L’occasione era ghiotta e nel Pdl non se l’è fatta scappare nessuno. La riforma del lavoro rischia di spaccare il Pd e inizia a preoccupare l’elettorato di centrosinistra. Improvvisamente il fronte berlusconiano riconquista la scena. Il crollo nei sondaggi, le polemiche su tesseramenti gonfiati, gli scontri nei congressi: da un paio di giorni sembra essere passato tutto in secondo piano. La riforma studiata dal ministro Fornero apre improvvisi – e abbastanza attesi – imbarazzi nel Partito democratico? Il Pdl si schiera compatto a favore del governo Monti. Finora non era mai successo: le modifiche al mercato del lavoro piacciono a tutti, tra i parlamentari è quasi una gara per complimentarsi con la squadra dei tecnici.
Anzi, la soddisfazione è tale che ora il Popolo della libertà chiede addirittura di accelerare. Sorpreso dal mancato accordo tra governo e parti sociali, Bersani è in difficoltà. Stretto tra la Cgil pronta alla piazza e l’ala filo-montiana del partito. Portare la riforma in Parlamento con un disegno di legge finirebbe per dilatare i lavori per mesi. Abbastanza per consentire ai democrat di risolvere le questioni più spinose e studiare modifiche di compromesso da introdurre durante l’iter. Meglio allora un decreto legge. Magari da blindare con l’ennesimo voto di fiducia. Sufficiente per far esplodere le contraddizioni Pd nel minor tempo possibile.
A via dell’Umiltà attendevano questo momento da tempo. Almeno dall’insediamento del governo tecnico. Meglio, dalla pubblicazione dell’agenda di Mario Monti. Diversi berlusconiani avevano previsto che i primi interventi dell’esecutivo, quelli su pensioni e liberalizzazioni, avrebbero colpito l’elettorato pidiellino. Ma c’era anche la certezza che al momento di toccare l’articolo 18, ad andare in difficoltà sarebbe stato il Pd. E così dopo aver passato gli ultimi mesi con le spalle al muro, il Pdl è passato all’attacco. «Bersani vuole fare la riforma che hanno in mente la Camusso e la Fiom? – ha alzato lo scontro stamattina il segretario Angelino Alfano – Allora vinca le elezioni, la faccia e poi la spieghi lui alla gente». Con tanti saluti alla grande coalizione. I toni concilianti già messi a dura prova dagli ultimi scontri su Rai e Giustizia sono definitivamente accantonati. «Mi pare che nelle ultime 48 ore – ha continuato l’ex Guardasigilli – Bersani abbia detto tanti ma e pochi sì».
«Il Pd si fa dettare l’agenda dalla Cgil». E il Pdl diventa il più fedele alleato di Palazzo Chigi. Solo una decina di giorni fa Alfano si era rifiutato di partecipare ad un vertice di maggioranza chiesto da Monti, dopo aver saputo che al tavolo si sarebbe discusso anche della riforma Rai e del provvedimento anticorruzione. Ora il segretario cambia velocemente registro. «Non abbiamo totem da difendere o zone franche – ha spiegato Alfano con una giravolta – il governo si occupi di tutto ciò che ritiene importante, anche i temi della giustizia».
Dalla sua il Pdl può contare su un’importante novità. Gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto raccontano un partito in ripresa. Intendiamoci, nessuna crescita miracolosa. Rispetto a qualche mese fa il crollo resta evidente. Eppure sembrerebbe che il trend negativo si sia fermato. Toccato il fondo attorno a quota 20 per cento, adesso il partito di Berlusconi può lentamente risalire. I problemi interni non sono superati, tutt’altro. La spaccatura tra ex An e forzisti, i congressi ancora da celebrare (come quello di Roma, rimandato a data destinarsi per l’assenza di un accordo tra le correnti), il difficile rapporto con la Lega in vista delle amministrative. I nodi restano tutti irrisolti. Eppure l’attenzione pubblica si è spostata. Grazie all’ultima riforma del governo, al centro dei retroscena politici è finito lo scontro interno al Pd. E a poco più di un mese dalla prossima tornata elettorale, nessun berlusconiano poteva sperare di meglio.