Mezzo millennio è un’età rispettabile, e se a festeggiare la soglia dei 500 anni è un libro, bè, è proprio un bel record. A spegnere quest’anno le metaforiche candeline è il primo libro armeno della storia, stampato a Venezia nel 1512. Se a qualcuno pungesse vaghezza di vederlo dal vero, può ammirarlo nella mostra sull’Armenia allestita nel Museo Correr, nella veneziana piazza San Marco.
Si intitola Libro del venerdì ed è una raccolta di preghiere e formule magiche che, racconta la leggenda, avrebbe salvato un gruppo di mercanti armeni dall’assalto dei pirati dalmati avvolgendo, previa lettura a voce alta, la loro nave in una provvidenziale coltre di nebbia. Non è l’unico cinquecentenario editoriale che ricorre quest’anno: anche il primo libro in cirillico bosniaco è stato stampato a Venezia nel 1512.
Ma a Venezia si sono stampati anche il primo libro in greco (1486), la prima Bibbia rabbinica (1517) e il primo Talmud (1524-25) della storia, nonché il primo Corano in arabo (1538). La storia di questo libro è particolarmente interessante perché è stato perduto per 450 anni, fino a quando, nel 1987, l’ha ritrovato una giovane milanese dottoranda in bibliografia e biblioteconomia. Angela Nuovo, che oggi insegna quella materia all’Università di Udine, è stata allora in grado di identificare un libro che stava nel luogo dove un libro si dovrebbe trovare – una biblioteca – ma che nessuno era in grado di riconoscere.
Numero di edizioni stampate nelle città italiane nel ’500 (Fonte: Atlante della letteratura italiana Einaudi)
Nuovo sapeva che quel libro era appartenuto a un arabista pavese del Cinquecento, Teseo degli Albonesi, e la firma di Teseo degli Albonesi compariva nel volume che era tra le mani della studiosa. Il Corano perduto era così riemerso dalle tenebre della storia (e il fatto che il primo Corano in arabo sia stato stampato in Italia, che sia stato ritrovato da un’italiana e che sia conservato in Italia è cosa del tutto ignorata dagli italiani).
A Venezia il padre di tutti gli editori, Aldo Manuzio (a proposito: era laziale, si firmava “Aldo romano” e viene in mente un movimento politico che è nato alla fine degli anni Settanta del Novecento all’insegna dello slogan «Fora i romani dal Veneto») nel 1501 stampa il primo libro tascabile, mette i numeri di pagina su entrambe le facciate del foglio (prima di lui si numeravano da una parte sola), è il primo a dotare i libri di apparati e note, inventa il carattere corsivo (anche per risparmiare carta, siamo pur sempre in una città di mercanti), il suo tondo è talmente bello che viene preso come base per i caratteri che utilizziamo tutt’oggi (e il fatto che in inglese corsivo si dica italic e tondo roman la dice lunga sulle loro origini), importa dal greco al volgare il punto e virgola, l’accento e l’apostrofo che in precedenza non venivano usati.
Aldo Manuzio, il padre di tutti gli editori
Ma quella di Manuzio è solo la maggiore delle rivoluzioni editoriali avvenute a Venezia in quel secolo magico: Giolito de’ Ferrari pubblica a scadenze fisse volumi del medesimo formato e chiama questa novità assoluta “ghirlanda”, ovvero “collana”. Nel 1501 Ottaviano Petrucci stampa il primo libro musicale a caratteri mobili e un personaggio celebre dell’epoca, Pietro Aretino, nel 1527 fa uscire quello che senza dubbio è il primo libro pornografico della storia, i Sonetti lussuriosi, con testo e immagini.
Ma non solo: l’italiano non sarebbe diventato la lingua che noi conosciamo senza la codificazione del volgare delle Prose della volgar lingua, del veneziano Pietro Bembo, e senza le edizioni di Dante e Petrarca stampate a Venezia. Anzi, il suddetto Aldo Manuzio fa di Petrarca un best seller da 100mila copie (e gli eredi di Aldo pubblicano il grande best seller del Cinquecento: il Cortegiano, di Baldassar Castiglione, ben 38 edizioni).
Lo stemma di Aldo Manuzio
Di più: la conoscenza delle scoperte geografiche di spagnoli e portoghesi si diffonde attraverso i libri stampati a Venezia; nel XVI secolo si pensava che l’America fosse stata scoperta da Amerigo Vespucci (per quello si chiama così, e non Colombia) e il suo Mondo Novo viene diffuso dalle edizioni veneziane. In un libro veneziano del milanese Girolamo Benzoni si ritrova la prima descrizione conosciuta del cioccolato: «Il frutto è a modo di mandorle e nasce in certe zucche di grossezza e larghezza quasi come un cocumero, matura in termine d’un anno, e essendo di stagione lo cogliono, e cacciatovi il frutto sopra certe stuoie, lo mettono al sole a sciugare, e quando lo vogliono bevere, in un cesto lo fanno seccare al fuoco e poi con le pietre che fanno il pane lo macinano. E messolo nelle sue tazze, le quali sono a modo di zucche che certi alberi producono per campagne in ogni parte dell’India, a poco a poco distemperatolo con acqua, e alle volte con un poco del loro pepe, lo bevono, il quale più pare beveraggio da porci che da uomini». Forse è anche per questa descrizione che ci vorrà ancora un secolo prima che il cioccolato si diffonda nel Vecchio Mondo.
Venezia, nella prima metà del Cinquecento, diventa l’indiscussa capitale editoriale d’Europa (e quindi del mondo, visto che la Cina se ne sta per i fatti suoi): a Venezia si stampa la metà dei libri pubblicati in tutto il continente. A questo punto sorge spontaneo domandarsi perché. Semplice: perché ricorrono, tutte assieme e nello stesso momento, tre condizioni indispensabili. A Venezia ci sono i soldi (la Serenissima è uno degli Stati più ricchi dell’epoca, se non il più ricco), ci sono le linee commerciali (i libri viaggiano nelle galee di San Marco assieme alle spezie e alle stoffe) e sopratutto c’è la libertà.
A Venezia nella prima metà del Cinquecento sussiste una libertà di stampa quasi assoluta: vi si stampano bibbie riformate commissionate da clienti dell’Europa centrale o libri che altrove farebbero bruciare vivi i loro autori (come i citati Sonetti dell’Aretino che poi rincara la dose con i “dialoghi puttaneschi”). La storia dei rapporti tra Venezia e la Chiesa romana è lunga e variegata (Giordano Bruno, consegnato dai veneziani al papa, viene arso sul rogo il 17 febbraio del 1600) e nella prima metà del Cinquecento l’Inquisizione romana non riesce a mettere piede a Venezia e a imporre la censura sui libri. Il primo rogo di Talmud è del 1553 (seguito praticamente in diretta: «Questa mattina è stato fatto gran fuoco a San Marco» scrive a Roma un soddisfattissimo nunzio apostolico) e quella è un po’ la data simbolo: da allora, lentamente, ma inesorabilmente, la fiaccola della libertà di stampa passa all’Europa protestante. Mentre la rivoluzione del libro iniziata mezzo millennio fa a Venezia sarà probabilmente messa in discussione soltanto ai nostri giorni, grazie all’avvento dell’ebook.