Destra, sinistra, centro. Per una volta giornali e giornalisti sono tutti d’accordo. La seduta in Senato di ieri pomeriggio è stata uno scandalo. L’ennesimo affronto della casta. Da Repubblica al Giornale si levano titoli indignati. Il decreto anti crisi arriva in Parlamento e ad accoglierlo ci sono solo undici senatori. E giù articoli al veleno, pieni di stupore e fastidio. L’arroganza della politica italiana è tale che persino la Gazzetta dello Sport dedica un po’ di spazio alla notizia. Sotto la foto dell’aula deserta, la didascalia spiega: «Il testo della manovra è stato incardinato davanti a pochi senatori».
Quasi tutti, però, dimenticano di dire una cosa. La seduta di ieri tutto era tranne che un appuntamento politico degno di questo nome. Si trattava invece di un atto formale. Un adempimento burocratico. Il regolamento non prevedeva né dibattiti né discussioni. Una seduta di pochi minuti necessaria per ricevere il testo e trasmetterlo alle commissioni, che lunedì prossimo inizieranno l’esame (questa sì, una notizia). Insomma, un passaggio senza alcuna valenza politica, come d’altronde sapevano tutti. Un particolare che molti hanno ritenuto irrilevante. Oggi pur di sparare sulla casta si può scrivere di tutto. Tanto il tema tira. E allora è vero che partecipare alla seduta di ieri non serviva a nulla. Ma «visto il peso e l’importanza del provvedimento – ci spiega il Fatto Quotidiano – sarebbe valsa la pena di starci». Chissà perché.
Sono davvero queste le nefandezze della politica italiana? A leggere i giornali di oggi sembra di sì. «Uno spettacolo surreale» racconta Repubblica. L’inviato solletica l’indignazione dei lettori descrivendo la scena: «Banchi vuoti, sei commessi in aula a vegliare sul nulla». Il Giornale pubblica la foto dell’emiciclo in prima pagina. Il titolo ironizza: «Il Senato riapre per pochi intimi». A qualcuno ha dato fastidio la durata della seduta. Dieci minuti scarsi. «Sei minuti netti – specifica il Corriere della Sera – Uno solo dedicato al debutto in aula della stangata da 45,5 miliardi». Il Fatto si sofferma su un aspetto che considera particolarmente odioso: l’assenza di Renato Schifani. «Non c’era neanche il presidente. Lui che aveva assicurato al capo dello Stato il massimo dell’attenzione e della celerità possibile, ebbene proprio lui ieri non c’era». E chi se ne frega se in realtà Schifani è a Roma già da una settimana. Ha sospeso le vacanze non appena avvertito della manovra e ha proposto al presidente Napolitano di iniziare i lavori dal 22 agosto proprio al Senato.
L’andazzo è questo. Pochi giorni fa il senatore dell’Idv Stefano Pedica aveva inviato un video “scandalo” a Repubblica.it. Un minuto e mezzo in cui il parlamentare passeggia per il Senato stupito di non incontrare neppure un collega. Ipotesi peraltro probabile considerato che era il 16 agosto. Ma non dovevamo lavorare sulla manovra? Sembra chiedersi il senatore. Già, peccato che quel giorno a Palazzo Madama il provvedimento non era stato neppure trasmesso. «Non poteva crederci il senatore Pedica – commenta l’altrettanto sbigottito giornalista – che dopo aver ripreso la scena desolante di Palazzo Madama deserto ha pubblicato il filmato online. Lo seguiamo dal guardaroba all’Aula, dove risuona solo l’eco dei suoi passi». Non è dato sapere se quel giorno i parlamentari di maggioranza e opposizione fossero realmente impegnati a studiare la manovra. Ma certo fare una passeggiata al Senato era il modo più improbabile per scoprirlo.
Intendiamoci. Gli sprechi ci sono e sono pure tanti. E noi qui a Linkiesta li abbiamo spesso documentati. La politica italiana gode tutt’ora – anzi, forse mai come adesso – di privilegi inaccettabili. Ma allora perché non raccontare quelli? In tutta la vicenda c’è un ipocrisia di fondo. Emersa con chiarezza nei recenti scoop sui menu dei ristoranti del Parlamento. Quella è una finta notizia. Gli addetti ai lavori, i giornalisti che oggi denunciano l’attentato alla moralità pubblica, conoscono quei prezzi da anni. Perché non l’hanno mai raccontato? Improvvisamente il «carpaccio di filetto con salsa al limone» a 2,76 euro è diventato il tema del momento. E allora tutti a scrivere (e riscrivere) la stessa cosa. Così la gente sotto l’ombrellone può leggere e commentare risentita. E forse si riesce anche a vendere qualche copia in più. Il paradosso è che in questo modo alla casta – quella vera – si finisce per regalare persino un alibi.