Il 7 giugno del 2011 moriva a Parigi Jorge Semprún. Pochi lo hanno ricordato nelle settimane scorse. Di Semprún (Madrid 1923-Parigi 2011), un uomo che ha attraversato il novecento vivendo tutte le sue fratture (la Guerra civile spagnola, la Resistenza, la cattura e poi la prigionia nel campo di concentramento di Mauthausen; la militanza nel Partito comunista spagnolo, fino alla sua fuoriuscita nel 1964 e poi tutta la battaglia per la le libertà contro i socialismi reali e il suo convinto impegno europeista democratico), forse non è ancora il tempo di parlarne compiutamente. E tuttavia quel silenzio è indicativo di uno smarrimento di cui oggi l’Europa democratica soffre.
Ci sono voci di cui a lungo abbiamo fatto conto che non avessero niente da dire. Questo fino a quando quelle voci sono state tra noi e dunque potevamo ignorarle. Poi a un certo punto quelle voci tacciono perché si conclude il loro ciclo di vita. E quelle voci iniziano a mancarci. E’ capitato molte volte e dunque non dobbiamo dare la responsabilità a questo nostro tempo distratto oppure dall’assommarsi di dati e dal sovrapporsi frenetico di suggestioni.
E’ un tratto umano, molto umano sia nella dinamica di primo tipo, che in quella di secondo tipo. Eppure la possibile prevalenza di un’opinione antidemocratica è la possibile conseguenza di quella distrazione, di non insistere e ripetere cose, parole, concetti immagini che sono costate molto impegno nel passato perché acquisissero uno spazio. C’è un’incuria della democrazia che oggi è diffusa tra i democratici, come se questa fosse un dato acquisito, “naturale”. Ma in politica non c’è mai niente di naturale. E ripetere non guasta. Forse annoia. Ma in democrazia è un sentimento che possiamo anche permetterci, a condizione di rimanerci. Nella democrazia, intendo. In ogni caso, meglio ripetersi, per non perdere di vista il punto della situazione. Un tempo si sarebbe detto: dove siamo e dove andiamo (soprattutto dove non vogliamo andare).
Jorge Semprún, Tornare indietro non si può. Non dimenticare che prima dell’Europa attuale ci stanno solo i totalitarismi*.
Dove siamo noi, dunque? Dov’è l’Europa in questa fine secolo prodigiosa? Il crollo del comunismo è la fine della storia? Non è più pensabile alcuna dialettica sociale? Come ricostruire un pensiero critico, portatore di un progetto sociale alternativo, dopo il crollo, pure sanguinario, di tutte le illusioni tradizionali della sinistra? L’orizzonte dei sistemi socio-politici attuali, dove predomina su scala planetaria, almeno tendenzialmente, una democrazia di massa e di mercato, è realmente invalicabile(…) Solo la prassi sociale orientata sui valori fondamentali della ragione democratica troverà le risposte successive a tutte queste domande. Qui proverò a delineare alcune risposte di carattere generale.
1) Il crollo del comunismo nostra che noi abbiamo percorso fino alla fine il ciclo storico inaugurato dall’Illuminismo, che il marxismo aveva in seguito spinto fino alle estreme conseguenze (..) un ciclo fondato sulla convinzione in una trascendenza sociale, al di là del sociale. Fondato sull’idea che si può costruire una società nuova a partire da una rottura rivoluzionaria. Non solo una società nuova, ma anche un uomo nuovo. Questa idea che è stata la molla e lo stimolo, si è rivelata nefasta, sanguinaria. Non ha più niente da illuminare. Per questo oggi noi siamo di fronte a una realtà che ci pare insuperabile (…). Ma se questa società si colloca in un orizzonte insuperabile, nello stato attuale delle forze produttive e dei rapporti sociali, essa è egualmente invivibile o ingiusta per un numero considerevole dei suoi abitanti.
2) Nell’immanenza antiutopica, laica del pensiero di sinistra da ricostruire, l’idea dell’Europa comunitaria può e deve giocare un ruolo predominante. L’idea di Europa concepita come una sopranazionalità comunitaria, dove si dislochino, e non si contrappongano, le identità regionali o locali. Non è un progetto di rottura, di manicheismo sociale, perché richiede l’adesione di forze politiche e sociali molto diverse. Non è un progetto burocratico perché esige la partecipazione dei cittadini e l’estensione ampia della democratizzazione della vita politica. Non è un progetto di potenza statale perché limita la sovranità arbitraria degli Stati a beneficio di una Comunità fondata su valori comuni e identità sociali e culturali forti
3) Occorrerà in terzo e ultimo luogo evocare il ruolo della Germania unificata , riunificata nella libertà, nel farsi di questa Europa. Dico solo che la Germania deve essere cosciente, senza arroganza nazionale e senza inibizione autocolpevolizzante, del ruolo che può giocare nell’Europa unificata. Non penso prevalentemente alla sua potenza economica o alla sua posizione geopolitica. Penso a alla Germania come una figura spirituale, perché è il solo paese europeo a dover assumere, come un percorso interiore e non come l’imposizione dall’esterno, l’esperienza sociale traumatica dei due totalitarismi di segno opposto, il nazismo e lo stalinismo, che hanno segnato i nostri paesi per la maggior parte di questo secolo.
*La sinistra in Europa dopo le utopie, Conferenza tenuta a Francoforte sull’Oder, il 25 luglio 1992 (Estratto). Il testo del discorso si trova in Jorge Semprún, Une tombe au creux des nuages, Climats, Paris 2010, pp. 85-109. Il passo qui riprodotto si trova a pp. 105-109. La traduzione è a cura dell’autore.