A Cavezzo i terremotati sono divisi tra italiani ed extracomunitari

A Cavezzo i terremotati sono divisi tra italiani ed extracomunitari

CAVEZZO – Cavezzo è distrutta. «Non esiste più», racconta sconsolato il sindaco Stefano Draghetti. Poco più di sette mila abitanti, il piccolo centro della bassa modenese è una delle realtà più colpite dal terremoto. «Vuole sapere come la vedo? – racconta il capo dei vigili urbani mentre ispeziona il centro storico della città – La vedo brutta. Siamo un paese disastrato». Quattro le vittime. Una donna l’hanno estratta viva dalle macerie stasera alle nove. Oltre il 70 per cento degli edifici sono crollati. «Almeno 106 palazzi – elenca il vigile – E tutte le chiese». E così, dopo la seconda scossa della giornata, arrivata verso l’una, quasi tutti gli abitanti rimasti in città hanno lasciato il centro storico. Che nel pomeriggio accoglie silenzioso e spettrale i pochi curiosi (a passeggio sotto i portici nonostante le forze dell’ordine abbiano sconsigliato a tutti l’accesso)

A poche centinaia di metri dalla chiesa di Sant’Egidio – crollata anche quella – gli abitanti di Cavezzo si ritrovano alla cooperativa “Giardino”. Una struttura polifunzionale di proprietà del comune, dove si organizzano gran parte delle attività cittadine. Da oggi è il centro operativo della squadra dei soccorsi. «È l’unica struttura agibile della zona» racconta una volontaria della protezione civile. Seduti a un piccolo tavolino di plastica, alcuni funzionari compilano dei documenti. Raccolte le indicazioni dei cittadini, si stilano le prime liste di danni. E si allestiscono i primi soccorsi. Le persone sono stravolte. Si guardano attorno e restano in silenzio. Il terremoto è entrato d’improvviso nelle loro esistenze, stravolgendole. 

Se gran parte degli abitanti si ritrova qui, un’altra metà dei cittadini di Cavezzo preferisce incontrarsi altrove. In piazza Fratelli Cervi, periferia – se periferia si può chiamare – del paese. Qui, davanti all’ingresso del bar Cinzia, si danno appuntamento gli extracomunitari. Bevono seduti sulle panchine all’aperto, insieme a qualche sporadico cliente italiano. Serviti dalla famiglia cinese che gestisce il locale, una delle poche attività rimaste aperte in città. La madre al banco, il padre fuori. Assieme ai due figli che passano, nonostante tutto sorridenti, da un tavolo all’altro.

Cavezzo è una città divisa. Ferita dal terremoto, anzi «distrutta». Ma ancora ferocemente divisa. Sembra impossibile a poche ore da una tragedia che accomuna tutti. Eppure è così. Da una parte gli emiliani. Dall’altra gli stranieri: marocchini, cinesi, meridionali. Tanti. La manovalanza – spesso altamente specializzata – di gran parte delle industrie della zona. Non a caso, incredibilmente, in città sono stati allestiti due diversi campi di accoglienza. Uno è in piedi già da una settimana, al Palaverde. Una struttura da trecento posti letto ai margini del paese. L’altro è in via di costruzione all’estremità opposta di Cavezzo, al Palazzetto dello Sport. Per questa notte non sarà agibile. Si aspettano ancora la tende che nelle prossime ore dovrebbero arrivare dall’Abruzzo.

«Noi andremo tutti al campo che devono ancora costruire» raccontano due ragazzine che attraversano in bicicletta le vie deserte del paese. «Al Palaverde ci sono solo gli extracomunitari». In città sono in molti a pensarla così. La paura del terremoto è pari a un’altra paura. Vicino al campo che da una settimana accoglie i primi senza tetto, sulla cancellata di una villetta abbandonata è stato lasciato un cartello. “Settimo comandamento: non rubare”. Cavezzo teme gli sciacalli. «E certo che c’è paura – spiega un volontario in pettorina fosforescente che controlla un incorcio a pochi metri dalla villetta abbandonata – qui è pieno di immigrati, entrano e rubano tutto. A Crevalcore, dopo la prima scossa, è già successo».

Stavolta i cittadini sembrano essersi premuniti. «A quanto ne so io – continua il volontario – stanno arrivando alcuni carabinieri. Sorveglieranno le strade di notte per evitare gli atti di sciacallaggio». Al centro dei timori degli abitanti di Cavezzo ci sono sempre loro, gli extracomunitari. Si racconta che ieri notte abbiano già creato problemi al campo della Protezione civile a Finale Emilia. «Gli hanno servito della pasta al ragù – racconta un signore – ma molti di loro non mangiano la carne. E così si sono lamentati, hanno alzato la voce, hanno fatto casino».

Per evitare incomprensioni, fuori dal Palaverde i cartelli ad uso degli ospiti sono scritti in due lingue. Italiano e arabo. Fuori dalla struttura decine di nordafricani chiacchierano seduti sul ciglio della strada. Kone è un ingegnere, viene dalla Costa d’Avorio ma ormai vive in Emilia da tempo. «Questa notte non mi fanno stare qui, è tutto al completo» si lamenta con educazione. Dormirà in macchina, come gran parte degli abitanti del paese. «La mia casa non è danneggiata, ma certo lì non ci torno» spiega. Una quarantina d’anni, sorridente Kone respinge con gentilezza ogni scenario razzista: «Ma no, non è vero. Al campo della protezione civile ci sono solo extracomunitari? Questo sì, ma probabilmente perché la maggior parte delle abitazioni crollate sono loro».

A Cavezzo è uno dei pochi a pensarla così. «Vuole sapere la verità? La gente qui con gli immigrati non ci vuole stare». Una signora con due buste di plastica in mano – piene di generi di conforto raccolti al Palaverde – si sfoga. Ci sono bottiglie d’acqua, scatolette di tonno, di carne. È un dono della Conad del Paese. «Hanno fatto appena in tempo a portare il cibo alla protezione civile prima che il supermercato crollasse».

«Sono cruda, ma dico le cose come stanno – continua – ho perso la casa e ho perso il lavoro». È disperata. «Questa gente crea solo problemi. Quando gli viene offerto da mangiare rifiutano, si lamentano. Hanno un sacco di pretese. Vogliono solo pollo macinato da tre giorni. Altrimenti pesce».

Vero o falso, la storia ha già fatto il giro del paese. Tra i pochissimi italiani che da una settimana dormono al Palaverde c’è Domenico Castiglione. Originario di Casal di Principe, nel Casertano, è venuto in Emilia per fare il muratore. «Ma da oltre un anno – racconta – sono disoccupato». Domattina partirà con tutta la famiglia per tornare in Campania. Fino a oggi hanno dormito al Palaverde. «Qui al 90 per cento sono stranieri. Che vuole – racconta ironico – gli abitanti di Cavezzo non ci vengono. Non si vogliono mischiare con questa marmaglia».

Nella piccola piazza davanti al Bar Cinzia un gruppetto di nordafricani discute ad alta voce del terremoto. Sono ancora spaventati. Tra di loro c’è Josef Akaddah, saldatore, da quindici anni nella bassa modenese. «Pensa – racconta – che qualche giorno dopo la prima scossa sono andato a fare la spesa al supermercato. Una signora mi ha detto: “Perché compri da mangiare qui? Non lo sai che se vai al Palaverde ti danno da mangiare gratis. Perché non vai lì?”. Gli ho risposto che quel campo era stato attrezzato solo per chi aveva veramente bisogno».

La casa di Josef (lui ci tiene a precisare che l’ha regolarmente acquistata qualche anno fa) è danneggiata. Ma fino ad oggi lui ha preferito non allontanarsi. Ha dormito lì, anche per lasciare più posti letto nel campo allestito per i senza tetto. «Sono tutti extracomunitari – spiega – E lo sa il primo giorno dopo il terremoto cosa mi hanno detto al bar? “Adesso chi paga per tutto questo?”». Un affronto per Josef. «Ma come chi paga? Paga l’Unione Europea, paga l’Italia. Ma soprattutto pago io con le mie tasse».  

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