Settore per settore, la manifattura italiana

Settore per settore, la manifattura italiana

Piastrella Valley, dove la Cina è più vicina dell’Europa

Iniziamo un viaggio nei distretti italiani, a cominciare da quello emiliano della piastrella. Un settore in crisi, spaventato dalla Cina e in cui brillano, però, esempi di innovazione e di aggregazione tra aziende: che sembrano in grado di aiutare la ceramica ben più dei dazi.

Il nostro tessile cresce e non delocalizza più

In termini di valore aggiunto il tessile-moda italiano rappresenta l’11% del manifatturiero, il doppio dell’auto. La sfida cinese e l’aumento del costo delle materie prime ha obbligato il settore a compiere una profonda ristrutturazione, ma il processo di delocalizzazione si è decisamente ridimensionato. E nel 2010 i ricavi sono cresciuti del 7,2%, toccando quasi 50 miliardi di fatturato. Il problema qui non è il costo del lavoro, ma quello dell’energia. Leggi anche la nostra infografica con i dati del settore.

Viaggio nella chimica che resiste, pochi soldi e troppa burocrazia

Dal 2005 a oggi l’industria chimica italiana ha perduto 20 mila posti di lavoro su 110 mila. Tuttavia, in Europa, restiamo terzi dopo Germania e Francia. Un risultato non da poco per un settore che ha dovuto imparare a fare a meno dei grandi gruppi. Viaggio in un grande comparto industriale, dove si vive solo se si investe e le complicazioni burocratiche, dal 1995, non sono calate. Anzi.

L’industria del mobile, dove solo chi innova ce la fa

Il secondo comparto del made in Italy, dopo l’industria della moda, ha perso 10 miliardi di fatturato (il 22% del totale) dal 2007. La crisi ha imposto una profonda trasformazione, ed è arrivata nel mezzo di un processo di cambiamento già iniziato, tra delocalizzazioni e innovazione tecnologica. I competitor stanno in Cina e in Polonia.

Oltre la crisi, l’acciaio italiano teme la Cina e i prezzi

Il settore dell’acciaio italiano sta recuperando dopo la crisi (nonostante l’alto costo dell’energia elettrica che non rende competitivi con la Cina). Restano casi eclatanti di aziende per le quali non si intravede ancora la luce in fondo al tunnel, ma la siderurgia ha ricominciato a marciare, anche se sono lontani i numeri record del 2007. Stato dell’arte di un settore che ha fatto l’Italia del dopoguerra.

La metalmeccanica italiana è già pronta al dopo-Fiat
Quando si dice “industria metalmeccanica” si pensa subito alle automobili, ma si tratta di un segmento che vale solo il 5% del valore aggiunto totale del settore. Dall’industria navale e aerea a quella degli utensili, dell’elettronica e degli impianti, conta circa 60 mila imprese. Dopo la crisi del biennio 2008-2009, il comparto è tornato a crescere, specie con l’export, il motore della metalmeccanica italiana.

Elettrodomestici, nel declino si salvano solo ricerca e sviluppo

Dal 2000, l’Italia non è più un centro privilegiato di produzione dell’industria del “bianco”, cioè gli elettrodomestici. Lo spostamento delle attività produttive verso Est ha avuto riflessi sulle dimensioni del settore, produttività e valore aggiunto. In quattro anni si sono persi 30 mila posti di lavoro. Ma chi innova ce la fa, soprattutto puntando sull’eco-compatibilità.

Industria delle armi, qualità e tecnologia d’avanguardia

Un giro d’affari attorno a 15 miliardi di euro e lavoro per circa 50 mila addetti. Questo il peso specifico dell’industria delle armi, che vede l’Italia in vetta alla classifica europea dei produttori di armi civili, con 600 mila pezzi prodotti l’anno. Il cuore della produzione italiana di armi è però rappresentato dal settore militare, dove più dell’80% del fatturato viene realizzato da Finmeccanica.

Agroalimentare, il vero “gioiellino” dell’industria italiana

L’industria alimentare italiana è sempre più votata all’export: è la prima esportatrice al mondo di pasta, in seconda posizione per i vini e la terza per cioccolata e preparati con cacao. Le 55 mila imprese attive nel settore sono in gran parte di piccole dimensioni e se va male la domanda interna, hanno aumentato le esportazioni di oltre il 10% sul 2010, portando il valore complessivo dell’output ad oltre 23 miliardi di euro. E quasi la metà delle imprese investe in innovazione e sviluppo.

Edilizia, crisi senza cura per due milioni di lavoratori

Occupa quasi 2 milioni di persone e vale il 5,2% dell’intero valore aggiunto dell’economia nazionale. Ma, dopo il picco del 2007, per l’edilizia continua la crisi più grave dal Dopoguerra: dal 2008 gli investimenti, pari a 152 miliardi nel 2010, sono calati addirittura del 21,1 per cento. I posti di lavoro persi, secondo stime dell’Ance, sono stati circa 250mila. Aspettando che lo Stato saldi i suoi debiti e investa, il futuro sono le commesse all’estero, in continua crescita, e la riqualificazione del patrimonio abitativo.

Marchionne vuole l’America ma in Italia fa sempre meno

«Le fabbriche italiane si salvano solo se esporteranno in America», ha detto Sergio Marchionne in uno dei passaggi chiave di una lunga intervista sul Corriere della Sera. E sul futuro degli stabilimenti italiani ha detto: «Abbiamo tutto per riuscire a cogliere l’opportunità di lavorare in modo competitivo anche per gli Stati Uniti, ma se non accadesse dovremmo ritirarci da 2 siti dei 5 in attività». Ma quali sono i volumi di produzione di Fiat in Italia? E negli altri stabilimenti del gruppo? 

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