Mentre a nessuno in questi anni, neppure a Diliberto e Marco Rizzo, è mai venuto in mente di far rinascere il Pci, sono in tanti che hanno accarezzato il sogno di resuscitare la Dc. Il mito della “balena bianca” ha attratto Casini e gli ex democristiani, e soprattutto ha affascinato Silvio Berlusconi. Un partito di cattolici, moderato, liberale in economia, interclassista e compassionevole è sembrato a tutti i figli della seconda repubblica l’aspirazione continuista per guadagnare rispettabilità.
Adesso ci prova Angelino Alfano che è cattolico con simpatie Cl, è stato da piccolo democristiano, viene dalla stessa Sicilia che ha dato tanti leader, alcuni impresentabili, allo scudo crociato, è indubbiamente un moderato dai modi gentili. Se ci riuscirà lo scopriremo nel tempo, anche se giustamente i puristi della politica ritengono l’impresa praticamente impossibile.
L’ascesa di Angelino al vertice del Pdl è stato un evento praticamente annunciato. I due storici candidati alla sostituzione di Berlusconi, Casini e Fini, sono andati via, Scajola ha troppi scheletri nell’armadio e troppi nemici, Tremonti gioca un campionato tutto suo, come dimostra anche la vicenda della norma salva-Fininvest ritirata ieri. Angelino poi ha il vantaggio dell’età, ha navigato nelle acque turbolente del berlusconismo senza bagnarsi troppo, le opposizioni lo stimano anche se non possono dirlo. Il giornale dei vescovi, Avvenire, ormai così parco di giudizi positivi sul premier e la sua corte dei miracoli, ne ha parlato bene. Il mondo Pdl si aggrappa a lui perché spera in una transizione senza strappi. La memoria storica lo aiuta solo in parte. Adolfo Suarez, asceso alla guida della Spagna dopo Franco, fu un grande traghettatore, persino eroico, come ha scritto Javier Cercas, durante il golpe del colonnello Tejero. Del successore della signora Thatcher invece non ricordiamo oggi neppure il nome.
Angelino deve fare l’operazione che non è riuscita – anche perché non ci ha mai nemmeno provato – a Berlusconi, cioè trasformare quella maionese impazzita che è il Pdl in un vero partito. L’ultimo Berlusconi paradossalmente ha bisogno di una struttura solida per consolidare quel mondo di umori, passioni e interessi che si è legato alla sua persona. Contro Alfano giocano diversi fattori. Il Pdl è politicamente fallito: se ci fosse un tribunale della politica i suoi libri finirebbero lì. Il suo gruppo dirigente è fatto da ex fascisti abbarbicati alle poltrone e funzionari della vecchia politica che si sono ribattezzati con Berlusconi. La periferia è talmente in subbuglio che se non fosse scortese si potrebbe dire che è tutto un casino, la questione morale dilaga. In più Silvio Berlusconi è inamovibile proprio quando per la prima volta è diventato per il suo mondo il problema e non la soluzione del problema.
I parenti avrebbero dovuto dissuadere Angelino dall’impresa vista la sua terribile difficoltà. Ma il giovane ex ministro ha dalla sua alcune carte. Può diventare indispensabile per un mondo politico alla ricerca di un nuovo centro di gravità permanente, può sollecitare la rivincita dei quarantenni di tutti i partiti, soprattutto quelli del Pd soffocati da sessantenni inamovibili, può dire all’elettore di destra che finiti i ricchi premi e cotillon si comincia a fare sul serio e soprattutto non si smobilita. Non è poco.
Al suo partito Alfano ha detto di non aspettarsi le protezioni di una volta. L’ombrello coprirà solo Berlusconi, gli altri se pioverà si bagneranno. A Tremonti ha indicato la strada stretta dell’allineamento o della fuoriuscita alla maniera di Fini o di Follini. Ai cattolici ha fatto capire che è arrivato il momento che dopo un leader sfrontato e dissoluto si torni all’ecumenismo compassionevole dei vecchi chierici di partito. Nessuno sa se ce la farà. Tuttavia sbagliano quelle opposizioni, tranne Di Pietro, che lo danno già per sconfitto. La destra, nel senso di quel mondo di cittadini e elettori che ha creduto nel premier, cerca spasmodicamente un nuovo punto di riferimento e sa che il modello Berlusconi è irripetibile e che quindi deve preferire uno “normale”.
Il rischio che la transizione al dopo Berlusconi sia troppo lunga e che nel frattempo il Pdl esploda definitivamente incombe sul mite Angelino, tuttavia la sua forza è che non ha rivali veri. Sconfitto lui, resta la disgregazione. Tuttavia nessuno si attende da lui gesti clamorosi e l’idea che arrivato al vertice della carriera deponga il suo mentore con una congiura di palazzo appare infantile e persino un po’ stupida. Il suo unico compito è di restare a galla senza danni fino a che il Cavaliere non annuncerà il suo ritiro, solo allora il sogno neo-democristiano di Alfano potrà realizzarsi. Nel frattempo rischia di invecchiare, di vedere “mascariata” la sua immagine, di essere logorato da La Russa e Verdini. Però se si rivelerà capace potrà lanciare messaggi di ricostruzione al suo mondo, tessere la tela del dopo, aggangiare i vescovi, dialogare con le imprese. Non farà mai la Dc perché quella macchina politica è irriproducibile ma può salvare la destra dal rischio jugoslavo con tanti Mladic a spartirsi i territori dell’ex comandante supremo. È bene tenerlo d’occhio, soprattutto il centro-sinistra deve vigilare e liberarsi dalla euforia alla Achille Occhetto che festeggiò prematuramente la vittoria e non si accorse che nell’altro campo fervevano i lavori. Questo giovane capo cantiere con il berrettino firmato, la parlata piana, l’aria beneducata può stabilizzare i berlusconiani ubriachi e delusi dopo la sbornia ininterrotta di questi diciassette anni. Almeno ci proverà.
Ti interessa l’inizio della storia politica di Angelino Alfano, le sue prime uscite e come ha “incontrato” Forza Italia?