La visita di Benedetto XVI a Berlino, una settimana dopo

La visita di Benedetto XVI a Berlino, una settimana dopo

A un certo punto il Papa viene in visita nel posto in cui vivi da anni. Alcune settimane prima dell’evento ti accorgi di un po’ di subbuglio nell’opinione pubblica e in rete, alla radio — qui ce ne sono molte e quasi tutte hanno delle ottime redazioni — trasmettono reportage dalle comunità religiose contrariate; pare che Benedetto XVI parlerà in parlamento. Però in fondo non ci fai quasi caso: il Papa per te è una routine, si mescola ai ricordi d’infanzia, un po’ come un pranzo domenicale. Senti i trenta secondi che gli dedica qualsiasi notiziario nel giorno di festa, poi pensi: «bene» oppure «male», o magari ti arrabbi, a seconda di come ti hanno socializzato in famiglia.

Il dibattito cresce con l’avvicinarsi della visita pastorale, tutti quelli che desiderano esprimere pubblicamente il proprio disappunto organizzano le proteste, i movimenti religiosi, soprattutto cattolici, si costringono a una fase di autoanalisi propedeutica all’ascolto. Capisci che per tante persone la cantilena di parole di quell’ospite autorevole non avranno l’effetto di un disco rotto.

Poi il Papa arriva, il copione televisivo dell’evento punta alla celebrazione, lo spazio mediatico per le critiche e i dibattiti è garantito, sacrosanto, difeso: il Papa parla e tutti hanno la possibilità, in varie forme, di annuire, controbattere, esprimere perplessità o applaudire. Benedetto XVI incontra tanta gente diversa; dai un’occhiata al protocollo e inizi a capire che nulla succede per caso, nessun discorso è la ripresa di vecchi canovacci estratti da qualche cassetto: questa visita non sarà solo una sfilata della papamobile tra un bagno di folla.

Il Papa poi riparte lasciando dietro a sé tante cose. A una settimana dal suo rientro è possibile fare un bilancio. È andata male, anzi malissimo. Non per Benedetto XVI, naturalmente.
Alla televisione sembrava tutto una meraviglia, c’era anche il sole lì dove piove sempre, e la lezione di teologia al Bundestag, poi, è piaciuta a molti, anche da noi: Walter Veltroni ne ha scritto grandi lodi su Il Foglio, per dire. Questa parte del racconto è la più facile da presentare: è quella scritta nei comunicati stampa, è quella che si intuisce stando fuori.

L’altra parte del racconto è difficile da raggiungere perché arriva dopo, è contraria alla tempistica dell’informazione ed era tutta da leggere in rete e sui giornali e da ascoltare alla radio nei sette giorni successivi alla visita. È una parte che racconta bene il sentire della Germania di oggi, un posto che mai come ora per gli europei che le vivono attorno è solo una specie di cassaforte sovraccarica con una crepa su un fianco.

Ho provato a raccogliere alcune impressioni su questa visita pastorale e vorrei lasciarle qui, in ordine sparso, con una premessa che introduce i contesti e gli autori, ma senza fare commenti, ché ognuno la pensa come vuole e va bene così.

«È arrivato, ha parlato e ha deluso» è il titolo del lungo commento di Matthias Drobinski, vaticanista e giornalista cattolico della Süddeutsche Zeitung. La delusione è quella dei molti cattolici che hanno assisitito in quei giorni al rifiuto di Benedetto XVI all’ecumenismo, un principio fondamentale per il dialogo tra chiese nel paese della Riforma. Il professor Werner Tzscheetzsch, teologo cattolico e storico della chiesa intervistato da Der Spiegel parla di uno «schiaffo sonoro per coloro che hanno sperato», poiché le premesse per un passo in avanti c’erano: secondo fonti vaticane il Papa, nell’incontro privato con il rappresentante della Chiesa evangelica Nikolaus Schneider, ha citato l’ecumenismo e il rischio che «la secolarizzazione disperda le analogie delle due Chiese». Poi però, durante la grande messa a Erfurt Benedetto XVI ha detto: «Prima della mia visita si è parlato distintamente di un regalo ecumenico portato dall’ospite. Su questo vorrei dire, come sembra ai più, che si tratta di un malinteso politico del significato di fede ed ecumenismo».

Friedhelm Hengsbach, gesuita, è uno dei più noti studiosi tedeschi di etica sociale. In una lettera alla Süddeutsche Zeitung commenta così quella frase del Papa: «Ha confermato l’arroganza dogmatica della centrale vaticana. I cattolici più aperti si sentono oltraggiati e provano vergogna». Nella medesima lettera Hengsbach rivolge la propria attenzione alla lezione del Pontefice al Bundestag: la definisce una «provocazione». Scrive: «Per il metafisico venuto da Roma non è un problema deviare le regole scaturite dalla presa di coscienza dei dati di fatto, anche perché al momento non ci sono filosofi del diritto o filosofi sociali lì a criticarlo», e introduce così la sua critica alla lezione berlinese di Benedetto XVI a cui riconosce l’abilità di aver lasciato un tema — la natura — aperto a molte (troppe) interpretazioni: «Utilizza il termine ‘natura’ in modo ambiguo: una volta si riferisce all’ambiente, poi all’essenza dell’essere umano, poi all’ordine equo di una società».

Sull’atteso fuoriprogramma, cioè la visita alle vittime di maltrattamenti subiti da religiosi cattolici torna il professor Tzscheetzsch: «Il dialogo di Benedetto con le vittime come è avvenuto a Erfurt è diventato una specie di rituale dei viaggi del Papa. Questo incontro non ha valore. Si tratta solo di riconoscere le colpe della Chiesa, di dire “abbiamo dato il nostro contributo anche se non abbiamo fatto nulla”».

Nikolaus German, autore e giornalista di Monaco di Baviera, nel suo editoriale descrive gli effetti inesistenti della visita pontificia sul movimento cattolico tedesco, che sia dall’alto — cita il Memorandum firmato da oltre 300 teologi in cui si richiede con urgenza una riforma modernizzatrice della Chiesa cattolica — sia dal basso — «anche i più giovani fan di Benedetto credono in maniera non dogmatica, ritengono secondaria la differenza tra credo cattolico ed evangelico e non giudicano peccaminoso l’amore tra persone dello stesso sesso» — dà segni di sete di laicismo e di autonomia della propria religiosità rispetto alle regole di Roma. Il Papa a Erfurt ha detto: «Una fede costruita da sé (si intenda, senza una Chiesa alle spalle) non ha valore». «Non lo ascolteranno», replica German.

Su questo aspetto si esprime anche Drobinski, che tenta una sintesi del senso di questa visita pastorale in Germania con la frase «Chi non ha fede non ha futuro» e commenta: «È una visione del mondo molto pessimista quella che Benedetto XVI ha presentato ai suoi fedeli nel suo viaggio. Chi è d’accordo con questa visione non può però credere che non esistano anche ragioni secolari della dignità umana, che i cristiani evangelici stiano diluendo la fede con altro, che i cattolici dimentichino la ricerca di Dio nel momento in cui chiedono una riforma nella loro Chiesa».

Nell’articolo di Drobinski c’è anche la frase che uso per chiudere questo elenco di cose non dette o non trasmesse integralmente al pubblico dei lettori su questa visita: «In Inghilterra il Papa è riuscito a trasformare lo scetticismo che si era creato nei suoi confronti, in Germania no».

Foto di Tommaso Lana (visita il suo blog rummenigge.it)
 

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