Il futuro del governo si decide in due giorni. In queste ore il presidente della Camera Gianfranco Fini salirà al Quirinale per riferire al capo dello Stato le richieste dei partiti di opposizione, convinti della necessità di un nuovo esecutivo. Domani il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi interverrà alla Camera per chiedere la fiducia. Venerdì l’atteso voto dell’Aula.
Lo scivolone del governo, che ieri è stato battuto alla Camera durante il voto sul Rendiconto generale dello Stato, ha innescato un duro confronto in Parlamento. La prima sorpresa questa mattina, quando la Giunta per il Regolamento di Montecitorio – la maggioranza dei componenti siede all’opposizione – stabilisce che il disegno di legge di Rendiconto non potrà essere ripresentato dal governo. Una doccia fredda per l’Esecutivo, impossibilitato a superare «l’incidente tecnico» (così ieri Berlusconi) con un nuovo voto.
Le opposizioni fanno fronte comune per spingere il governo alle dimissioni. Durante la mattina a Montecitorio si susseguono gli incontri tra i principali esponenti di Terzo Polo, Idv e Pd. Si cerca una strategia comune. Mentre è in corso la Giunta per il regolamento, Pier Luigi Bersani, Pierferdinando Casini e Francesco Rutelli vengono ricevuti nello studio di Fini. La posizione più dura è quella del Partito democratico. Tanto che in queste ore il capogruppo Dario Franceschini sta studiando l’ipotesi di disertare, in segno di protesta, i lavori parlamentari.
Lo scontro tra maggioranza e opposizione si consuma verso le 12, quando il presidente della Camera convoca la conferenza dei capigruppo per stabilire il calendario dei lavori. Davanti ai rappresentanti dei gruppi il ministro Elio Vito presenta la richiesta del premier Silvio Berlusconi. Il Cavaliere chiede di poter parlare in Aula già oggi. Un discorso programmatico su cui chiedere la fiducia alla Camera. L’opposizione non ci sta. I rappresentanti di Pd, Idv e Terzo Polo pretendono le dimissioni del governo. A fare da mediatore è Gianfranco Fini. L’ex leader di An fissa per giovedì alle 11 l’intervento in Aula di Berlusconi. Ma garantisce alle opposizioni che oggi salirà al Colle per presentare il loro «parere comune» a Giorgio Napolitano. «Una scelta obbligata – racconta chi era presente – in questa situazione nessuno può ancora costringere il governo alle dimissioni».
Con ogni probabilità il presidente della Repubblica ascolterà le critiche dei partiti di opposizione. Ma difficilmente prenderà posizione. «Domani il governo chiederà la fiducia alla Camera – spiega un deputato di maggioranza a Montecitorio – prima di qualsiasi intervento credo che il Colle dovrà attendere l’esito di quel voto». Intanto il capo dello Stato consegna ad una nota ufficiale il suo pensiero. In un comunicato di qualche ora fa Napolitano non nasconde la sua preoccupazione. E chiede a Berlusconi, di fatto, di confermare la tenuta della sua maggioranza. «La questione che si pone – si legge – è se la maggioranza di governo ricompostasi nel giugno scorso con l’apporto di un nuovo gruppo sia in grado di operare con la costante coesione necessaria per garantire adempimenti imprescindibili come l’insieme delle decisioni di bilancio e soluzioni adeguate per i problemi più urgenti del paese, anche in rapporto agli impegni e obblighi europei».
Intanto Silvio Berlusconi si prepara all’appuntamento di domani. In Transatlantico si sparge la voce che il Cavaliere stia già lavorando alla stesura del discorso che terrà alla Camera. Se non ci saranno sorprese della ultim’ora il risultato del voto rischia di essere scontato. Il governo dovrebbe tenere anche stavolta: «Ad ogni voto di fiducia la maggioranza si compatta» ammette con rassegnazione un esponente delle opposizioni. Una prima conferma arriva nelle prime ore del pomeriggio quando il Responsabile Domenico Scilipoti – assente durante il voto di ieri – ammette di essere pronto a rivedere la sua posizione. Domani confermerà la fiducia al Governo. Davanti all’ineluttabilità dei numeri, il Pd pensa a una clamorosa protesta. Al momento si sta valutando la possibilità di disertare. Magari più domani che venerdì.