Dell’articolo 8 della manovra votata al Senato – quello sulla libertà di licenziamento imputato, nel bene (come unico provvedimento per la crescita) e nel male (come strumento di aggiramento dei diritti dei lavoratori), di rivoluzionare il sistema della contrattazione del lavoro, aumentando il peso degli accordi aziendali – si è scritto e detto di tutto.
Ma, fuorché agli addetti del settore, è passato pressoché inosservato un emendamento inserito nei giorni scorsi dai tre senatori di maggioranza Massimo Garavaglia, Gianvittore Vaccari e Paolo Tancredi, che sembra andare in direzione completamente opposta alla ratio dell’articolo, promuovendo una modifica del decreto legislativo 188/2003 (“Attuazione delle direttive 2001/12/CE, 2001/13/CE e 2001/14/CE in materia ferroviaria”) che obbligherà tutti gli operatori privati del settore ferroviario ad applicare ai propri dipendenti il contratto collettivo delle Ferrovie dello Stato.
A denunciare con parole durissime l’iniziativa sono stati Confetra (Confederazione Generale Italiana dei Trasporti e della Logistica) e Forum del Trasporto Ferroviario (organizzazione cui aderiscono le imprese ferroviarie nate dopo la liberalizzazione, sia nel settore merci, riunite in FerCargo, che in quello viaggiatori, Arenaways e Ntv, gli operatori logistici e i detentori di carri ferroviari riuniti in Assoferr e l’impresa Arriva DB, controllata di Deutsche Bahn). «L’inserimento di questa norma – ha affermato Piero Luzzati, direttore generale Confetra – è in controtendenza rispetto ad un provvedimento che dovrebbe avere come uniche finalità il contrasto dell’emergenza finanziaria e il rilancio del sistema economico attraverso interventi di semplificazione e di liberalizzazione. L’emendamento approvato, viceversa, rappresenta una disposizione di retroguardia contraria al principio costituzionale di libertà contrattuale, che, se confermata nel corso dell’iter parlamentare, costringerebbe le imprese private operanti nel cargo ferroviario ad allineare il costo del personale su valori per esse insostenibili, rallentando qualsiasi processo di liberalizzazione».
«La norma – recita invece una nota del Forum – ha l’evidente obiettivo di ostacolare ulteriormente la liberalizzazione del trasporto ferroviario, a esclusivo beneficio dell’ex monopolista statale. È paradossale che una legge che ha l’obiettivo di favorire la contrattazione aziendale disponga esattamente l’opposto per il solo settore ferroviario».
Giacomo di Patrizi, presidente di Fercargo, preannuncia l’ennesima battaglia giudiziaria: «Da anni passiamo più tempo in tribunale che nelle nostre aziende per contrastare i tentativi di intralcio della liberalizzazione del settore. In questo caso ci appelleremo alla Corte Costituzionale, trattandosi di un provvedimento palesemente incostituzionale». Secondo Di Patrizi, peraltro, la norma è a beneficio esclusivo di Fs e a danno, oltre che delle imprese – che hanno finora utilizzato perlopiù il ccnl “Trasporto merci e logistica” quello degli autoferrotranvieri e in un caso un contratto aziendale – dei lavoratori «perché il contratto delle Fs, oltreché scaduto, è vetusto e incompatibile con la competitività sul mercato (e i risultati di Fs negli anni dovrebbero essere una prova tangibile): il rischio è la penalizzazione di investimenti e occupazione».
Impossibile ottenere una spiegazione o un commento dai tre senatori proponenti, ci si deve accontentare della “relazione tecnica” agli emendamenti alla manovra: «La disposizione è diretta a prevedere l’estensione alle imprese ferroviarie di cui all’art.36 del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 188 anche degli obblighi rinvenienti dalla contrattazione collettiva, in materie quali salute, sicurezza e condizioni di lavoro del personale. La disposizione non determina effetti finanziari».
Del resto Mauro Moretti, amministratore delegato Fs, nel corso di un’audizione in Commissione lavori pubblici del Senato svoltasi lo scorso novembre l’aveva detto: «Il grande vantaggio competitivo (dei newcomers, ndr) si chiama costo del lavoro: il nostro oggi, rispetto a un’impresa nuova è superiore del 35% per costo orario, e non è un problema di produttività ma del fatto che non esiste una regola unica».
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Una nota di Federtrasporto.
Nel dibattito apertosi a seguito dell’emendamento alla manovra in base a cui le imprese ferroviarie saranno tenute ad osservare “i contratti collettivi nazionali di settore” si inserisce anche Federtrasporto, in rappresentanza di Agens, l’associazione datoriale di Confindustria.
“Sorprende la leggerezza” recita una nota dell’associazione “con cui si è sostenuto da più parti che l’emendamento imporrebbe alle imprese ferroviarie il CCNL attualmente applicato dal Gruppo FS e scaduto alla fine del 2007. Intanto, come noto, esistono altri due contratti nazionali di riferimento per le imprese ferroviarie: il CCNL Autoferrotranvieri e il CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizioni, applicati da imprese private. Ma soprattutto è in corso un processo di costruzione del nuovo CCNL della Mobilità, sostenuto con convinzione dallo stesso Ministro Altero Matteoli e approdato ad una prima intesa nel settembre 2010 (peraltro non ancora operativa) tra le principali associazioni datoriali del settore, tra cui Federtrasporto-Agens, e tutti i sindacati maggiormente rappresentativi. Ebbene, nessuna delle nuove imprese ferroviarie ha ritenuto di partecipare alla costruzione della prima parte del nuovo CCNL”.
Federtrasporto-Agens aveva infatti da tempo “formalmente dichiarato superato e superabile il CCNL delle attività ferroviarie, sottoscritto nel 2003 e scaduto nel dicembre del 2007, alla luce della liberalizzazione del mercato che impone a tutte le aziende concorrenti nuove regole che premino flessibilità, produttività e qualità del lavoro. E, insieme a Confindustria, per rispondere alle esigenze del mutato contesto competitivo nazionale e internazionale, alla fine del 2010 aveva invitato tutte le imprese del settore a partecipare al tavolo comune per la riscrittura del nuovo CCNL, invito però declinato”.