L’agente MormoraSparò ad Acca Larentia, oggi fonda il Partito delle Aziende

Sparò ad Acca Larentia, oggi fonda il Partito delle Aziende

Ieri si moriva di politica, oggi si muore dalla voglia di far politica. A trentaquattro anni dalla strage di Acca Larentia, il ricordo fa notizia e la memoria si riprende le strade, le targhe, le piazze e porta a galla mille contraddizioni.

A Stefano Recchioni piacevano De André e Guccini, gli piaceva anche il paracadutismo e avrebbe dovuto arruolarsi nell’esercito. Non condivideva la svolta moderata e rassicurante inaugurata da Giorgio Almirante, il segretario del Movimento Sociale. Era così sveglio, Stefano, da arrivare a profetizzare la sua stessa fine mentre discute coi suoi amici missini: «Ormai, per questo partito, noi militanti siamo solo carne da macello». A Colle Oppio c’era la sua vita, fatta di manifesti dipinti a mano e di geografie modulate sulla scia dei personaggi e dei luoghi della prosa tolkieniana, tutt’intorno invece ci sono gli anni Settanta tinti col sangue dei vinti e dei vincitori, la logica degli opposti estremismi e una Roma troppo violenta. Stefano Recchioni moriva per mano di un carabiniere, il 9 gennaio, dopo due giorni di agonia in un letto d’ospedale. In “Cuori Neri” – testo sulle giovani vittime degli anni di piombo – il giornalista Luca Telese ricostruisce i suoi ultimi istanti di vita e rivela un aneddoto macabro. Durante una veglia nella piazza antistante la storica sezione del MSI di Acca, un signore distinto si avvicina ai camerati raccolti intorno alle chiazze di sangue lasciate dai tre cadaveri di quella giornata di follia e domanda: «Scusate, quale di questi è il luogo dove è caduto Stefano Recchioni?». Glielo indicano, lui ringrazia e resta in silenzio. Quel signore fa di cognome Recchioni ed è il papà di Stefano.

Il capitano dei carabinieri Edoardo Sivori aveva fatto fuoco ad altezza uomo, lasciando a terra il ventenne Stefano. In realtà, è il delirio a scandire gli attimi degli scontri: i ragazzi missini sono in strada a urlare tutta la rabbia per la morte dei “camerati” Franco e Francesco, vittime di una mitraglietta Skorpion appartenente ai sedicenti “Nuclei Armati di Contropotere Territoriale”, si sparano lacrimogeni e spuntano le spranghe. Il carabiniere vorrebbe sparare, ma gli si inceppa la pistola, prende in prestito l’arma del suo attendente e fa fuoco centrando Recchioni in fronte. Le versioni sulla morte del giovane neofascista sono diverse e, nell’antologia del presunto depistaggio, rientrano anche gli interventi in aula dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga. Francesca Mambro (ex NAR accusata, tra l’altro, della strage alla stazione di Bologna) racconta quell’episodio come il suo “battesimo del fuoco”: dopo la morte di Stefano per mano di uno “sbirro”, «decisi di non farmi trovare più disarmata». Il carabiniere se la cava giacché il giudice istruttore scrive nella sentenza che «è da escludere ogni possibile riferibilità dell’azione, pur adombrata dai giornali, al capitano Sivori». Cossiga però rivela a Telese un retroscena inquietante anche a distanza di tempo: preso dal panico, Sivori ha sparato per davvero, dopo l’uccisione era in stato confusionale e temeva ritorsioni contro sé e la propria famiglia. Su consiglio di Cossiga, l’Arma lo mandò in vacanza per un po’.

Riecco Eduardo o Edoardo Sivori, oggi appassionato di politica. Qui  trovate il suo intervento del settembre scorso: il Generale Sivori sostiene di rappresentare chi non ha voce per conto del nascente “Partito delle Aziende – Piccolo e Medie Imprese” di cui già vi abbiamo raccontato sul nostro giornale. Il dirigente del partito delle Aziende è nell’isola siciliana ed arringa il pubblico con fare imperioso: «Chi parla di Sicilia per sentito dire, grazie, è meglio che stia zitto». A Sivori, che incentra il proprio intervento sulle scarse risorse di cui le forze di polizia sono dotate e racconta di non sentirsi rappresentato da alcun esponente della classe dirigente, scappa una battuta infelice: «La politica è superiore alle stesse istituzioni. Le istituzioni senza politica sono come un palazzo vuoto, senza nessuno. Sono come un cadavere: dentro ci sono soltanto i vermi». Il generale difende le istanze delle forze armate cui vorrebbe destinare molti più fondi, scherza circa l’ultima guerra vinta -a suo dire- dall’esercito patrio: «si tratta della terza guerra punica». Ma a notare la nuova sincera militanza ed il rientro sulla scena pubblica del carabiniere ci pensano i militanti di Forza Nuova, il partito di Roberto Fiore. Nel frattempo il 26 e 27 novembre a Roma, nello storico teatro Capranica si celebra il congresso costituente del PdA: non mancano ovviamente le polemiche (sul web è sorta tutta una polemica sull’inopportunità del protagonismo di Sivori). 

L’adunata degli “aziendalisti” è teatro di una colorita contestazione, di cui vi segnaliamo pillole propagandistiche caricate su youtube e facebook. I forzanovisti interrompono i lavori dell’assemblea costituente, semideserti – c’è da dire – a giudicare dalla poltroncine vuote, e urlano la propria indignazione verso «l’assassino impunito di un giovane patriota». I militanti romani dell’organizzazione dell’ultradestra srotolano i propri vessilli e la buttano in caciara. È singolare e pittoresco, ma l’oratore che regge il microfono al momento dell’irruzione, pur di sedare le urla dei ragazzi di Lotta Studentesca capitanati dal Coordinatore romano di FN, Gianmaria Camillacci, prova a difendersi con un’argomentazione sentimentale: «Anch’io arrivo dall’estrema destra». I ragazzi controbattono: «Ma quale destra estrema, tu sei un massone», alludono invero al coinvolgimento di Riccardo Sindoca, trai promotori del neonato partito, nell’inchiesta della procura di Genova sulla ricostruzione dell’organizzazione clandestina “Gladio” con annessa “polizia parallela”. A voler rimestare nel torbido, ci sarebbe di che divertirsi: Sindoca è stato assolto dall’accusa formulata dal PM genovese, ma tra gli imputati dello stesso processo figurava Gaetano Saya (prosciolto anche lui, dopo l’arresto nel 2005), oggi leader del Nuovo Movimento Sociale e delle Camicie Ocra, autoproclamatosi “Capo degli Ultranazionalisti Italiani”. Il personaggio è noto per aver tentato di mettere in piedi una sorta di guardia nazionale dedita alle ronde e per aver stretto un’alleanza con il deputato “responsabile” Mimmo Scilipoti.

Il segretario Fiore ha preso carta e penna ed ha scritto alla redazione di “Chi l’ha visto?”. «Considerando abbastanza strano il fatto che, l’allora carabiniere Sivori, non solo non abbia scontato neanche un giorno di pena per un omicidio perpetrato a sangue freddo davanti a testimoni, ma che sia stato addirittura fatto assurgere al rango di Generale dell’Arma, ci appelliamo alla vostra professionalità e alla vostra obiettività affinché voi possiate preparare e condurre un’ inchiesta sul perché tali crimini, così efferati, siano rimasti impuniti ed anzi, a quanto pare, considerati come delle tacite medaglie al valore». La redazione dello programma storico programma Rai non ha replicato alla missiva dei neofascisti, e la proposta è caduta nel silenzio per ora. Hanno però risposto i vertici nazionali del Partito delle Aziende (che, si potebbe osservare maliziosamente, ha avuto il proprio momento di gloria mediatica proprio grazie alla protesta romana, scenograficamente sedata a colpi di inno nazionale) chiedendo il rispetto di una posizione giudiziaria del tutto limpida e auspicando a gran voce che la violenza delle contestazioni del movimento di destra venga democraticamente arginata. Un servizio dello scorso novembre di “Agorà” documenta la telefonata in diretta al meeting del partito delle aziende dell’ex premier Berlusconi, per dire le entrature del neonato movimento. Che intanto fa sapere di volersi definire di destra, fondato sul lavoro e sulla famiglia, a difesa della cristianità. Proprio come il movimento di Fiore: facillime congregantur, verrebbe da dire a questo punto.
 

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