È possibile sentirsi all’estero anche al centro della propria città? A qualche giornalista italiano è capitato questo pomeriggio, durante la conferenza del segretario Pierluigi Bersani presso la stampa internazionale. Un incontro organizzato a Roma, in via dell’Umiltà, a due passi dalla sede del Popolo delle Libertà e dal Quirinale. Ma a mille miglia di distanza dalla dialettica politica cui siamo quotidianamente abituati. Per oltre un’ora i corrispondenti di tutto il mondo tempestano di interrogativi il leader del Partito democratico. Curiosi, spesso ingenui, sempre corretti. Il risultato è quanto di più straniero si possa immaginare: domande pertinenti, schiette, dirette. Nessun timore reverenziale per il leader politico di turno. Poco protagonismo e tanta voglia di mettere in difficoltà l’ospite. Sempre con estrema professionalità.
«Mi scusi segretario, come fa un partito di sinistra a sostenere il governo delle banche?» vogliono sapere dall’Argentina. C’è chi si chiede con stupore come è possibile finanziare i partiti con soldi pubblici dopo che gli italiani hanno abolito il sistema con un referendum. E chi domanda perché invece di lamentarsi di Berlusconi il Pd non abbia fatto una legge sul conflitto di interessi quando era al governo. «Il Partito democratico è il primo partito in Italia? – prende la parola una corrispondente tedesca evidentemente all’oscuro delle lunghe polemiche sulle primarie – E allora perché a Palermo e Genova non ci sono vostri candidati sindaci?». Scene di un’epoca lontana. Di un giornalismo che – quest’ammissione è piena di autocritica – si credeva non esistesse più.
Il primo a intervenire è un giornalista olandese, corrispondente del Telegraph. «Matteo Renzi è un esponente del suo partito che si fa spesso sentire. Per lei rappresenta più un arricchimento o un fastidio?». Chiaro, preciso. Una domanda che non si aspettava nessuno. Forse fuori dal dibattito di queste ore, ma non per questo meno attuale. Bersani accusa il colpo. «Un arricchimento, certo…». Poi ci ripensa: «Mi stupisce che con tutti i problemi che abbiamo in Italia, da voi colpiscano queste notizie». A sorprendere, semmai, è il suo stupore. Poi Bersani la butta in scherzo. «Con Renzi problemi zero – sorride – ma non so come si dice in fiammingo».
La conferenza stampa si fa interessante. Le domande, come raramente succede, non sono quasi mai scontate. E soprattutto sono sempre poste per chiedere davvero qualcosa (ovvietà che nel giornalismo italiano talvolta si perde). È il turno di un giornalista svedese. Vuole conoscere lo stato di salute dei partiti italiani: «La sensazione è che il vuoto sia più grave di quello del 1992 – spiega senza preamboli – Da voi non esistono movimenti senza problemi o scandali. C’è il rischio che i partiti tradizionali vengano spazzati via?». Più schietto di così si muore. Bersani dissente con educazione. «Secondo me le cose non stanno così…». Il segretario racconta la deriva populista degli ultimi anni di berlusconismo, difende la buona politica del Partito democratico. «Noi siamo giovani, abbiamo quattro anni di vita, siamo dei bebè. Ma non siamo un esperimento. Siamo il primo partito di questo Paese, in grado di caricarci della responsabilità di governare». Più avanti Bersani se la prende con l’Imu, «il peso è effettivamente micidiale. Proponiamo di attenuarlo con un’imposta patrimoniale per ridistribuire meglio il carico». La domanda era precisa, ma a tratti la risposta sembra trasformarsi in un comizio.
C’è chi incalza Bersani senza troppi timori reverenziali. A un certo punto la corrispondente del Financial Times chiede al segretario di elencare i problemi del suo partito. «Cercherò di sceglierne due…» prende la parola il leader Pd. «Anche tre o quattro» lo interrompe lei. Non gliene fanno passare una. Bersani si scandalizza parlando dello scudo fiscale voluto dal governo Berlusconi? Poco dopo il giornalista di Bloomberg lo riprende: «Il Partito democratico non dovrebbe fare un po’ di autocritica? Quando il Parlamento ha approvato lo scudo fiscale mancavano diversi deputati del suo schieramento…». «Questa è una leggenda metropolitana – risponde infastidito Bersani – In Aula il governo Berlusconi l’abbiamo messo sotto diverse volte».
È il turno della corrispondente brasiliana di Globo News. Pochi secondi per una domanda che dovrebbe diventare materia di studio nelle scuole di giornalismo. «Vorrei parlare di rimborsi elettorali – esordisce – Il finanziamento pubblico ai partiti è stato abolito in Italia da un referendum. Poi gli è stato cambiato nome e i fondi a disposizione della politica sono addirittura raddoppiati. Voi del Pd vi siete fatti un esame di coscienza?». Non è tutto. La giornalista evidentemente segue da tempo le nostre vicende. «Silvio Berlusconi e il conflitto di interessi. Perché quando eravate al governo non avete fatto nulla? O anche questa è una leggenda metropolitana?».
«Beh sì – prova a rispondere Bersani – anche questa è una leggenda metropolitana». E qui la platea di corrispondenti esteri inizia mormorare. Anzi, palesa con insofferenza il proprio disappunto. Una scena forse inedita in una conferenza stampa italiana. Tanto che il segretario Pd è costretto ad articolare una risposta più convincente. «Non credo proprio che D’Alema sia la causa di Berlusconi…». Poi ammette con coraggio gli errori del suo partito. «Probabilmente in problema non è stato visto per tempo, non è stato fatto abbastanza. Si sarebbe dovuta fare una legge sul sistema radiotelevisivo. Il vero errore che riconosco è che quando avevamo l’occasione non abbiamo colto il problema di fondo».
Se Bersani – a dire il vero sempre disponibile – prova a eludere un argomento, l’interlocutore lo richiama all’ordine. Con educazione, ma senza fare sconti. È il caso di una domanda sull’articolo 18 e la possibilità di estendere le modifiche anche ai lavoratori del settore pubblico». Il leader Pd inizia a rispondere, un po’ si perde. Alla fine il giornalista lo riprende: «Mi scusi segretario, io le avevo fatto una domanda sui licenziamenti nel settore pubblico. Il settore pubblico italiano è efficiente?». «No – è costretto ad ammettere Bersani – non è efficiente. La pubblica amministrazione ha dei problemi, anche gravi. Ma non tutta». Qui emerge l’orgoglio nazionale del leader democrat: «L’Inps funziona, e anche diversi comuni e diverse realtà sanitarie – poi alza la voce – Non è che gli italiani sono incapaci di far funzionare le cose…».
A volte Bersani se la cava con una battuta. («Ho proposto a Berlusconi di chiamare il suo partito “Viva la mamma”» ironizza sul restyling pidiellino suscitando le risate dei presenti). Altre volte lo spirito non basta. «Molti partiti di centrosinistra in America Latina – chiede la corrispondente argentina – discutono del vostro appoggio a Mario Monti. Mi scusi, ma come fa un partito di sinistra a sostenere il governo delle banche?». «Dica ai politici argentini che non si sono mai trovati Berlusconi» butta là Bersani. Poi corregge il tiro: «Non credo che quello di Monti sia il governo delle banche. In ogni caso io vincerò, ma non sulle macerie di questo Paese. Abbiamo deciso di sostenere questo governo, caricandoci di una situazione scomoda».
Ultima battuta sulle amministrative di domenica. La corrispondente tedesca avanza un dubbio fin troppo evidente. «Dite di essere il primo partito in Italia – la sua domanda in sintesi – Ma a Genova e Palermo il Pd non è fortissimo…». L’allusione, neppure troppo velata, è all’assenza di candidati sindaci democrat nelle due principali città al voto. Bersani inizia a parlare di primarie di coalizione, dei comuni dove invece a guidare il centrosinistra è il Partito democratico: Pistoia, Piacenza… Una spiegazione articolata, che in Italia conosciamo già.