Le Olimpiadi di Roma 2020 sono a rischio. L’ultima parola sui Giochi spetta al governo, che si è impegnato a pronunciarsi entro la metà di febbraio. Ma giorno dopo giorno iniziano a pesare sul progetto dubbi e ripensamenti. Quelli del presidente del Consiglio Mario Monti, anzitutto. Che non sembra aver accolto l’ipotesi olimpica con particolare entusiasmo. Ma anche del mondo della politica, finora incapace di offrire un sostegno trasversale alla candidatura italiana.
L’ultima battuta d’arresto martedì scorso, quando il ministro allo Sport Piero Gnudi si è presentato in Parlamento. Un’audizione davanti alla commissione Cultura della Camera per illustrare le linee programmatiche dell’azione di governo. «Di tutto il suo lungo discorso – racconta uno dei deputati presenti – ha dedicato ai Giochi Olimpici solo tre righe». Proprio così. Un passaggio rapido e senza troppo significato, giusto per ricordare che il governo, «nella sua collegialità, assumerà la sua decisione nei termini previsti e quindi entro la metà di febbraio». Per carità, nessuno si aspettava il sostegno ufficiale di Palazzo Chigi. Ma in molti speravano almeno in una piccola apertura, un segnale di incoraggiamento. Invece niente. Il governo prende ancora tempo. «E a questo punto – racconta uno dei deputati più delusi dall’audizione – la cosa non ci fa ben sperare».
Al comitato promotore di Roma 2020 ormai sono preoccupatissimi. Il presidente onorario Gianni Letta è in continuo contatto telefonico con il sindaco Gianni Alemanno. Da giorni è in azione – forte delle doti diplomatiche che gli sono universalmente riconosciute – per rimuovere le numerose resistenze nate attorno al progetto. Ancora più preoccupato il presidente del Coni Gianni Petrucci. Poche ore fa il numero uno dello sport italiano ha ammesso: «Stiamo arrivando con l’affanno. Credo che alla fine il presidente del Consiglio dirà sì. Ma il tempo stringe».
Monti firmerà davvero la lettera di sostegno? In realtà c’è qualche dubbio anche tra i suoi più stretti collaboratori. Compreso il ministro Gnudi, da molti considerato uno dei principali sponsor dei Giochi assieme al titolare dello Sviluppo economico Corrado Passera, al ministro degli Esteri Giulio Terzi e al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà. Martedì sera, confidandosi con un parlamentare amico, Gnudi ha confermato che le possibilità che la candidatura venga bocciata restano al 50 per cento. E questo nonostante le grandi pressioni che in queste ore il Coni sta esercitando su Palazzo Chigi.
Al centro delle perplessità di Monti, ovviamente, c’è il costo dell’operazione. Una spesa pubblica di circa 5 miliardi di euro, secondo il progetto presentato dal comitato di compatibilità economica dei Giochi. E in caso di successo c’è chi assicura che gli investimenti potrebbero quasi raddoppiare. Insieme all’entità dell’operazione c’è la convinzione che il progetto Olimpiadi non porterà soldi. Insomma, non rappresenterà il volano dell’economia nazionale di cui tanti vagheggiano. Un ritorno per la collettività ci sarà, ma non sotto l’aspetto finanziario. In termini di immagine, soprattutto. E di infrastrutture. L’organizzazione dei Giochi permetterà infatti di attivare un intervento straordinario per la città di Roma. Sicuramente necessario.
Come se non bastassero le difficoltà economiche, l’esecutivo Monti deve far fronte alle resistenze del mondo politico. «Purtroppo questo è il grande limite di questo governo» spiega un parlamentare della commissione Cultura. «Se non trovano una larga maggioranza attorno a un progetto, preferiscono prendere tempo. E la mia impressione è che a Palazzo Chigi stiano cercando di rimandare la decisione il più possibile». Al di là delle dichiarazioni di facciata, il sostegno politico alla candidatura di Roma 2020 è tutt’altro che convinto. Tra i movimenti meno possibilisti ci sono la Lega Nord e l’Italia dei Valori. La posizione del Carroccio contro i Giochi di Roma è piuttosto scontata (anche se Petrucci assicura di aver ricevuto un timido appoggio da parte dell’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni). I deputati padani non sembrano avere troppa voglia di Olimpiadi. «Noi – taglia corto il vice capogruppo alla Camera Massimiliano Fedriga – siamo contro tutti gli sprechi».
Ed è proprio la presa di posizione dei leghisti che ha fermato l’intervento della politica. Nelle settimane passate si era parlato di un impegno condiviso. Di una mozione bipartisan da presentare in Aula. Un progetto di cui si sono perse le tracce. «La realtà – racconta un deputato – è che un dibattito parlamentare su Roma 2020 non lo vuole nessuno. A partire dal centrodestra, che ha paura di creare un altro fronte di scontro con la Lega Nord». E così alla fine l’unica mozione sarà quella di Futuro e Libertà. Un documento cui stanno lavorando Claudio Barbaro e Flavia Perina che impegnerà il Parlamento a prendere una posizione sulle Olimpiadi. La mozione, quasi pronta, sarà depositata a Montecitorio nelle prossime ore.
Dietro all’imbarazzo dei partiti non ci sono solo questioni politiche. In Parlamento qualcuno inizia ad avanzare dubbi anche sulla bontà del progetto olimpico. «Sono stati fatti troppi errori – ricordava ieri Barbaro – Così come è oggi, la candidatura di Roma 2020 è perdente». Qualcuno lamenta il mancato coinvolgimento del Paese. «Si tratta di una candidatura romana, più che italiana». In tanti criticano l’assenza di un passagio parlamentare. «Nessuno conosce ancora i dettagli – spiegava questa mattina una parlamentare – per quanto ci riguarda l’Olimpiade è ancora una scatola vuota». Ma a suscitare tanti dubbi è soprattutto la presenza di esponenti del mondo industriale all’interno del comitato promotore. «Sono un terzo del totale – spiegava Barbaro – un vero conflitto di interessi». D’accordo con lui il dipietrista Stefano Pedica. «Monti – ha chiarito ieri – non deve piegarsi alle volontà degli speculatori di turno che tengono più agli affari che all’immagine dell’Italia. Il Paese non capirebbe la necessità di questa spesa quando tutti i cittadini sono chiamati a fare sacrifici».