A rischio il muro di Alda Merini, al suo posto un bel salone doppio

A rischio il muro di Alda Merini, al suo posto un bel salone doppio

Sul muro di casa di Alda Merini, sopra quello che era il letto della poetessa scomparsa nel 2009, è rimasta più di una traccia della fantasia e dell’indolenza dell’autrice di “Fiore di poesia”. Uno zibaldone di pensieri, battute, disegni e caricature fatte anche da amici, una lavagna per appunti e numeri di telefono, un diario all’aperto. Un muro imbrattato quindi, ma da una poetessa e che spesso ha fatto da sfondo a interviste e documentari sulla Merini.

La casa però non è mai stata di proprietà della Merini e i legittimi proprietari della palazzina in via Ripa Ticinese 47 hanno deciso di ristrutturare l’appartamento e abbattere il muro. Alla figlia Barbara è stata comunicata pochi giorni fa anche una data, 15 gennaio, termine ultimo per avvicinare il naso all’intonaco e curiosare tra numeri di ammiratori, amiche, studenti e gli aforismi di una professionista del genere, come “Amo la sporcizia, la desidero, la bramo” vicino a una caricatura della poetessa con l’immancabile sigaretta accesa.

Per scongiurare la rimozione del diario quotidiano della Merini si sono mosse le figlie Barbara ed Emanuela. È stata lanciata una petizione online e aperta la classica pagina Facebook (Salviamo Casa Merini). Allarmato dalla petizione, l’assessore alla Cultura Stefano Boeri si è mostrato interessato suggerendo una ricostruzione fotografica completa ma gli eredi preferirebbero salvaguardare il muro nella sua integrità.

In realtà una casa per tutelare e riprodurre il regno casalingo della Merini c’è già, ed è la casa museo inaugurata nel marzo 2010 in via Magolfa sui Navigli, dentro una ex tabaccheria. Nel museo ci sono solo quegli oggetti che popolavano il regno di casa Merini, compresi il pianoforte e lo specchio donati dagli eredi. Ma è «soltanto una stanza raffazzonata che non racconta nulla della casa di mamma», racconta Emanuela, l’altra figlia: «I mobili sono stati messi in un magazzino del comune di Milano, resteranno lì finché non si troverà lo spazio necessario. Già da tempo si era cercato di recuperare la parete ma con il cambio di amministrazione milanese la cosa era caduta nel dimenticatoio. Inizialmente il Comune provò a fare un’offerta per rilevare la casa, ma i proprietari rifiutarono. Poi vennero i periti a fare fotografie durante il trasloco dell’agosto 2010 di cui mi occupai io. Il Comune disse che non aveva i 100mila euro necessari per rimuovere quell’intonaco. Quella casa è molto piccola, spianeranno tutto per renderla più grande. Noi chiediamo una proroga. Ci sono molte persone che si stanno offrendo per fare questo lavoro, architetti, studenti, c’è anche chi ci invita a raccogliere fondi».

Particolari dei muri di Casa Merini (foto g.p.)
Nelle questioni di eredità di scrittori e poeti a volte le case e i soldi sono più facili da gestire che carte, biblioteche e graffiti. La Pivano a fatica trovò uno spazio nella sua Milano. I libri sarebbero andati bruciati per espressa volontà della saggista delusa dai rifiuti delle amministrazioni di Roma e Milano. Nessuno voleva i 50mila volumi dell’archivio personale. Nicolini prendeva tempo, Tognoli consigliava di tenerli a casa. Poi arrivò Luciano Benetton a salvare le prime edizioni di Kerouac e Hemingway.

Poi c’è l’incuria. Sempre a Milano, ma meno ingombrante dei 50 mila volumi della Pivano, venne rimosso il bellissimo affresco del disegnatore del New Yorker Saul Steinberg che eseguì nel 1961 nell’atrio della Palazzina Mayer a Milano, dove aveva studiato, in via Bigli 11. Oggi rimane nella memoria di pochi e nelle preziose fotografie di Ugo Mulas. L’opera che ricopriva le quattro pareti rappresentava un grande paesaggio urbano, la classica summa steinberghiana delle copertine del New Yorker. Era un omaggio alla città che lo aveva ospitato da studente ma che lo aveva anche messo in carcere e poi costretto a fuggire per le leggi razziali. Commissionata inizialmente da un privato, il graffito finì per essere pubblico, divenne un’opera aperta cui rendere visita. Steinberg chiedeva agli amici di lasciare una traccia, una firma.

L’affresco di Steinberg resistette anche al nuovo uso dell’androne trasformato in un’autorimessa. Poi negli anni 80 la sciagurata ristrutturazione della palazzina. Tolti i ponteggi, il graffito non c’era più. Nessuno sa se venne distrutto o soltanto ricoperto, a dimostrazione che spesso è il tempo il peggior censore. C’è un muro simile a quello della Merini anche a casa di Valentino Zeichen a Borghetto Flaminio a Roma. Forse le agende private dei poeti meriterebbero sorte migliore, o almeno una proroga in attesa di sistemazione. 

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