Sinistra, per il dopo Silvio impara la lingua dei non protetti. O sparirai

Sinistra, per il dopo Silvio impara la lingua dei non protetti. O sparirai

L’Italia che si prepara a voltare la pagina del berlusconismo ha bisogno di una sinistra. Potremmo dire che tutte le società moderne dalla metà dell’Ottocento in poi hanno bisogno di una sinistra. E di sinistre ce ne sono state tante. Riformiste o riviluzionarie, liberali o autoritarie. La sinistra di oggi è una cosa di difficile comprensione, soprattutto in Italia. Bersani ne interpreta una onesta e severa che sabato poneriggio ha celebrato la rivincita delle formiche sulle cicale. Vediamo tutti che non basta. La sfida dei nuovi tempi pretende un colpo d’ala, una messa in discussione di antiche certezze e di novità che non siano il camuffamento di cose antiche.

Se guardiamo all’indietro possiamo elencare una miriade di tentativi malriusciti. Berlinguer e Craxi rappresentano la polarità espressa dalla sinistra alla fine del secolo scorso. Abbiamo tifato per l’uno o per l’altro, io per Berlinguer, ma entrambi non sono riuscti a dare una risposta, come dire?, epocale. Se vogliamo, invece, andare alla sfida delle idee, e anche alla sconfitta di queste, dobbiamo rievocare altri momenti che hanno saputo interpretare meglio la scommessa del nuovo. Penso alla proposta di Giorgio Amendola di sciogliere Psi e e Pci in un unico partito socialdemocratico. Penso al manifesto di Salvatore Veca e di Michele Salvati per lo scioglimento del Pci. Penso all’idea del Pd avanzata da Romano Prodi. Amendola fu sconfitto subito, Veca, Salvati e Prodi hanno visto fallire le loro geniali fantasie.

Tutte e tre avevano in comune l’idea del mutamento della società e la necessità di modificare lo strumento politico che avrebbe dovuto pilotare il cambiamento. Amendola proponeva la socialdemocrazia europea, pur portandole in dote una visione troppo prigioniera della guerra fredda. Veca e Salvati proponevano al Pci uno scioglimento prima dell’89, quando poi avvenne con tutte le incrostazioni dovute all’elaborazione del lutto della sconfitta storica. Prodi celebrava il passaggio ad una prospettiva che dava alla sinistra un orizzonte più ampio pur nelle forche caudine dei partiti esistenti. Questo è il passato. E figlio di questo passato, quindi anche delle sue ambizioni mancate, è anche il Pd.

Quello di cui dobbiamo occuparci oggi non è però l’analisi delle ragioni di questo ripiegamento, di questo attuale volare basso della sinistra, tanto meno la sfida di leadership, che è importante ma non decisiva. Ciò che ci deve stare a cuore, come stava a cuore a Amendola, Veca, Salvati e Prodi è il destino della sinistra, la sua funzione nazionale, per usare un’espressione che noi cresciuti nel togliattismo amiano molto.

La sinistra ha rappresentato nella sua storia i meno fortunati ma ha fatto leva su di loro per immaginare un futuro di crescita economica e democratica. Anche la funzione storica della classe operaia, depurata dagli ideologismi, indicava un protagonista di progresso e non solo una classe da tutelare. Non a caso la sinistra riformista è sempre stata produttivista, fautrice di un patto di produttori, levatrice di nuovi protagonismi sociali. La sinistra, cioè, aveva senso e si affermava quando innovava. Non ha mai solo difeso, ha cambiato. Nei suoi momenti migliori anche l’ideologia serviva a questo scopo, basta pensare alla forte mobilitazione intellettuale a sostegno delle battaglie di progresso e di civiltà negli anni dell’egemonia cattolico-democristiana.

La sinistra di oggi appare invece vecchia e stanca. I suoi critici, anche dall’interno, su questo chiodo battono sempre spesso, però non riuscendo a vedere oltre il teatrino della politica. Fuori di questo c’è invece l’immagine di un paese che deve tornare a produrre, che deve far leva sull’imprenditoria più capace, sul capitale più amante del rischio, sul lavoro più colto e flessibile. Mi ha molto colpito leggere le cifre che ieri ha dato sul “Corriere” Pietro Ichino, studioso spesso inascoltato dai suoi e strumentalizzato dagli altri, quando racconta che in Italia la massa di coloro che hanno un lavoro non garantito e senza diritti assomma a undici milioni contro i nove milioni di occupati stabili.

Finchè non si rimette al centro dell’orizzonte politico-sociale del paese questo enorme esercito di senza patria è difficile immaginare una buona battaglia di progresso. Quella che è di fronte al paese e a una sinistra nuova è una doppia sfida. La prima riguarda la salvezza, persino Marx richiamava il rischio della rovina comune delle classi in lotta fra di loro. La seconda riguarda l’asse che deve far ruotare la prospettiva della ricostruzione. I sindacati e la sinistra attuale dicono che è il lavoro.

Hanno ragione. Ma come si difende il lavoro? Il lavoro si difende aiutando la crescita dell’economia, sollecitando l’imprenditoria a sfidare le innovazione e i nuovi mercati, garantendo tutele senza rigidità. Possiamo avere in testa un altra sinistra, che pure mi fa battere il cuore, quella cioè che si chiude nella difesa dei lavoratori che conosciamo e che solidarizza verbalmente con quelli sconosciuti. Ma la sinistra a cui abbiamo fatto riferimento all’inizio, quella socialdemocratica di Amendola, quella post comunista di Veca e Salvati e quella democratica di Prodi, aveva un’altra ambizione, voleva guidare la società, voleva portarla all’altezza dello Stato.

A questa sinistra possiamo dare il nome che vogliamo, in Europa si chiama socialista, ma il risultato non cambia. E’ una sinistra che poggia su quel vulcano formato dall’esercito di persone che rappresenta la contraddizione più esplosiva e più avanzata dell’attuale sviluppo capitalistico. Messe così le cose il tema non è se questa sinistra ama o no il mercato. Per fortuna questa è una discussuone vecchia. Ma se questa sinistra sceglie o no di creare ricchezza e per questa via immagina nuove soglie democratiche. In fondo la crisi del berlusconismo ci consegna un’idea di società bloccata e imbambolata dal sogno della ricchezza per tutti. Oggi dobbiamo sapere che ci muoviamo in un mondo di risorse da centellinare ma in un mondo che non ha finito di esplorare i confini dello sviluppo e di una migliore condizione umana. Qui c’è la sinistra. Qui deve sfidare se stessa. Altrimenti sopravvive, vivacchia e alla fine si farà nuovamente mettere fuori gioco.