La leggenda del Santo Zio Banchiere della Comit pullula sulla Rete e nei siti di controinformazione, esonda nelle polemiche e approda sul bagnasciuga delle lettere al Corriere: e naturalmente lascia perplessi storici, banchieri, giornalisti e semplici impiegati della Comit, fino ai frati dell’Abbazia di Chiaravalle… La leggenda vuole dunque che Mario Monti sia nipote di Raffaele Mattioli: forse per nobilitare le tesi complottiste di chi vede il premier Monti come capo di oscuri salotti dei poteri forti? Perché Mattioli si collega a Cuccia, e Cuccia a Sindona, vale a dire a poteri occulti, mafia, massoneria, banca Goldman Sachs eccetera eccetera…
Eccolo, dunque, il nipote di Mattioli, con capacità magiche apprese nel salotto buono della Comit, dove suo “zio” per quarant’anni allevò puledri della finanza del calibro di Malagodi, Cuccia, Guido Carli, Merzagora, Ciampi, Ugo La Malfa. Così si spiegherebbe, nel paese dei raccomandati, con tale pedigree, la fulminea carriera di Mario Monti dalla Bocconi a Bruxelles, dalla Fiat alla Comit a Mediobanca…
«Dire che Mario Monti è il nipote di Mattioli, mi pare proprio una grande cavolata», sbotta invece risentito Sandro Gerbi, autore per Einaudi di Mattioli e Cuccia e di Raffaele Mattioli e il filosofo domato Gerbi è il più rinomato tra gli storici del mattiolismo, ovvero quel modo di “fare banca” in modo forse un po’ spregiudicato, sconfinando nella politica, nel sociale, nella cultura ma stando rigorosamente nell’ombra, di cui fu gran maestro Raffaele Mattioli.
«La presunta parentela mi ha toccato particolarmente, anzi ho mandato recentemente anche una lettera a Sergio Romano, al Corriere, che penso pubblicherà presto nella sua rubrica», spiega Gerbi. Narriamo allora la Leggenda del Santo Zio Banchiere della Comit. L’enciclopedia Wikipedia, alla voce Mario Monti, in Biografia/Attività accademica, recita(va): «Figlio di un direttore di banca e nipote del banchiere pubblico Raffaele Mattioli si diploma…». Se andiamo però alla fonte della notizia, alla nota tre, troviamo solo un articolo: Giorgio Dell’Arti. Ma chi è davvero Monti e riuscirà a salvare l’Italia?
Cliccando, si arriva al sito del giornalista e scrittore Giorgio dell’Arti, ex editorialista del Foglio ed ora di Vanity Fair, ospite periodico a Prima pagina, il salotto buono della stampa su Radio Rai tre, e autore di un libro per Marsilio, Il catalogo dei viventi, in cui è pubblicata appunto la leggenda del Santo Zio Banchiere: «Intanto si tratta di capire chi è questo Mario Monti – scrive dunque dell’Arti nel suo sito, riprendendo le pagine del suo libro –. Suo zio era Raffaele Mattioli, celebre a.d. della Comit. Siamo nel salotto dei grandi banchieri, con fedina antifascista e cultura liberale, Croce, La Malfa, Cuccia…». Ipse dixit di Giorgio dell’Arti.
Sarà vero? La dotta citazione è esondata da tempo in Rete e viene usata come clava dai blogger complottisti. Sentiamo allora un altro «mattiolista» di lungo corso, lo scrittore Giancarlo Galli, editorialista di Avvenire, che ha dato alle stampe diversi libri sull’economia italiana, dai grandi crac alla finanza bianca.
«La Comit ha sempre pullulato di cognomi che fanno “Monti” … Ci fu Lucia, e poi Antonio, e infine Mario: è una vicenda complicatissima di alta genealogia araldica-bancaria, in una casata di banchieri dai molti rami…», spiega.
«Non ne ho mai sentito parlare di Mario Monti nipote di Mattioli, io non l’ho mai visto in riunioni alla Comit, quando era vivo don Raffaele…» ricorda lo scrittore abruzzese Giacomo D’Angelo in una biografia poco conosciuta di don Raffaele Mattioli. Sul sito Noicomit, gestito dagli ex funzionari della Banca Commerciale Italiana, D’Angelo fa un lungo ritratto del «burattinaio banchiere», offrendo preziose chicche biografiche per chi volesse ricostruire l’albero genealogico dei Monti-Mattioli: «Nel 1925 Mattioli si risposa con Lucia Monti, imparentata con i Solmi, brillante famiglia della borghesia intellettuale ambrosiana da cui ha tre figli: Maurizio, Stefano e Letizia, futura scrittrice che si firmerà con il nom de plume di Letizia Fortini. A 30 anni viene assunto come Segretario particolare da Toeplitz alla Comit, dove rimarrà fino al ’72, percorrendo le tappe di una carriera vertiginosa: direttore generale, amministratore delegato, presidente. La segreteria di cui entra a far parte Mattioli è detta dei “4 M”: con lui infatti la compongono Giovanni Malagodi, Enrico Marchesano, Cesare Merzagora».
Dunque, nelle 4 M, Mario Monti non c’è, anche se la coincidenza appare quasi come frutto di una sincronicità junghiana, forse una precognizione. Nel ritratto che traccia D’Angelo, che conosceva bene Mattioli, emergono curiose analogie storiche tra le azioni e i giudizi di Mattioli e il comportamento di Mario Monti in carriera, quasi che il supposto nipote volesse assomigliare al suo predecessore banchiere. Scrive D’Angelo in un’introvabile edizione (Raffaele Mattioli in L’Abruzzo nel Novecento, Ediars, Pescara 2004): «L’assunzione di Mattioli è rimasta impigliata in un ambiguo viluppo di pettegolezzi e leggende, ma è certo che grande era la stima che per lui nutriva Giuseppe Toeplitz, successore di Otto Joel, il fondatore della Comit con Federico Weil. Di Joel e di Toeplitz, entrambi ebrei, dirà: “L’uno e l’altro furono grandi italiani, pur se l’ignara casualità dell’anagrafe li aveva fatti nascere in terra straniera. La banca fu lo strumento e il veicolo della loro italianità, fedeli al principio che la banca deve attingere forza e prosperità nel dare forza al paese. Dal loro esempio ho tratto rispetto per quello che si fa, la coscienza morale della professione”».
Come si vede, il complottismo viene da lontano. Forse, come conseguenza di tali pettegolezzi, è nata la Leggenda dello Zio Banchiere.
Lectio di Giancarlo Galli
«Come si sa, ai tempi di Mussolini, Raffaele Mattioli, futuro dominus della Comit incominciò la sua scalata bancaria come segretario del Direttore della Comit, un finanziere proveniente da Varsavia, Giuseppe Toeplitz, figlio di un amico legionario a Fiume, come lo stesso Mattioli fu ufficiale di collegamento tra Mussolini e d’Annunzio. Mattioli rimpiazzò l’amico Toeplitz nella carica di Direttore Generale quando Toeplitz entrò in collisione con il fascismo. Certo, agli storici pare strano che il segretario del Direttore Generale divenne poco tempo dopo lui stesso Direttore della Comit…
Ma Raffaele era un grande filibustiere… Interventista a Fiume, poi mussoliniano, poi togliattiano, anticlericale ma amico di Montini… Raffaele sposò in seconde nozze tale Lucia Monti, famiglia imparentata con i Solmi, buona borghesia milanese, casato che veniva da Modena. Scrivo tutto nel mio libro. Famiglia da sempre schizzinosa verso la politica. Uno dei tanti parenti dei Monti mi pare fu Antonio Monti, che divenne in seguito dirigente della Comit. Un lontano cugino pare fosse invece Giovanni, il padre di Monti. Sono rami lontani, che però provengono da uno stesso ceppo».
Sembrerebbe tutto chiaro. Parenti, Mario e don Raffaele? Sì, forse, ma molto alla lontana. Ma c’è anche una parallela storia di emigrazione nella famiglia del nuovo Capo del Governo italiano. Un lontano parente del Premier, Maurizio Lucca ha spiegato nel novembre del 2011 all’Ansa la storia dei cinque fratelli Monti, tra questi il nonno dell’ex commissario europeo, Abramo, i quali arrivarono in Argentina nel 1888 con un piccolo capitale da investire e avviarono una fabbrica di birra, liquori e acqua minerale nella città di Lujan, a pochi chilometri da Buenos Aires. Giovanni Monti, il padre di Mario, nacque infatti a Lujan, fondò lì una piccola banca e quando tornò in Italia col padre Abramo divenne dirigente della Cariplo.
Una vicenda in cui sono del tutto estranei sia Lucia Monti che Raffaele Mattioli. I Monti, da cui discende il Premier, non dimenticarono mai i loro parenti argentini, racconta infatti Lucca: anzi, nel corso di una visita negli anni Novanta, su invito dell’Unione industriali argentina, l’allora rettore dell’Università Bocconi Mario Monti approfittò della sua permanenza nel Paese sudamericano per tornare proprio in quella casa dove era nato suo padre, un ampio edificio dove vive ancora la zia Rachele Monti.
Banchiere fu Giovanni Monti, ex birraio, e dirigente della Comit fu tale Antonio Monti. E ancora oggi, lo storico Francesco Scardin in Vita italiana nell’Argentina del 1899, parla della «famosa birreria Monti», fra l’Avenida Maipù e l’Avenida Cuyo, luogo di ritrovo di notturno della movida di allora che allungava le serate passate all’Opera o al San Martin o al Casino di Buenos Aires e soprattutto di giornalisti che svelavano le anteprime dei giornali: davanti a una birra degli Hermanos Monti.
Quale filo e legame di parentela avrebbe unito gli Hermanos Monti e Raffale Mattioli? Un vero giallo. Lo storico Giancarlo Galli si mette le mani nei capelli ed esterna: «È tutto un intreccio di cugini e bisnipoti, un giro di zii e nonni all’ombra della Comit, difficile ora da dipanare…» E continua: «Bisogna dire che il supposto e lontano zio di Mario Monti è tutto il contrario del presunto bisnipote: Raffaele era un esibizionista e quasi un eccentrico, mentre il bisnipote Mario è molto riservato. Raffaele era anticlericale, Mario è molto cattolico, Raffaele nell’animo era progressista, almeno nel dopoguerra, Mario è sempre stato molto liberista, quasi reazionario.
Mario Monti è sempre stato coerente con le sue idee, ma il Mattioli… Eh, il Mattioli era di una abilità straordinaria a saltare sul carro avversario… Monarchico, divenne amico di Togliatti. Anticlericale, curò le finanze vaticane, e poi fu un provocatore. Mattioli, già moribondo, fece riaprire la tomba di Guglielmina da Boemia, un’eretica del medioevo, sepolta a Chiaravalle, da un suo fidato impiegato della Comit: e lì decretò che sarebbe stato sepolto. Mandò a “comprare” l’antica dimora dai frati di Chiaravalle, che riempì di munifiche elargizioni. Raffaele si fece poi seppellire nella tomba di Guglielmina, la quale, nel lontano medioevo, sosteneva che Dio era femmina e per questo il suo cadavere venne esumato e bruciato come quello di una eretica. Tuttavia Mattioli venne benedetto in punto di morti dai Gesuiti di piazza san Fedele. Sulla sua tomba sfilarono i Cuccia, i Maranghi, i poteri forti di allora, tutti dirigenti della Comit e pure i padri del san Fedele, in contrasto con il cardinale di allora, Colombo.
Ecco, un’altra analogia… Mario studiò infatti al liceo dei gesuiti, il Leone XIII. Coincidenze: Mattioli mangiapreti ma grande amico di Andreotti, Monti un cattolico quasi bacchettone, molto intransigente. Mattioli sepolto in una tomba di una eretica, Monti che si sposa all’Abbazia di Chiaravalle.
Mario e Raffaele hanno tuttavia qualcosa in comune, qualcosa che è lo stile e la tradizione dei grandi funzionari della Comit: sentirsi investiti da un destino quasi divino, sentirsi profeti, missionari del Dio danaro in un rigorismo assoluto. In questo Mattioli e Monti sono proprio parenti stretti».
Lectio di Sandro Gerbi
«A proposito dell’ascendenza di Mario Monti, forse varrebbe la pena di correggere una fola che comincia a prendere piede, sui giornali e in rete (Wikipedia). La fola è questa: Mario Monti sarebbe nipote di Raffaele Mattioli (1895-1973), il banchiere che fu per quarant’anni alla guida della Banca Commerciale Italiana (Comit). Ecco invece la realtà. Il vedovo Mattioli sposò in seconde nozze Lucia Monti (nata nel 1903), la quale aveva due fratelli: Mario Monti (nato nel 1906), ingegnere meccanico alla Dalmine, e Antonio Monti (1917-1996), grande carriera alla Comit, nel settore estero, fino alla presidenza, prima della Comit stessa, poi di Mediobanca. I tre fratelli Monti erano cugini, per parte della madre (Solmi), del grande letterato Sergio Solmi, a sua volta per decenni capo dell’ufficio legale della Comit. Questi i fatti. L’errore è dovuto a un banale caso di omonimia».
Giorgio dell’Arti, nel suo abbecedario dei viventi, ha quindi confuso le anime defunte di Antonio e Mario, fratelli di Lucia Monti, con l’Antonio Monti, fratello di Abramo birraio, padre di Giovanni futuro banchiere e a sua volta padre di Mario Monti, il quale divenne tuttavia vicepresidente della Comit nel 1988… Analogia con il supposto zio Mattioli. «Io ho frequentato Mattioli sin da bambino, mio padre era capo Ufficio Studi alla Comit, e come suo vice aveva Ugo la Malfa. Sono quindi documentato. E posso affermare, a seguito di indagini negli ambienti della Comit, che il premier Mario Monti non è affatto parente di Mattioli.
© 2012 Mind Edizioni
Il Sacro Monti
di Claudio Bernieri
Mind Edizioni
18 euro, 302 pagine
Con una prefazione di Giuseppe Baiocchi