rappresentano la generazione che più di tutte è stata allattata dallo stato», lo stesso che negli ultimi 30 anni si è infilato in certi territori urbani, levando il posto allo spirito comunitario e alla fiducia in se stessi. Nel momento in cui lo stato si è trovato in crisi, attanagliato dalle tribolazioni economico-finanziarie, il castello di sabbia è crollato e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Se i giochi del destino si rivelano terribili, la politica deve dimostrarsi cinica. Lo sfondo per quanto drammatico, è propiziatorio per l’agenda di Cameron, a patto che fissi immediatamente due punti: mostrarsi scaltro nel dribblare la pressione che lo circonda, come gli è momentaneamente riuscito con lo scandalo News International, e chiarire una volta per tutte che cosa sia la Big Society alla quale tanto aspira.