Approvare la riforma elettorale è indispensabile. È questa la priorità del Partito democratico. Eppure nella remota ipotesi – ma forse non così remota – che le Camere non riescano a riformare il Porcellum, il Pd organizzerà le primarie per eleggere i propri candidati al Parlamento. La conferma è arrivata dal segretario nazionale Pier Luigi Bersani, intervenuto ieri pomeriggio all’Assemblea nazionale del partito.
Insomma, basta liste bloccate. Porcellum o meno, i militanti del Partito democratico potranno scegliere i propri candidati. Come aveva chiesto Romano Prodi. In che modo? Non è ancora dato saperlo. Si fa presto a dire primarie: il modello elettorale finora sperimentato dal Pd non va bene. Stavolta non si deve eleggere un candidato presidente del Consiglio (o segretario di partito, sindaco, presidente di regione). Ma una lista di nomi da inserire nel listino bloccato previsto dalla legge Calderoli. Una novità assoluta, che necessita di un meccanismo ad hoc.
Bersani per ora non ci vuole pensare troppo. Il suo resta un impegno solenne, ma generico. Il Pd è pronto, extrema ratio, a candidare i suoi uomini attraverso le primarie. Punto. Eppure tra i dirigenti presenti all’assemblea romana c’è chi non si dà pace per trovare la soluzione al problema. Meglio, per vincolare il partito a un impegno più stringente. Sono il consigliere regionale lombardo Pippo Civati (già rottamatore) e il deputato veltroniano Salvatore Vassallo, che in queste ore stanno raccogliendo le firme per presentare un ordine del giorno in materia. I due hanno studiato un regolamento per le primarie “politiche”, a cui il partito si dovrà attenere nel caso in cui il Porcellum resti in vigore. Un documento – per la presentazione basta raccogliere trenta sottoscrizioni – che con ogni probabilità sarà messo ai voti oggi.
Il sistema non è semplicissimo. Ma, spiega Vassallo, ha il pregio di garantire «trasparenza» agli elettori democrat. Anzitutto sono ridefinite le dimensioni dei collegi. Quelli previsti dal Porcellum – quasi sempre corrispondono al territorio regionale – sono troppo grandi. Primarie di questo tipo sarebbero impensabili. «Significherebbe costringere i candidati a campagne elettorali costosissime» continua Vassallo. Per non parlare dell’enorme numero di candidati.
Il progetto al vaglio dell’assemblea Pd prevede collegi più piccoli. Salvo rare eccezioni – come Roma e Napoli – ogni provincia è un collegio elettorale. Come si vota? Ogni elettore avrà due preferenze. Può utilizzarle entrambe, o solo una. Nel primo caso, però, dovrà indicare due candidati di genere diverso. Un uomo e una donna, o viceversa. Attenzione: in questa fase non c’è alcuna differenza tra Camera e Senato. Ogni candidato si presenta indistintamente dal ramo del Parlamento di cui farà – eventualmente – parte.
Qui il meccanismo si fa più complesso. E, c’è da scommettere, rischia di scoraggiare qualche elettore, anche tra i più motivati. Formano le liste bloccate del Porcellum i candidati più votati di ogni collegio. Ad ogni provincia sarà attribuito un numero di candidature in relazione ai risultati ottenuti dal Pd alle politiche del 2008. Semplificando: più forte è il partito in quella provincia, più candidati potranno ambire al Parlamento. Con lo stesso calcolo sarà possibile stabilire l’ordine con cui le candidature saranno assegnate a ciascun collegio.
Il progetto di Vassallo e Civati è senza dubbio lodevole. Condivisibile la proposta di un modello che vincoli il partito a qualcosa di più che una generica promessa. Il dubbio, semmai, riguarda un altro aspetto. Il sistema sarà sufficientemente chiaro e trasparente per appassionare il popolo democrat?