Se ne sono andati

Se ne sono andati

Lord Robin Corbett

(22 dicembre 1933 – 19 febbraio 2012)

Pari d’Inghilterra (barone di Castle Vale), laburista, già deputato ai Comuni dagli anni Settanta al 2001. Nato in Australia, ed ex giornalista al Birmingham Evening Mail, al Daily Mirror, e agli Ipc Magazines. Alla Camera dei Lord era il capogruppo dei pari laburisti, e il segretario del partito Ed Milliband, con una commozione non censurata, ha ricordato di lui l’impegno naturale nei due valori «dell’eguaglianza dei diritti e della giustizia sociale».

Quasi in contemporanea, e sempre a Londra, ha parlato una donna iraniana, un’esiliata. Maryam Rajavi, che presiede l’organizzazione della resistenza iraniana in Gran Bretagna, è stata chiara: «Oggi la resistenza iraniana ha perso un amico incomparabile, il popolo del Regno Unito ha perso uno dei migliori simboli da ammirare per aver difeso la causa della libertà e della democrazia, e l’umanità intera ha perso un grande uomo».

Se una stringata retorica come questa esprime, a volte, un’esatta sostanza delle cose (si pensi a come Winston Churchill aveva parlato agli inglesi nel 1940, nella loro «ora più bella»), Robin Corbett ha avuto, e meritato, un ritratto che gli assomigliava.

E se oggi esistesse uno scrittore di vite eminenti tipo Lytton Strachey, potrebbe trattare Robin in questo modo: come un tipo di inglese universale che in quasi ottant’anni di vita non si è lasciato sfuggire un territorio “civile” sul quale impegnare la propria passione e la propria vita attiva. Essendo, oltre a tutto, un bravissimo giornalista, un deputato al parlamento britannico, e poi un pari a vita.

Lord Corbett ha fatto anche la sintesi su che cosa voglia dire essere “di sinistra”: in quasi 40 anni – gli ultimi, dove gran parte del mondo si è autosoddisfatto proclamandosi progressivamente liberale, o “mercatista”, con i risultati, disastrosi, dell’oggi – si è battuto per la tutela delle libertà civili e la loro espansione, per la riforma del sistema carcerario, per la libertà di stampa, per la salvaguardia degli animali e dell’ambiente, per la tutela delle vittime di stupro (con relativa protezione, per legge, del loro anonimato) e dei disabili. Una bella sintesi fra ideali – a pensarci d’acchito, il minimo indispensabile per delle società civili – e azione concreta.

Da uomo politico, Robin Corbett ce l’ha fatta: alla Camera dei Comuni, è stato per anni lo speaker dell’opposizione per gli “Home Affairs” (in pratica, tutta la politica interna), e ha poi presieduto l’All Party Penal Affairs Group (un organismo parlamentare di riforma del sistema carcerario).

Ma Robin è stato anche un tipo di inglese per cui l’ex idea di “impero”, trasferita sul piano dei valori base (i diritti, le libertà, eccetera), ridiventava qualcosa di universale per cui battersi, ma a favore di tutti i torchiati della terra.

Presiedere, attivamente – come Lord Corbett ha fatto – il British Parliamentary Committee for Iran Freedom, voleva dire impegnare se stesso, un Paese, e il suo parlamento «nell’aiutare una nazione nella sua lotta contro il fascismo religioso al potere». Parole dell’organizzazione della resistenza iraniana, che ha aggiunto: «È stato il nemico dei dittatori e dei tiranni, in particolare dei mullah in Iran. In quanto tale, ha denunciato coraggiosamente gli agenti e le ramificazioni del ministero dell’Intelligence del regime iraniano fuori dall’Iran. Li ha descritti come il cancro che sta contaminando l’opinione pubblica e mondiale. Ciò nonostante credeva e ripeteva continuamente che devono e possono essere messi da parte attraverso la vigilanza e l’educazione».

Al Parlamento di Westminster hanno anche ricordato il suo “good humour”, e il suo essere, per qualcuno, un “fun friend”. E il suo restare «above all, Labour through and through». 

 https://www.youtube.com/embed/zagF0mZH3TE/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Enzo Sellerio

(25 febbraio 1924 – 22 febbraio 2012)

Nato a Palermo, morto a Palermo, vissuto molto nel mondo anche lontano dalla Sicilia, di madre bielorussa (di Grodno), creatore, insieme alla moglie Elvira Giorgianni, di una delle più belle case editrici italiane. Nel 1969. Fra i libri pubblicati, uno, del 1980, Memorie di Voltaire.

Dove il filosofo, verso la fine, scrive: «Sento molto parlare di libertà, ma non credo che ci sia in Europa un privato che se ne sia costruita una come la mia. Segua il mio esempio chi vuole o chi può». Nella buona dose di auto-consapevolezza che ha questa istantanea, Voltaire centra un segno: come costruirsi una propria libertà, da privati.

Rivedendo le foto di Enzo Sellerio – è stata la sua dote, la sua arte, e il suo mestiere prima di pubblicare libri – viene in mente la libertà privatissima (anche lavorando su committenza) di osservare il mondo, di scattarne le immagini e la sostanza, e di fare della propria vita, e di quella degli altri (i soggetti delle foto) un’arte. Eventualmente.

Sellerio si è diversificato, come è stato molto ricordato: prima studente di diritto, poi fotografo, poi editore. Non tanto la libertà di cambiare mestiere, quanto quella di avere un proprio occhio libero –originale, o non imitabile – qualsiasi cosa si faccia. Quello che in foto si può chiamare uno scatto unico. Enzo Sellerio ne ha avuti tanti, ma qui si potrebbe ricordarlo, cioè vederlo, in tre sue foto. Non siciliane. 

Nel 1966, a New York, Arthur Miller è ritratto con la pipa, di scorcio, e sulla porta, mentre osserva la sua seconda moglie Inge Morath, fotografa. Lei è sfuocata, e sembra un disegno: risaltano gli occhi e i capelli corti. Eppure lei è la presenza più forte. Come di fianco a Marilyn, quando erano sposati, Miller è un secondo piano. Ed era Arthur Miller. Nel 1962, a Parigi, a una festa dell’ “Humanité” (il quotidiano del Partito comunista francese) due militanti, o due cittadini, si baciano accovacciati a ridosso di un muretto campagnolo, e sopra di loro, come un fondale verticale, c’è un pianoforte. 

Fra i due livelli dell’immagine c’è un’infinita distanza, una specie di definizione della privacy, molto prima che il termine diventasse d’uso mondiale. Infine, in una sala del Metropolitan Museum di New York, nel 1965, tre uomini musulmani (all’antica, hanno tutti e tre il fez) osservano «incuriositi» (lo dice la didascalia) una statua del Buddha. Sono in fila, ma slacciati, e a tre distanze diverse. È difficile commentare, o immaginare un’allegoria accettabile. Vanno bene tutte, liberamente. Perché è una delle più belle immagini della storia della fotografia.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club