C’è un triangolo tra l’alto milanese e il basso varesotto che collega l’hinterland nord della città della Madonnina con l’aeroporto di Malpensa. Un triangolo di città che sono tutte lì appena prima di quella strada tutta tornanti che porta a quello che sarebbe dovuto essere l’hub d’Europa e che invece sembra essere sì al centro dei traffici, ma non di quelli aerei e del trasporto europeo.
Qui non arriva l’ombra del Duomo, ma quella della mafia ci arriva benissimo, in particolare quella di ’ndrangheta e cosa nostra. Arrivando dalla statale del Sempione la segnaletica parla di Legnano, Lonate Pozzolo, Busto Arsizio e Varese. Qui, a pochi chilometri da Legnano, esattamente a San Vittore Olona, il 14 luglio 2008 viene freddato al circolo “Reduci e combattenti” Carmelo Novella. Reggente della ’ndrangheta in Lombardia, Novella, viene ucciso da due uomini a volto scoperto nello spazio adibito a giardinetto del circolo. Otto colpi per poi risalire in moto, raggiungere Cormano e ripartire verso Guardavalle, provincia di Catanzaro.
Per quell’omicidio sono stati indagati in tre, uno è già stato condannato in primo grado. E il suo nome per ricostruire la geografia mafiosa lombarda è fondamentale: si chiama Antonino Belnome, arrestato nel corso dell’operazione Crimine-Infinito scivolata sull’asse Reggio Calabria-Milano nel luglio 2010, reo confesso dell’omicidio Novella e oggi pentito. Per questo omicidio Belnome, ritenuto dagli inquirenti il capo della locale di ’ndrangheta (cellula criminale strutturata) di Seregno, sta scontando una condanna a 11 anni e 6 mesi.
«C’è stato un casino in quei trenta secondi – ricorda Belnome nel corso dell’interrogatorio in cui ha ricostruito la dinamica dell’omicidio – chi scappava, chi si è buttato a terra… Non si capiva niente». Lo stesso dicono fuori e dentro il circolo dove Carmelo Novella, il boss che voleva rendere autonoma la ’ndrangheta lombarda dalle direttive di Reggio Calabria, era «cliente abituale, solito intrattenersi con qualche amico».
Qui, nell’operosa zona tra Milano nord e Varese, dove all’apparenza altro non esistono che fabbriche e case si incontra anche la criminalità organizzata, che altro non segue se non l’odore dei soldi, che da queste parti è sempre forte. Qui qualcuno che parla di mafia c’è, ma in molti dicono che «è meglio stare attenti, perché qui non scherzano». E i fatti non si possono contestare: dal 2004 a oggi tra Legnano, Busto Arsizio e Varese si contano otto omicidi riconducibili a fatti di mafia. Ma c’è anche qualcuno che dice «voi vedete coppole e lupare dappertutto, siete un po’ fissati».
Ma è un altro bar, o meglio, un locale notturno, anzi due, a indicarci di nuovo che la ’ndrangheta da queste parti è arrivata per seguire l’odore dei soldi e fare affari con la minaccia e se il caso con la pistola spianata. Arriviamo così a Legnano, che con i suoi 60mila abitanti circa è la tredicesima città più popolosa della Lombardia. Qui c’è un locale famoso in quasi tutta la Lombardia, lo Stomp, che propone musica dal vivo e che viene sequestrato. Secondo gli inquirenti, e anche secondo alla più recente sentenza del tribunale di Busto Arsizio e del tribunale di Milano, quel locale sarebbe riconducibile al boss Vincenzo Rispoli, capo dei “Bad Boys” della cosca di Legnano-Lonate Pozzolo, ufficialmente commerciante di frutta e verdura. Nel 2000, Rispoli, fuori da un ristorante nel novarese si fa fotografare, insieme ad altri amici, di cui uno è il muratore Alfonso Murano ammazzato nel 2006 a Lonate Pozzolo, con l’onorevole Antonio Di Pietro, evidentemente ignaro che a chiedere quella foto fosse un gruppo di presunti affiliati alla criminalità organizzata calabrese. Fu Libero a pubblicare quella foto che fece il paio con quelle insieme al presunto boss mafioso bulgaro Ilia Pvlov e a Bruno Contrada, poco prima dell’arresto dell’ex numero tre del Sisde per mafia, pubblicate sul Corriere della Sera.
La foto che ritrae Antonio Di Pietro pubblicata da Libero
“Bad Boys” perché questo è il nome dell’indagine che ha portato all’arresto dello stesso Rispoli, da Cirò Marina in provincia di Crotone, condannato nel luglio 2011 a 11 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Insieme a lui altri dieci “cattivi ragazzi”. Lo Stomp è uno dei luoghi dove sono avvenuti anche summit tra Rispoli e altri esponenti della criminalità organizzata calabrese. Con Rispoli altri cattivi ragazzi tramite intimidazioni, rapine, estorsioni hanno assoggettato commercianti e imprenditori della zona al pagamento del pizzo e all’usura, condizionando gravemente l’imprenditoria locale.
Strade tranquille quelle all’apparenza quelle di Legnano, dove fino a qualche anno fa la quiete sembrava interrotta solo da qualche gara con le macchine truccate, mentre tra cantieri, esercizi commerciali e bar si faceva largo la banda Rispoli tra i summit e il riciclaggio di denaro nei locali intestati ai prestanome o al Gaia Cafè di proprietà della moglie dello stesso Rispoli, e gli incontri al vicino crossodromo di Cardano al campo, più volte citato nelle ordinanze della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano nelle recenti indagini.
A meno di tre anni dagli arresti dei “Bad Boys”, raccontano le carte e le cronache locali, ai ragazzacci di Legnano-Lonate Pozzolo sono stati sequestrati beni per circa 40 milioni di euro. In ultimo, lo scorso 27 gennaio, la sezione misure di prevenzione di Varese ha disposto la confisca di un milione e 300mila euro appartenenti a quello che è stato ribattezzato il commercialista della cosca. Condannato a due anni (pena sospesa) per tentata estorsione e riciclaggio, il ragioniere di Samarate custodiva il denaro su un conto corrente depositato in Svizzera, Canton Ticino.
Legate a doppio filo, non fosse altro che per la vicinanza, sono Legnano e Busto Arsizio. È qui, a Busto Arsizio, che i “Bad Boys” vengono giudicati e dove viene provata, come dice lo stesso Pubblico Ministero Giovanni Marbone «l’esistenza della presenza della ’ndrangheta operante nel varesotto». In tribunale l’ultimo tentativo di uno degli avvocati della difesa fu quella di appellarsi all’appartenenza. «I calabresi – attaccò l’avvocato – si ritrovano tra di loro e tendono a scambiarsi favori all’interno del loro gruppo, ma questo non significa che sono degli ’ndranghetisti. L’accusa non porta nessun elemento che possa essere considerato una prova se non parole comprate (riferendosi a quelle dei pentiti, nda) e intercettate».
Fatto sta che arriva la condanna con annesse urla e insulti da parte dei parenti degli imputati condannati ed emerge un quadro di omertà e coperture inquietante. Ma qui, a Busto Arsizio è Cosa Nostra a dettare le regole criminali, in particolare il clan dei gelesi con la cellula attiva dei Madonia. Su 80mila bustocchi, così si chiamano gli abitanti di Busto Arsizio, 20mila arrivano da Gela e dintorni. È la stessa comunità gelese che più volte ha preso le distanze dai soggetti attenzionati e poi arrestati dopo una serie di incendi, rapine ed estorsioni. Qui ci sono i Rinzivillo, che con gli Emmanuello stanziati a Genova hanno costruito un ponte di cocaina, appalti ed estorsioni. Qui, da “Gela 2”, come qualcuno ribattezza Busto Arsizio bevendo un caffè al bancone di un bar, partirono anche le armi che avrebbero dovuto uccidere il sindaco di Gela, Rosario Crocetta, uno che ha sempre cercato di mettere i bastoni tra le ruote alle cosche nel corso del suo mandato politico.
A puntare i riflettori su questa zona è stata la Direzione investigativa Antimafia nel 2007. «A Busto Arsizio si paga il pizzo», una scoperta che forse era più un segreto di Pulcinella, come quella mafia al Nord, presente ma poco raccontata. Incontriamo Massimo Brugnone, anni 25, professione studente di giurisprudenza. Massimo è di origine calabresi, ma è nato e vive qui in provincia di Varese da sempre. Nel 2007 fonda il coordinamento lombardo dell’Associazione antimafia “Ammazzateci Tutti”. «Volevo diventare magistrato – ci dice Massimo quando lo incontriamo – per combattere quel cancro che mi aveva estirpato dalla mia terra d’origine e poi scopro di avere quella stessa malattia di fianco casa». E i fatti, purtroppo, gli danno ragione e nel solo 2011 sono due le operazioni antimafia un certo peso che colpiscono la cittadina bustocca.
Il 29 marzo del 2011 su richiesta del Procuratore aggiunto Ilda Boccassini e del Sostituto Nicola Piacente ordinano l’arresto di cinque persone. Uno di loro, Rosario Vizzini, già sorvegliato speciale e condannato per associazione mafiosa, è ritenuto organico alla famiglia gelese dei Rinzivillo, legata al clan Madonia. Le indagini, partite nel gennaio del 2010 dopo l’incendio di due auto a Induno Olona (altro paese del varesotto) in uso a un pregiudicato, hanno portato alla scoperta di una serie di altri reati come usura, estorsione, porto illegale di armi e intimidazioni agli imprenditori che continuavano dal 2002. Nessuna denuncia, fino alla convocazione dei diretti interessati da parte degli inquirenti. Comportamenti criminali di svariato tipo, dalle carte emerge come uno degli imprenditori coinvolti pagasse anche casa al mare e stabilimento balneare a uno degli arrestati nel corso dell’operazione.
Ma a dare il polso di cosa sono diventate le mafie in Lombardia, perlomeno della ricchezza accumulata, sono alcune immagini agli atti dell’operazione Tetragona condotta dalla Dda di Caltanissetta che ha toccato poi Genova e proprio Busto Arsizio. Qui gli investigatori hanno seguito gli affiliati alla mafia gelesi per tre anni. Traffico internazionale di droga con Santo Domingo, estorsioni e poi investimenti in aziende edili, autosaloni e immobili.
Nell’operazione finiscono sotto sequestro una società attivissima nell’edilizia, una villa con piscina a Roma e uno yacht di 14 metri ormeggiato sul Lago Maggiore. Durante le indagini, che questa volta grazie alle testimonianze delle vittime delle estorsioni, hanno raggiunto riscontri più rapidi, gli investigatori riprendono il battesimo della figlia di Rosario Vizzini, ritenuto dagli inquirenti il capo della “filiale” del clan gelese a Busto Arsizio. Dalle riprese effettuate dalla Polizia si vede la limousine bianca con cui Vizzini entra al ristorante di Orta (estraneo alle indagini) per poi mostrare la neonata ai 200 invitati, per un ricevimento costato la bellezza di quasi 40mila euro fanno sapere gli inquirenti.
Oggi Vizzini è uno dei pentiti, insieme a Belnome, che sta ricostruendo con gli inquirenti la geografia criminale dei clan in Lombardia e nel Nord Italia. Grazie alle sue indicazioni recentemente sono stati ritrovati i resti di Salvatore d’Aleo, ucciso e seppellito a Vizzola Ticino nel 2008. Un nome importante quello di Vizzini, che indica anche l’esecutore materiale dell’omicidio D’Aleo: Emanuele Italiano, padre di Jonathan Italiano, arrestato per una rapina nel locale “La Conchiglia”. Una sequenza di rapine, quella tra novembre e dicembre a Busto Arsizio, che sta facendo pensare a una vera e propria operazione di raccolta fondi per i detenuti, dopo lo smantellamento delle cosche delle operazioni Fire-Off e Tetragona.
Così, risalendo la strada verso Malpensa con alle spalle cinque omicidi, danneggiamenti, estorsioni e intimidazioni, scorgiamo l’hub di Malpensa, dove, si legge nelle varie inchieste, spesso l’ingresso dei cargo con un certo tipo di carico non propriamente legale viene “oliato” da qualche migliaia di euro. Così l’attenzione si sposta anche sui parcheggi e le aree adiacenti all’aeroporto, come fa notare dal 2005 Modesto Verderio, leghista della prima ora di Lonate Pozzolo e uomo impegnato sul fronte antimafia. Secondo Verderio, come ha più volte detto e denunciato, il business immobiliare di Malpensa, in vista anche di Expo 2015 attira le attenzione della mafia, che qui, tra imprese edili e agenzie immobiliare, può fare affari per i prossimi vent’anni.