La barca non affonda. Non ancora, almeno. La Camera salva dal carcere il deputato Pdl Marco Milanese. A dispetto di tutto e tutti, il premier Silvio Berlusconi incassa l’ennesima – per qualcuno inaspettata – vittoria in Parlamento.
In molti, specie all’opposizione, avevano dato al voto di oggi la valenza di un referendum sul Governo. Magari non il passaggio decisivo per costringere l’Esecutivo alle dimissioni, ma pur sempre una bella spallata. A conti fatti, il risultato premia il Cavaliere: a favore della relazione della Giunta per le autorizzazioni si schierano 312 deputati. Contro, 309. I numeri sono dalla parte del presidente del Consiglio, come lui stesso aveva anticipato ieri nel colloquio al Colle con Giorgio Napolitano. «Eppure – sottolinea qualcuno fuori dall’Aula di Montecitorio – la maggioranza ha perso quattro voti (quando una settimana fa la Camera si era espressa sulla manovra, il Governo aveva incassato 316 sì, ndr)». Un dato forse irrilevante. Nell’ultima votazione segreta che a luglio aveva condannato alla galera il Pdl Alfonso Papa, infatti, la maggioranza non era riuscita a superare quota 293. Insomma, considerando le tante incognite di questo voto, a Palazzo Chigi c’è di che gioire.
E dire che in mattinata qualcuno si era preoccupato. Quando alle 10 i relatori della Giunta per autorizzazioni iniziano a presentare il caso Milanese in Aula, quasi tutti i deputati sono ancora fuori dall’emiciclo. In Transatlantico, alla buvette, nel cortile interno si formano tanti capannelli. Diversi parlamentari provano a convincere i colleghi che non si sono ancora fatti un’idea precisa: «Ma come? Non lo vedi il fumus persecutionis?». Marco Milanese, invece, è già dentro. È stato uno dei primi ad arrivare alla Camera. Poco prima dell’inizio della seduta si avvicina al presidente di Montecitorio Gianfranco Fini per stringergli la mano. Curiosamente in Aula non c’è il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Il titolare di via XX settembre non partecipa alla votazione che potrebbe condannare al carcere il suo ex collaboratore, e la sua assenza si nota. Il caso si smonta subito (anche se un collaboratore del premier rivela in seguito che Berlusconi non avrebbe gradito la defezione). Tremonti è partito in mattinata per gli Stati Uniti. Dove parteciperà, a Washington, alla riunione del Fondo monetario internazionale.
Alla fine, già prima del voto, si capisce che Marco Milanese sarà salvato. Due episodi convincono i parlamentari della maggioranza che l’asse Pdl-Lega resta saldo. Durante le dichiarazioni di voto il ministro Roberto Maroni si avvicina ai banchi del Pdl. Parla a lungo con il capogruppo dei berlusconiani Fabrizio Cicchitto. Sembra quasi che lo rassicuri. Quando prende la parola il Pdl Maurizio Paniz, entra in Aula Silvio Berlusconi. Il premier raggiunge il banco del Governo, siede vicino a Umberto Bossi e gli carezza i capelli. L’accordo siglato ieri pomeriggio a Palazzo Grazioli è confermato.
Peraltro già da qualche ora il voto dei parlamentari leghisti non rappresentava più un problema. Nella riunione dei vertici del Carroccio di ieri sera il leader Umberto Bossi aveva chiarito ai suoi: «Sulla richiesta di arresto di Marco Milanese voteremo no». Una scelta dettata da ragioni politiche, più che legali. «Voteremo per non far cadere il governo» aveva ribadito il senatur. Nessuno, ovviamente, lo aveva contraddetto. Neppure i 40-45 deputati legati al ministro Roberto Maroni.
Nel voto di questa mattina risultano irrilevanti, infine, anche i franchi tiratori. I deputati del Pdl che pur di danneggiare l’immagine del ministro Giulio Tremonti – legato alla figura di Milanese – non avrebbero esitato a votare a favore dell’arresto del collega. Un gruppo indefinito che aveva preoccupato non poco lo stesso Milanese. Alla fine, secondo indiscrezioni che girano a Montecitorio, sarebbero stati in sette. Non abbastanza per condannare l’ex braccio destro del ministro dell’Economia. A disinnescare il rischio dei malpancisti ci aveva pensato, ieri pomeriggio, il vicecapogruppo Pdl Massimo Corsaro. Sarebbe stato lui, raccontano a Montecitorio, ad aver convinto l’ex braccio destro di Tremonti a ufficializzare con un comunicato le sue dimissioni dal Popolo della libertà. «È mia precisa volontà che la vicenda giudiziaria che mi vede coinvolto non venga in alcun modo strumentalizzata a fini di battaglia politica».