La solitudine del tesoriere: il coraggioso discorso di Sposetti

La solitudine del tesoriere: il coraggioso discorso di Sposetti

Un grido di dolore. La rabbiosa difesa dell’onorabilità del proprio compito. Ma anche la denuncia dell’ipocrisia con cui tanti deputati hanno deciso di affrontare il tema dei finanziamenti pubblici ai partiti. Quando nel primo pomeriggio lo storico segretario amministrativo dei Ds Ugo Sposetti prende la parola nell’Aula di Montecitorio, è subito chiaro a tutti che la sua voce stona. Fastidiosamente in dissenso con i discorsi di gran parte dei suoi colleghi.

Davanti al giustificato timore di un’imminente delegittimazione popolare, stavolta il Parlamento ha bruciato le tappe. Su esplicita richiesta dei leader di partito in poche settimane è stato studiato un provvedimento per dimezzare i contributi pubblici e si è trovata un’intesa nella maggioranza. Una fretta imposta dalle ultime vicende di cronaca, dai diamanti leghisti ai misteri della Margherita. Una frenesia che pure non è riuscita a interpretare fino in fondo le richieste del Paese (meritoria la destinazione dei fondi risparmiati alle vittime del terremoto, meno la scelta di eludere i controlli della Corte Conti).

Per una volta si procede spediti. Fatta salva la posizione dei partiti d’opposizione, in pochi giorni la Camera approva uno dopo l’altro gli articoli del provvedimento. Si va avanti fino alle 14 di oggi, quando sul tavolo dei relatori arriva l’articolo 7-bis. Un emendamento proposto da un esponente del Pd e interamente dedicato ai tesorieri di partito. Giusta o sbagliata, la proposta di modifica è chiaramente dettata dalle ultime vicende politiche. Si propone di pubblicare sui siti internet dei partiti che hanno diritto a ricevere i finanziamenti «i dati relativi ai redditi» dei tesorieri. Non solo. Sul web devono essere ben visibili anche «i dati relativi ai patrimoni e ad ogni altra attività posseduti anche indirettamente, mediante il trust o altra forma di intestazione fiduciaria, dai medesimi soggetti di cui al periodo precedente (i tesorieri, ndr) e dai loro coniugi o parenti entro il primo grado».

Insomma, per avere la certezza che un partito non si appropri indebitamente dei fondi pubblici, a ognuno viene dato il diritto di spulciare il patrimonio dei familiari di chi è chiamato ad amministrare quel denaro. Il dibattito è aperto. Per qualcuno è una norma sacrosanta, necessaria a garantire la piena trasparenza. Per qualcun altro è un goffo tentativo di interpretare i sentimenti dell’elettorato. Ugo Sposetti prende la parola. Con educazione si scusa con i relatori che hanno lavorato senza soste per scrivere la proposta di legge. «Un lavoro pregevole». Ammette di aver sempre votato, negli ultimi tre giorni, seguendo diligentemente le disposizioni del proprio gruppo parlamentare. «Ma su questo testo – scandisce – voterò contro». Il motivo è presto detto: «Questo testo, volenti o nolenti, qualora fosse approvato criminalizzerebbe chi è chiamato dal segretario di un partito a svolgere il lavoro di tesoriere». Ugo Sposetti non è uno e che si nasconde. In tempi di antipolitica è uno dei pochi parlamentari ad aver sempre difeso il principio del finanziamento pubblico ai partiti, inteso come prima forma di lotta alla corruzione. La sua posizione può essere criticata. Ma non si può non riconoscere che su questo argomento ci ha sempre messo la faccia, anche a costo di essere impopolare.

«Se qualcuno ha tolto risorse pubbliche dall’amministrazione di un partito o di un movimento politico, questo non significa, signor Presidente e onorevoli colleghi, che tutti tolgono risorse pubbliche dall’amministrazione dei partiti dei movimenti politici». Il ragionamento non è in linea con la crescente insofferenza del Paese nei confronti della politica. Ma non fa una piega. Quella di Sposetti è una prospettiva scomoda, eppure ne fa un punto di orgoglio. «Io non posso uscire da quest’Aula avendo votato questo testo, che criminalizza la storia di questo Parlamento, la storia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. (Storia, ndr) che è segnata dalla presenza di colleghi precedenti alla nostra generazione, che hanno svolto in maniera esemplare questo lavoro e hanno pagato un prezzo pur non essendo responsabili».

È l’orgogliosa difesa di una categoria. Spesso costretta – a volte giustamente, altre volte meno – alla pubblica gogna. «Il mio voto non è espresso per me – continua Sposetti – ma per la memoria di galantuomini che hanno svolto il lavoro di tesoriere nei partiti». Il deputato cita l’ex segretario amministrativo della Dc Severino Citaristi e il tesoriere Pds Marcello Stefanini. Il primo – oltre settanta avvisi di garanzia durante Mani Pulite – pur ammettendo il finanziamento illecito al proprio partito ha sempre giurato di non aver mai ricevuto neppure una lira. Stefanini, finito al centro di alcune inchieste sulle tangenti rosse, è stato definitivamente scagionato solo dopo la sua morte.

In Aula c’è un imbarazzo palpabile. Tra i parlamentari dell’Italia dei Valori qualcuno grida, ma la maggior parte dei deputati assiste in silenzio. In realtà qualcuno apprezza. Gli applausi, però, arrivano quasi unicamente dai banchi del centrodestra. La conclusione di Sposetti è la miglior risposta a tante polemiche: «Scusate – chiede ai colleghi presenti in Aula – ma qual è la norma che impedisce a uno di rubare? Qualcuno mi spiega, qui, qual è la norma che impedisce a una persona, a una donna o a un uomo, di rubare? Non c’è una norma! Ci sono altre cose che impediscono rubare: la storia, i valori. Se uno non li ha, non c’è norma che gli impedisca di rubare». 

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