Ancora una volta, la soluzione per invertire la rotta delle borse si chiama Ben Bernanke. Venerdì nelle montagne del Wyoming, a Jackson Hole, si terrà la consueta riunione tra i banchieri centrali di tutto il mondo, occasione in cui, stando alle aspettative del mercato, il numero uno della Fed annuncerà la terza fase di quantitative easing, l’acquisto di bond americani da parte dell’istituto di Washington, dopo i 1.700 miliardi di debiti legati ai subprime tra dicembre 2008 e marzo 2010, e 600 miliardi di Treasuries acquistati tra novembre 2010 e lo scorso giugno.
Il 13 luglio, Bernanke aveva affermato al Congresso Usa che saranno considerate «tutte le opzioni sul tavolo» per scongiurare un rallentamento dell’economia, tra cui la decisione di mantere bassi i tassi fino a metà 2013. In merito, domani i dati della Fed di Richmond sul manifatturiero forniranno ulteriori indicazioni. Nelle ultime quattro settimane, sono stati bruciati dalle borse mondiali 8 trilioni di dollari, mentre l’indice Msci Global è a meno 19% sui picchi dello scorso maggio.
Una settimana di attesa, quindi. Le Borse europee, intanto, aprono con segno meno: a Milano il Ftse Mib cede l’1,13% per poi virare in positivo a +0,38% nel giorno in cui la manovra sbarca in Senato, a Francoforte il Dax lo 0,92%, a Londra il Ftse 100 lo 0,69%, a Parigi il Cac lo 0,54 per cento. Sul fronte del reddito fisso, il differenziale di rendimento tra il btp decennale e il bund tedesco è stabile sotto quota 290 punti base, a 287 rispetto alla chiusura di venerdì (285). Ieri, il cancelliere tedesco Angela Merkel ha ribadito il suo nein agli eurobond in un’intervista alla Zdf, in cui afferma che: «I politici non possono sempre seguire i mercati», mentre Elena Salgado, ministro delle finanze spagnolo, si è detta invece fiduciosa che il piano di riduzione del deficit iberico possa stoppare l’intervento di acquisto di bond del Paese da parte della Bce.
Dall’altra parte del mondo, continua il trend negativo delle borse asiatiche, al quinto giorno di fila con il segno meno. A Tokyo, seduta negativa per il Nikkei 225, che ha chiuso a -1,04% (toccando il livello più basso dal marzo scorso), Hong Kong -1,43% mentre il paniere Msci Asia Pacific ha segnato un ribasso dell’1,5%, meno 14% nelle ultime quattro settimane. Numeri che hanno influito sull’andamento dei futures relativi all’Europa (alle 6.00 Gmt Eurostoxx 50 e Dax erano rispettivamente in calo dello 0,9 e dell’1,5%) e a Wall Street: il contratto sull’indice S&P 500 con scadenza a settembre cede l’1,5% a 1.090,88 punti, meno 20% da fine aprile. Uguale, mercato in fase “orso”.
Sul fronte valutario, stamani il ministro delle Finanze Yoshihiko Noda ha affermato che l’esecuivo nipponico è pronto a prendere delle decisioni per frenare l’apprezzamento della moneta giapponese: «Sono piuttosto preoccupato per il peggioramento dei movimenti dello yen, che vanno in un’unica direzione. Prenderò tutte le contromisure necessarie e non escluderò nessuna opzione», ha dichiarato. Attualmente, lo yen quota 79,95 dollari, il livello più alto dal secondo dopoguerra: una zavorra per le esportazioni del Paese asiatico, già duramente colpito dal disastro nucleare di Fukushima.
Il re delle commodities rimane l’oro, gli investitori non smettono di comprarlo. Il metallo giallo spot (con consegna immediata) sale a 1.884,80 dollari l’oncia (+1,76% su venerdì scorso), anche se i rialzi potrebbero derivare da fattori esogeni rispetto alla sola domanda di sicurezza degli operatori. L’impatto della caduta di Gheddafi, quando i ribelli ieri sono entrati a Tripoli, ha ribassato il contratto future sul Brent con consegna a ottobre del 2,2% a quota 106,23 dollari al barile, mentre a New York, venerdì, il Wti con consegna a settembre è sceso dello 0,3% a quota 82,01 dollari a barile, mentre il contratto con consegna a ottobre a 81,73 dollari, -0,8 per cento.