La Francia teme di diventare “terrona” e ha nostalgia di Merkozy

La Francia teme di diventare “terrona” e ha nostalgia di Merkozy

La formazione di un “Fronte del Sud” capeggiato da Parigi non è solo una (presunta) scelta politico-economica di François Hollande. Sono gli stessi cittadini francesi che ormai ragionano da meridionali, assicura un sondaggio pubblicato da Le Figaro a poche ore dal calcio d’inizio del Consiglio Europeo. O almeno così interpreta i dati il quotidiano, adottando la latitudine come strumento analitico discutibile, ma purtroppo assai in voga in questa età della crisi. La ricerca è stata condotta nelle quattro maggiori economie dell’eurozona: Germania, Francia, Italia e Spagna. Ed è netta la spaccatura tra l’opinione pubblica tedesca e quella degli altri tre paesi.

In Germania solo il 41% degli intervistati dichiara di subire gli effetti della crisi, percentuale che sale all’87% in Spagna e al 90% in Italia. La Francia si ferma al 75%, a metà strada ma orientata verso sud, annota il quotidiano. E sebbene in tutti i paesi gli interpellati si dicano preoccupati dal peso del debito, i tedeschi sono gli unici fiduciosi sulla loro capacità di gestirlo. Solo il 39% considera possibile una deriva della Germania, percentuale che sale al 60% in Francia, appaiata all’Italia (61%) nel timore di un remake casalingo dello “scenario greco”. Cognizione della propria vulnerabilità che influisce tanto sull’interpretazione delle cause della crisi quanto sulla scelta degli strumenti più adeguati per farvi fronte. “La Francia ha una percezione simile a quella dei Paesi dei sud” sintetizza preoccupato Le Figaro.

II sondaggio confermerebbe che nell’Europa a due velocità, come avvertono con crudo determinismo geografico i conservatori d’oltralpe, la Francia rischia di ritrovarsi nel treno più lento: quello che viaggia sui binari meridionali. E la scelta dei compagni di viaggio secondo la destra francese può risultare determinante. “Se Hollande non vuole essere condannato a regnare sui paesi del “Club Med” – spiegava mercoledì mattina sempre Le Figaro – dovrà essere più intraprendente per riconquistare il suo posto nel tandem franco-tedesco”.

La nostalgia di “Merkozy” si fa sentire ovviamente innanzitutto tra i nostalgici di Sarkozy tout court, come appunto Le Figaro. La destra repubblicana francese sin dall’insediamento di Hollande denuncia quasi quotidianamente i pericoli provocati dalla crisi nella relazione franco-tedesca. E anche alla vigilia del vertice il segretario dell’Ump Jean-Francois Copé ha ribadito la sua preoccupazione per “l’estremo deterioramento“ dei rapporti con Berlino.

Non si tratta però solo di anti-hollandismo fazioso. L’asse renano è stata una scelta geopolitica (condivisa dai socialisti) coerente con l’idea che la costruzione comunitaria serva a nascondere la potenza della Germania e la debolezza della Francia. L’associazione con Berlino in un presunto direttorio – nella più orgogliosa versione francese – aiutava a coltivare l’illusione gollista di una Francia “cocchiere” del carro europeo trainato dal “cavallo” tedesco. Almeno fino a quando le président Sarkozy non è stato ridotto al ruolo di attendente, che sghignazza sulla credibilità dei vicini meridionali per meglio marcare la distanza che li separa dalla Francia. Una preoccupazione simile a quella espressa dalla nostra classe dirigente quando si affanna a ripetere al mondo che “l’Italia non è come la Grecia”. Il timore che l’effetto domino della crisi possa arrivare fino a Parigi spiega quindi in parte la contrarietà a far circolare l’immagine di una Francia capofila del “Club Med”. A destra, ma non solo.

Sebbene nella maggioranza socialista vi siano tuttora forti resistenze all’implicito compromesso con la Merkel (ratifica del fiscal compact in cambio del via libera al patto sulla crescita), anche a Matignon e all’Eliseo si avverte il rischio che la rottura dell’asse con Berlino possa far perdere a Parigi il posto che conta di più nella cabina di regia del vecchio continente: quello accanto alla Germania.

Così il governo guidato dall’insegnante di tedesco Jean-Marc Ayrault raccomanda con premura ogni strappo nel difficile confronto con Angela Merkel. All’indomani del primo passaggio a Roma di François Hollande per esempio – che coincise con un pepato botta e risposta a distanza tra lo stesso Ayrault e la Merkel – il primo ministro ai microfoni di Europe 1 assicurò che “la Francia non cercava di creare un fronte anti-tedesco”. E per risultare più persuasivo Ayrault si rivolse in tedesco alla Kanzlerin augurandosi che, come ai tempi di Mitterrand e Kohl – “Francia e Germania possano trovare mano nella mano una soluzione per far uscire l’Europa dalla crisi il prossimo 28 e 29 giugno a Bruxelles”. Impegno rilanciato nell’immancabile tête à tête franco-tedesco alla vigilia del summit, che evidentemente neanche l’allargamento del formato a quattro varato la scorsa settimana a Villa Madama da Mario Monti è riuscito a rendere anacronistico. E il ministro degli Affari Europei Bernard Cazeneuve ha colto l‘occasione per rassicurare nuovamente i tedeschi (e una parte dei francesi) che non esiste una “südunion” contro la Germania.

Unione del sud che sarebbe peraltro fragile se avesse come fondamento la contrapposizione tra “asse latino della crescita” e “asse nordico del rigore”. Perché a differenza dell’Italia di Mario Monti, la Francia di Hollande deve ancora iniziare a fare “i compiti a casa” necessari per rispettare l’impegno preso con i partner europei di riportare il rapporto deficit/Pil al 3% entro il 2013. Il neo-presidente ha iniziato anzi il suo mandato con una piccola ma costosa controriforma delle pensioni, rimandando alla fine del ciclo elettorale la politica di risanamento.

La svolta rigorista in Francia, ma “senza austerità” assicura Hollande, dovrebbe iniziare dopo la presentazione dell’audit della Corte dei Conti che certificherà lo stato critico del bilancio. Il rapporto doveva essere presentato già il 24 giugno ma è stato poi posticipato – annotava perfidamente un quotidiano non ostile all’Eliseo come Le Monde qualche giorno fa – per permettere al presidente di “far sentire al vertice di Bruxelles la sua musichetta sulla crescita”.

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