Se apriamo un quotidiano alla pagina dei tamburini dei teatri di Milano possiamo smettere per un attimo di lamentarci, e sentirci felici di vivere in questa città: in un fine settimana d’autunno, quando le stagioni teatrali non sono ancora cominciate o stanno ancora scaldando i motori, abbiamo già una quindicina di spettacoli tra cui scegliere.
Ci sono le grandi istituzioni internazionali Piccolo e Scala, c’è il miracolo dell’ElfoPuccini che ha avviato da un anno la sua multisala teatrale in Corso Buenos Aires e si prepara a sparare spettacoli a raffica, ci sono realtà come il Crt e l’Out Off che hanno fatto la storia del teatro di ricerca.
Ma ci sono anche teatri più nuovi, piccoli e allegri che contribuiscono quanto i grandi a fare di Milano una città interessante e viva e creare una cultura teatrale diffusa. Sono realtà dai budget limitati che offrono un teatro giovane, low cost e di qualità. Fanno molto e costano poco ma, come tutti, devono fare i conti con la crisi.
Abbiamo chiesto di raccontarci a che punto siamo a Federica Fracassi, attrice e regista che condivide la direzione artistica del Teatro I con il regista Renzo Martinelli e alla regista Serena Sinigaglia, direttrice artistica dell’Atir (questo secondo servizio sarà pubblicato la settimana prossima). Il Teatro I, fondato dal pioniere del teatro di ricerca milanese Mario Montagna, occupa dal 2004 una sala del Comune in via Gaudenzio Ferrari: un piccolo foyer dove trovano posto anche le scrivanie dello staff, una bella terrazza che guarda sulla conca leonardesca e una sala da 96 posti. Il quartiere brulica di ristoranti e happy hour, gli ambienti sono accoglienti, il pubblico c’è: tanto da far sognare la trasformazione di un capannone attiguo in una seconda sala.
Non molto più grande: 150, 200 posti al massimo. «Abbiamo già un progetto – racconta Federica Fracassi – firmato dallo Studio Piuarch di Milano. Ce lo hanno offerto gratuitamente perché apprezzano il nostro lavoro. Dopo la pausa elettorale ed estiva stiamo riprendendo il dialogo con il Comune per verificare le possibilità di uno stanziamento e anche per cercare di intercettare insieme gli sponsor privati. L’obiettivo è di avere la nostra nuova Factory teatrale pronta per l’Expo 2015».
Avete appena presentato la nuova stagione: qual è oggi l’identità del Teatro I?
«Cerchiamo di essere una realtà piccola con un’identità forte: come quei negozi sicuri dove trovi poche cose che sai che non troveresti altrove e tutto è declinato con coerenza, dalle produzioni alle ospitalità alla grafica. Ci interessa un teatro di ricerca da seguire in modo non occasionale ma come una storia che prosegue. Invitiamo gruppi della nostra generazione che tornano costantemente, come i Fanny & Alexander e i Motus, ma anche gli Artefatti che quest’anno non ci sono ma sono già venuti quattro volte. Avere una seconda sala ci permetterebbe di sviluppare progetti di residenze. E poi ci piace trovare elementi vicini al nostro sentire anche in poetiche molto lontane: l’anno scorso l’”Ex Amleto” di Roberto Herlitzka è stato un momento di vera ricerca, nonostante la distanza generazionale».
Come va la risposta del pubblico?
«Bene, abbiamo quasi sempre tutto esaurito e un incremento delle richieste. Non abbiamo i mezzi per fare vere campagne pubblicitarie, lavoriamo su internet e sul passaparola. Negli anni abbiamo avuto soprattutto spettatori per i singoli spettacoli, fan delle nostre produzioni o delle diverse compagnie ospiti, ma adesso si sta creando un pubblico per la nostra proposta complessiva. Di solito per ragioni economiche riusciamo a tenere uno spettacolo solo per pochi giorni e questo privilegia gli appassionati, che sono più informati, sul pubblico generalista».
Come funziona il Teatro I e quanto costa?
«Siamo una cooperativa, che adesso pensiamo di trasformare in associazione: un tutto meno di 10 persone per organizzare una stagione di 17 titoli da ottobre a giugno, tra cui 4 nostre produzioni. Le spese si aggirano sui 250.000 euro. Finora abbiamo avuto 35.000 euro l’anno dalla convenzione con il Comune, ma l’intero sistema delle convenzioni sarà ridiscusso. Dal ministero arrivano 15.000 euro, nulla da Regione e Provincia. In questi anni è stato fondamentale l’apporto di Cariplo, che ci ha garantito 30.000 euro l’anno. Ci auguriamo che questa partnership continui, ma è vitale trovare nuovi sostenitori in vista della risitemazione della seconda sala».