La manovra approvata dal Consiglio dei ministri muove i primi passi in Senato. Alla vigilia della (lunga) discussione fra i due rami del Parlamento, il Partito Democratico ha tirato fuori le proprie proposte per una contro manovra, definite da Bersani come idee «responsabili, che rispettano i saldi ed anche gli accordi in Europa». Proposte che erano state annunciate durante l’audizione di Giulio Tremonti l’11 agosto davanti alle commissioni Affari costituzionali e Bilancio. Il segretario del Pd ha detto che sono articolate «intorno a tre punti principali: riduzione drastica ed efficace dei costi della Pubblica Amministrazione, una dismissione ragionata di immobili pubblici ed un’asta competitiva per le frequenze televisive; un calco della manovra in ragione dell’equità e misure per stimolare l’economia perché noi parliamo di spread ma gli italiani stanno pensando al lavoro che manca». Abbiamo fatto leggere e commentare le proposte del Pd a Giacomo Vaciago, economista all’Università Cattolica di Milano ed ex sindaco ulivista di Piacenza, per capire qualcosa di più sui principi, i saldi e le misure che propone il Partito Democratico.
Al primo punto della “sua” finanziaria, il Pd mette «istituzioni più snelle e taglio ai costi della politica». Si parla di dimezzamento del numeri dei parlamentari, obbligo della gestione associata nei comuni con meno di 5.000 abitanti (non 1.000 come dice la manovra del governo), dimezzamento delle province, accorpamento degli uffici periferici dello stato, radicale riduzione delle società partecipate da regioni, province e comuni ed eliminazione degli organi societari in house, per oltre 50 mila incarichi, ma anche di spending review, piani industriali per le amministrazioni, costi standard. Insomma l’elenco è lungo. Per Vaciago questo punto, «è già un passo avanti rispetto alla manovra annunciata dal governo. Entra nel merito dello scopo di ridurre la dimensione della pubblica amministrazione e sopratutto riduce i costi e aumenta l’efficienza. Accorpare e basta può voler dire maggiori costi. Il cittadino vuole servizi più efficienti e costi minori».
Secondo punto: dismissione di immobili e frequenze. Si parla di “valorizzazione di immobili per almeno 25 miliardi di euro”.
«Se gli immobili si chiamano immobili, c’è una ragione» dice Vaciago. «Non se ne riescono a venderne più di due l’anno. È da 30 anni che si cerca di vendere. Le caserme chi le compra? Sono centri di costo, a meno di venderli ai cinesi, ma non mi sembra molto pratico. La dismissione non ha portato soldi né a Chicago né nel Regno Unito. Per la mia esperienza, gli immobili non sono centri di entrate. Se per un euro li regali a un benefattore e lui ci fa un museo, sei fortunato».
Scorrendo ancora il documento, si arriva alla parola liberalizzazioni: servizi professionali, distribuzione dei farmaci, filiera petrolifera, Rc auto, servizi bancari, reti energetiche, servizi pubblici locali.
«Queste misure sono il corredo dei lenzuoli di Bersani. Vanno benissimo, questo paese ne ha un gran bisogno. Sono misure che non adotta la destra, quindi speriamo che lo faccia la sinistra. Mi pare chiaro che siano riforme che farebbe un governo di destra» è la replica.
Passando alla parte di “contromanovra” che dovrebbe portare gettito, si arriva al quinto punto del Pd: evasione fiscale. Le risorse recuperate andrebbero destinate alla riduzione dei contributi sociali sui contratti a tempo indeterminato per eliminare i vantaggi di costo dei contratti precari oltre che per ridurre l’Irpef, prima di tutto alle madri lavoratrici, e per una graduale eliminazione del costo del lavoro a tempo indeterminato dalla base imponibile dell’Irap. Nel concreto la proposta per abbattere l’evasione include la tracciabilità a 1.000 euro per i pagamenti (e non i 2.500 previsti dal governo) al fine anti riciclaggio e invece la tracciabilità «a fini anti-evasione, dei pagamenti superiori a 300 euro», oltre a comunicazione da parte delle imprese dell’elenco clienti-fornitori. «Le riforme del mercato del lavoro le ritiene utili anche la Bce. Il problema casomai è se le fa il Parlamento e come: si fanno con la legge di manovra o con la legge ordinaria oppure si lascia che le parti si accordino e poi si fa la legge? Se il sindacato è d’accordo, può andare bene». Della proposta fatta dal governo, Vaciago dice: «Questa parte di riforma contenuta nella manovra Tremonti è contro i sindacati, e infatti ha portato allo sciopero generale della Cgil». Sull’eterno tema del far pagare chi non paga, cioè le “misure contro l’evasione”, le idee del Pd hanno un’origine chiara: «Si torna al governo Prodi, alle misure di Tommaso Padoa Schioppa. Misure che funzionavano, fino a che Tremonti non le ha abolite. Sull’evasione si sono espressi anche il Quirinale e la Cei. Sarebbe ora di far pagare meno a tutti».
Oltre a questa voce, c’è “l’imposta ordinaria sui grandi valori immobiliari, basata su criteri fortemente progressivi” scrive il Pd. Insomma, una forma di patrimoniale, ma non una tantum bensì fissa. Vaciago si chiede: «Come fa ad essere progressiva se gli immobili sono di una società? Si tratta di un criterio non facile da applicare». Detto questo, «è una misura che si giustifica con l’equità. Una pillola necessaria, nel momento in cui si chiedono sacrifici a tutti, che dia il senso dell’equità. Io sono dell’idea che la misura migliore sarebbe una patrimoniale bassa, ma fatta pagare a tutti».
Il Pd parla poi di una ulteriore tassazione del 15% sui capitali “scudati” nel 2003 e nel 2009 e di una nuova tassazione al 30% per chi ha illegalmente capitali nei paradisi fiscali. Oltre a questo, si parla di rinegoziazione dei trattati bilaterali con chi è passato dalla black list alla white list dell’Ocse (in particolare con la Svizzera). «Questa la trovo una misura orrenda. Non ci si può rimangiare la parola data, uno Stato non può farlo. Non possiamo ritassarli solo perché abbiamo l’elenco, perché andava distrutto. È come riprocessare una persona due volte per lo stesso reato. Viceversa, quello che si riesce a fare sui capitali non scudati, va benissimo». Anche perchè, sull’evasione, Vaciago ha una posizione molto chiara: «I paradisi fiscali sono da ribattezzare inferni fiscali. Bisogna smettere l’abitudine che quando ci sono problemi tutti portano i soldi in Svizzera: c’è stato un ingolfamento di macchine verso Lugano. Ed è ora che con i cugini svizzeri ci parliamo chiaro e che loro la smettano di approfittarsi delle nostre sventure».
Il documento parla anche della soppressione dell’articolo 8 della manovra, quello che riguarda la contrattazione fra le parti sociali, di misure contro il falso in bilancio, l’auto riciclaggio, cioè il reinvestimento di capitale illecitamente percepito da parte dell’autore del primo illecito, e il caporalato, e di interventi per l’efficienza della giustizia. A tutti questi punti va aggiunto quello sulle pensioni. Il segretario del Partito Democratico si è detto disponibile a parlarne: «Se si vuol parlare di evoluzione del sistema pensionistico a favore dei giovani, si ricordi che noi siamo i primi ad aver fatto la riforma» e ancora «per noi la messa a regime del sistema consiste nell’individuare una fascia di anni nella quale ci sia flessibilità di uscita in ragione di meccanismi di convenienza. Parliamone». Su questo l’opinione di Vaciago è chiarissima. «Nei prossimi anni una riforma va fatta, per forza».
Bilancio finale?
«Questo documento serve a due cose: più equità (cioè paghi di più chi ha un po’ di più) e all’efficienza della pubblica amministrazione attraverso i tagli agli enti locali e alle liberalizzazioni però mancano un po’ di soldi. Sono tutte cose da fare, ma non danno soldi domani. Tremonti, affondando con la scure, ha munto una mucca con più latte, cioè il ceto medio: il contributo di solidarietà è brutto ma utile. L’equità di Bersani l’aggiungi ma non la puoi sostituire anche perché gli evasori fiscali prima di trovarli ci vogliono anni. Solo con queste misure i mercati continuerebbero a speculare contro di noi. È chiaro che l’equità è una cosa giusta, ma non porta miliardi domani».