Mettiamo che invitiate a casa un vostro amico carissimo che non vedete da tempo, da molto tempo. E che quella sera, nella vostra onesta dimora, ci sia anche altra gente, altre persone che avete invitato, un di tutto un po’. Mettiamo che quel vostro amico che non vedete da tempo, vi abbia avvertito sugli usi e costumi che gli sono consueti e che peraltro voi dovreste conoscere benissimo, essendone sodali da una vita intera: «Guardate – vi rammenta un’ultima volta a scanso di equivoci – che a me piace ruttare a tavola, mettere i piedi sul divano, pisciare sulla tazza del cesso e non pulire, insomma lo sapete come sono fatto… ma non voglio mettervi in difficoltà, avete altra gente a cena, facciamo un’altra volta quando siamo solo noi e possiamo divertirci in libertà». A quel punto, voi pur di averlo a cena ne fate una questione d’onore: «Ma stai veramente scherzando, guarda Adriano se non vieni ci offendiamo, puoi fare quello che vuoi, figurati, i nostri amici si divertiranno un sacco…»
Com’è finita lo sapete benissimo, il solito patatrac alla Celentano che i gonzi li ha gabbati tutti un’altra volta. Pensate che questa mattina, in un giornale radio Rai, parlando di un incontro tra Mario Monti con una decina di ministri al seguito e i vertici del Vaticano, il giornalista si chiedeva se oltre al tema dell’Ici sarebbe stato affrontato anche il «caso Celentano». Ma siamo alle comiche! Ma quale caso Celentano, solo perché ha sparato quattro cazzate in libertà su preti e giornali in odore di santità?
La devota signora Lei, direttora generale, si è spaventata al tal punto da spedire un commissario prefettizio a Sanremo per vigilare sulle coscienze. C’è da piangere, se non fossero solo canzonette. Qui manca proprio la coscienza. Coscienza è consapevolezza di quello che si fa. In azienda, nelle aziende, in qualunque azienda, la consapevolezza è tutto. Sapere quello che si fa. In Rai questo non accade. È davvero un evento straordinario, che si perpetua da molti anni. A fronte di questa non-coscienza, l’azienda di Stato chiede ai suoi benefattori un obolo di 112 euro, che dovrebbero mondare le coscienze collettive da qualunque senso di colpa. O anche, semplicemente, da qualunque colpa.
Qualche giorno fa, con Sanremo ancora all’orizzonte, Pierluigi Battista ha posto un ulteriore interrogativo, rispetto all’obolo di 112 euro. Saputo della destinazione dei denari «guadagnati» dal Molleggiato, parte dei quali sarebbe finito a Emergency, si è chiesto – appunto – perché mai avrebbe dovuto pagare il canone, visto che i soldi pubblici della Rai (cioè i nostri) finivano a un’organizzazione marcatamente politicizzata come quella che fa capo a Gino Strada.
Vedete, ognuno di noi, nel suo piccolo, nel suo grande, ha il suo bel motivo per non pagare il canone. Il comportamento della Rai nella vicenda Celentano ne ha offerto uno addirittura macroscopico: prima firma un contratto nel quale è scritto che l’artista ha totale libertà di contenuti (salvo infrangere il «codice etico» dell’azienda: ma cosa significa?), e poi si straccia le vesti, chiama cardinali, prelati, giornalisti per scusarsi, perché l’artista medesimo si è attenuto esattamente al contenuto del contratto.
Ad aprile, scade questo consiglio di amministrazione. È uno come gli altri, né meglio né peggio. Non servirà rinnovarlo con le stesse logiche, neppure mettendoci persone meno legate ai partiti. La Rai è dei partiti. I partiti, e non i cittadini pagatori del canone, sono i padroni della Rai. Il professor Monti sembra animato da buone intenzioni, ma se non parte da una riforma strutturale, se non abbatte prima il Mostro e poi lo ricostruisce su basi diverse, ogni tentativo è destinato a fallire.
Il paradosso è che il nostro presidente del Consiglio è l’ufficiale pagatore di una gabella ingiusta. È di questa contraddizione solare che dovrebbe farsi carico. Dica chiaramente in quale modo la Rai dovrebbe finanziarsi, a fronte di quali programmi, a fronte di quale progetto. Il momento della disobbedienza civile si sta avvicinando. Non diventiamo nemici proprio su questo, Professore.