Con Splinder finisce una delle più belle avventure del web

Con Splinder finisce una delle più belle avventure del web

Splinder morirà. Ormai è deciso. Sarà il 31 gennaio 2012, quando la piattaforma blog che fu la più gloriosa del mondo avrà quasi 11 anni. Con sé porterà via centinaia di migliaia di blog e messaggi, post e osservazioni. Al momento conta più di 470 mila blog aperti (anche se molti sono stati abbandonati senza essere chiusi) e gli utenti sono 745 mila (anche se molti sono doppioni).

Eppure, sebbene se ne stia andando in punta di piedi, l’avventura di Splinder è stata lunga ed esaltante. Chi si aggirasse tra le sue pagine potrebbe incontrare ancora frammenti di conversazioni, pensieri e post sempre meno recenti, quasi antichi. Lungo il tempo delle tecnologie informatiche, la sensazione è quasi quella di un tour archeologico. Tanto tempo fa, i social network non c’erano. I blog, in Italia, erano agli albori. E chi si avventurava in rete poteva trovare solo informazioni, non relazioni.

«C’era solo un messenger ma senza identità personali. E poi i forum», spiega a Linkiesta Marco Palombi, inventore di Splinder. «e io cercavo qualcosa che mi permettesse di conoscere, di comunicare con le altre persone in rete». Nasce così l’idea di una piattaforma che sapesse coniugare le chat (un tipo di comunicazione sincrona) con i post e i blog (che invece sono comunicazione asincrona). Ora sembra una cosa ovvia, ma all’epoca non l’aveva ancora fatto nessuno. Era una rivoluzione, nel 2001. «Cercavo persone che mi aiutassero a coniugare queste due tecnologie», racconta. E allora si forma la squadra, con amici e altri appassionati, e si comincia. Lavorano sul software, adattano il linguaggio della piattaforma di chat per Windows e poi ne vendono, di volta in volta, i risultati. Alla Nasa, alla Hewlett Packard. «Da qui arriva il capitale iniziale con cui pensare alla piattaforma blog».

Era solo l’inizio. «Mi ricordo che eravamo esaltatissimi. Passavamo le notti a lavorare, a casa mia, in cucina, un’idea dietro l’altra». E poi? «Una volta aperta la piattaforma, è partito il tam tam». Da un lato gli amici, dall’altro il sito di Bloggando (una delle prime, rudimentali, piattaforme blog), dall’altro ancora una società che si occupava anche di spam che, sulla sua mailing list, informava della novità in arrivo. Ma, pubblicità a parte, «si stava diffondendo l’abitudine, la necessità di scrivere blog». E così, nella movimentata marea del digitale, Splinder riesce a prendere l’onda giusta. E a salire.

«Splinder era speciale. Aveva feature che non c’erano nemmeno in America, all’epoca». L’instant messenger, i post via audio e via cellulare, il Voip. «Cresceva, cresceva. Non ce lo aspettavamo, ed era divertentissimo, ma anche un casino», continua Palombi. A un certo punto, il supporto non basta più: servono nuovi server. Prima virtuali, poi reali. «Li abbiamo trovati in Canada, che costavano pochissimo», perché erano nei pressi di giacimenti petroliferi, che abbattevano i costi dell’elettricità. «All’epoca avevo 30 anni, decine di server in Canada e una community radicata in Italia». E, in arrivo, tanti soldi da parte di società che compravano le loro versioni per i software di instant messaging. «Ci pagavamo così. Non c’era la pubblicità. I concessionari non si fidavano: come potevano essere sicuri che, essendo in una community, il loro prodotto non si trovasse associato a contenuti inappropriati?». Ora, con Facebook e Twitter, questi problemi non se li pone proprio nessuno. Altri tempi.

«Abbiamo continuato così per cinque anni», racconta Palombi. E intanto Splinder si è concentrato più sul lato blog che quello della messaggistica. «Lì eravamo più avanti di tutti». In Europa erano i primi. Gli unici. E continuavano a crescere, aprendo a iniziative con centri universitari per studiare il fenomeno dei blog e il loro impatto sulla società. Dalla London School of Economics di Londra, all’Università di Trieste, dallo Iulm di Milano, a Ca’ Foscari di Venezia. «Ci chiamavano tutti. La Telecom, Dada di Rcs, e anche Murdoch. O meglio, una persona per conto di Murdoch». Perché?«Volevano conoscerci, sapere come lavoravamo e che cosa avessimo in mente».

Poi, un giorno, del 2006, Dada di Rcs «fa un’offerta che, davvero, non potevamo rifiutare». Splinder viene ceduta e, da lì, Palombi smette di seguirla dall’interno. Il suo successo continua ancora per un paio di anni, nasce la SplinderNight, un happening in cui gli utenti della piattaforma potevano incontrarsi dal vivo e conoscersi davvero. Ma, nel 2008, l’evento salta senza chiare ragioni. Da quell’anno non si fa più. Le cose, intanto, avevano cominciato a prendere una china spiacevole.

Sarà stato Facebook, o WordPress, o altre piattaforme blog. O la semplice incuria. «Non ci sono stati investimenti. Dal punto di vista tecnologico, Splinder è rimasto uguale a cinque anni fa: è cambiata solo la grafica», si limita a notare Palombi con un filo di disappunto. E, con il tempo, a un certo punto non conveniva più mantenerlo in vita. Può dispiacere, ma la fine è arrivata anche per quest’invenzione italiana che è durata ben dieci anni. Un’eternità, per la rete. E così, il 31 gennaio del 2012 si chiuderanno i battenti e si passerà ad altro. Splinder entrerà a far parte della storia e solo di quella. «Peccato», aggiunge Palombi, «insieme alla piattaforma spariranno anche tante relazioni nate nel passato grazie alla rete». Questo – si può notare – succede anche nella vita. Ma, in realtà, se ne va un pezzo di storia informatica, un momento di grande vitalità, una scommessa sul futuro, un nuovo modo di relazionarsi passato attraverso le parole di messaggi e di blog. 

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