Silvio Berlusconi scende in campo, ancora una volta. Costretto dalla crisi profonda in cui versa il suo partito, dopo un periodo di “silenzio” mediatico, nelle ultime due settimane il Cavaliere è tornato a farsi sentire. Prima l’idea di una grande manifestazione contro i giudici milanesi (appuntamento cancellato all’ultimo). Poi il progetto di creare una fondazione, in vista della nascita di un nuovo partito. Infine le recenti aperture al governo Monti e gli inviti all’ex opposizione per confrontarsi sulla legge elettorale.
Il Cavaliere ha capito che non è questo il momento di passare la mano. Si farà da parte, certo. Ma prima deve “guidare la transizione”, come spiega un suo fedelissimo. Il Pdl è in rotta nei sondaggi – sempre più vicino alla temuta quota 20 per cento – dilaniato da fronde e divisioni interne. Il rischio implosione è dietro l’angolo. Abbastanza per spingere l’ex presidente del Consiglio a gestire in prima persona la difficile situazione. Il segretario Angelino Alfano se ne farà una ragione.
Il Cav. non sarà il prossimo candidato premier. Questo lo ha detto più volte, confermandolo pochi giorni fa in un’intervista al Financial Times. Ma al momento l’ultima parola resta la sua. Stavolta il Cavaliere guiderà il partito da una posizione diversa. Non sarà più il front-man, semmai il regista. Magari con quel ruolo di “padre nobile” che tanto gli piace. Una presenza necessaria, vista l’assenza di un dirigente in grado di sostituirlo.
Già, perché al Pdl manca un leader. Una figura riconosciuta da tutti, capace di tenere insieme le varie anime del partito. Il segretario Alfano, il designato del Cavaliere, non è pronto a raccogliere il testimone. Nel Pdl l’ex guardasigilli entusiasma ancora poco. Qualcuno – specie tra i falchi – non ha gradito la sua disponibilità nei confronti del governo Monti. Qualcun altro teme che una sua candidatura non sia in grado di scaldare l’elettorato. “La sua – racconta un dirigente pidiellino – è una nomina nata dentro al partito. Chissà quanti militanti non la condividono”. Molti non lo dicono, ma hanno vissuto la sua scalata all’interno delle gerarchie con un pizzico di invidia. E qualcuno – in passato assai vicino all’ex Premier – non fa mistero del fatto che l’ipotesi di scissione e di ritorno ai due partiti originali esiste. “A qualcuno piace molto, ad altri meno, ma forse ci permetterebbe di perdere meno consensi che rimanendo nel Pdl ma senza più la guida di Silvio”.
Un rapporto freddo, quello tra Alfano e il partito. Tanto che il suo staff si è dovuto impegnare parecchio per organizzare alcune presentazioni del suo ultimo libro: “La mafia uccide d’estate”. Telefonate e pressanti inviti anche a deputati, per il timore di trovare le sale vuote. “Ovviamente – raccontava un esponente del partito – con Berlusconi queste cose non erano mai successe. Lui le sale le riempiva sempre. Anche senza inviti”.
Altri candidati alla successione non se ne vedono. Sono esemplari le parabole di Gianni Alemanno e Roberto Formigoni. Due dirigenti pidiellini di spessore, politicamente pre-esistenti allo stesso Cavaliere. Eppure entrambi ai minimi storici. Il primo in quattro anni di sindaco a Roma è riuscito a sbagliare quasi tutto. Dalla parentopoli Atac alla gestione delle alluvioni, per non parlare delle ultime vicende di cronaca nera. Errori clamorosi, di cui l’imbarazzante emergenza neve di questi giorni è solo l’ultimo capitolo. Il secondo, da molti indicato come possibile successore del Cavaliere, vive una condizione simile. Protagonista involontario di una serie di scandali nel consiglio regionale lombardo, Formigoni è fresco reduce di una dura contestazione pubblica. Sommerso dai fischi e insulti a Milano durante la presentazione dei suoi progetti in vista dell’Expo milanese.
In assenza di possibili sostituti, tocca ancora a Berlusconi. La prima mossa del Cavaliere è stata quella di assicurare la lealtà del partito al governo Monti. L’ha ribadito più volte negli ultimi giorni: il Pdl appoggia l’esecutivo tecnico senza tentennamenti. Nonostante la diffidenza di gran parte dei pidiellini – “Un governo che giorno dopo giorno si conferma sempre meno tecnico e più politico” si lamentava poche ore fa un dirigente al telefono – al momento non ci sono altre soluzioni. Non è il momento di rischiare. Se l’esecutivo dovesse cadere, il partito di Berlusconi si troverebbe ad affrontare un’elezione con risultati da incubo.
E così il Cavaliere prende tempo. Sostiene Monti e si prepara al 2013. Le previsioni per i prossimi mesi sono tutt’altro che positive. Dopo le amministrative di primavera in molti attendono uno “tsunami” all’interno del partito. “Di 28 capoluoghi di provincia in ballo – racconta un pidiellino – se ne vinciamo 4-5 sarà grasso che cola. Allora sarà crisi vera”. Per Berlusconi il primo obiettivo sono le politiche dell’anno prossimo. E il primo passo per tutelare il suo partito è la riforma della legge elettorale. Il Cavaliere ha assegnato il dossier al coordinatore Ignazio La Russa e al vicecapogruppo al Senato Gaetano Quagliariello. Saranno loro due, domani, a incontrare gli esponenti di Pd e Lega nel primo tavolo di confronto sulla riforma.
Due le strade. Un accordo con il Pd per riformulare il Porcellum con particolare riguardo per le forze politiche principali. Una riforma bipolarista con alte soglie di sbarramento per evitare la frammentazione parlamentare e tagliare le gambe ai piccoli/medi partiti. E poi c’è il progetto della grande coalizione. Rilanciato oggi da qualche quotidiano. Un accordo con Pd e Terzo polo per governare insieme nella prossima legislatura. Magari sotto la guida di un esponente di primo piano dell’attuale esecutivo. Corrado Passera, suggeriva oggi Repubblica che rispetto al ministro dello sviluppo è particolarmente ben disposta. Ipotesi suggestiva, ma probabilmente lontana dalla realtà. “Non scherziamo – ragionano i pidiellini – questa è l’unica cosa che il nostro elettorato non ci perdonerà mai”.