Un nuovo governo Monti pronto a insediarsi a Palazzo Chigi già questo autunno. Un esecutivo non più tecnico, ma rinforzato dalla presenza di ministri politici, espressione dei partiti che lo sostengono. L’ipotesi si fa più concreta. Da una parte l’eventualità di elezioni anticipate, che gran parte dei protagonisti della vita politica italiana ha iniziato a considerare come probabili. Dall’altra la necessità di rispondere alla speculazione internazionale in tempi rapidi e con un governo in grado di assicurare all’estero stabilità e credibilità. Una soluzione non preventivata, ma divenuta improvvisamente di attualità. Una strada quasi obbligata di fronte alle ultime, drammatiche, pressioni dei mercati. Con lo spread in continuo rialzo, le Borse in calo, l’euro ai minimi storici. Uno scenario che avrebbe mandato nel panico più di qualche osservatore, se è vero che dalle parti del Ministero dell’Economia si sta persino valutando l’introduzione di un’imposta patrimoniale da far scattare già nei prossimi giorni. Un prelievo forzoso direttamente sui conti correnti e i depositi bancari.
E così, dal Parlamento al Quirinale, il progetto di un Monti-bis sostenuto da una parte rilevante dell’attuale maggioranza sta diventando più concreto. Un esecutivo in grado di proseguire l’agenda dell’attuale governo. Guidato dal Professore e appoggiato da una coalizione politica più omogenea di quella attuale. Partito democratico e Udc su tutti.
Proseguire la legislatura in queste condizioni rappresenta un alto rischio. Il premier Mario Monti lo ha spiegato la scorsa settimana a Giorgio Napolitano, durante un colloquio al Quirinale. Dopo la pausa estiva, a settembre i partiti torneranno con la testa già alle elezioni di primavera. Cercheranno in tutti i modi di prendere le distanze dall’esecutivo. Presentando una serie di veti e paletti per tentare di riavvicinare il proprio elettorato. Ma l’effetto sarebbe drammatico. Il governo si troverebbe paralizzato, incapace di agire. Specie di fronte alla necessità di varare provvedimenti impopolari. Ecco perché l’unico rimedio – questa la posizione del presidente del Consiglio – resta lo scioglimento anticipato delle Camere. E la convocazione di elezioni anticipate a fine ottobre. L’unica strada per assicurare in tempi brevi un governo con una solida base parlamentare, in grado di proseguire sulla strada riformista intrapresa da Mario Monti. Un’ipotesi che avrebbe trovato d’accordo anche il Quirinale.
Chi andrebbe al governo? Certamente l’Udc. Il partito di Pier Ferdinando Casini che da sempre appoggia Monti e propone per il 2013 un nuovo esecutivo in stretta continuità con la squadra del Professore. Non è un caso se ieri, in un’intervista, il leader centrista ha aperto, per la prima volta, all’ipotesi di elezioni anticipate. E poi il Partito democratico. Altro grande sostenitore – pur se con maggiori distinguo – del governo tecnico. Il protagonista dell’asse tra progressisti e moderati più volte delineato dal segretario Pierluigi Bersani. La gran parte dei dirigenti democrat accoglierebbe con entusiasmo l’idea. Dal vicesegretario Enrico Letta a Massimo D’Alema, passando per l’ala veltroniana del partito. Resta da convincere Bersani. Il segretario sostiene da tempo la necessità di chiudere la parentesi Monti. «L’Italia deve tornare ad essere una democrazia compiuta, con un centrodestra e un centrosinistra che propongono programmi alternativi». A un passo dall’elezione a Palazzo Chigi il leader Pd accetterebbe di farsi da parte? Sembra che il pressing nei suoi confronti sia già iniziato. Di certo anche al Nazareno il tema è all’ordine del giorno. La stessa presidente Pd Rosy Bindi parlando con La Stampa ha ammesso: «Noi siamo il primo partito e ci candidiamo a governare il Paese. Ma so bene che il “Monti dopo Monti” è una prospettiva con cui potremmo trovarci a dover fare i conti pure se vincessimo le elezioni». Dati i tempi ristretti, sull’altare del Monti bis sarebbero sacrificate anche le primarie del centrosinistra. Ma almeno su questo argomento sembra che i dirigenti democrat pronti a disperarsi siano molto meno numerosi.
Monti, i progressisti e i moderati. Da Mosca, dove è in visita ufficiale, il premier preferisce non commentare le indiscrezioni che arrivano dall’Italia. «Mi hanno chiesto di assicurare la gestione del Paese fino alla primavera del 2013 – ha spiegato in un’intervista alla Rossiyskaya Gazeta – Io e i miei colleghi stiamo cercando con tutte le nostre forze di farlo nel miglior modo possibile». Ma a Roma si continua a parlare di un’alleanza politica costruita attorno al presidente del Consiglio e a una sua lista elettorale. Da una parte l’Udc, dall’altra il Pd. Non ci sarebbe l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, che ormai sembra fuori da ogni accordo con il partito di Bersani a prescindere dalla presenza di Monti. E non ci sarebbero Pdl e Lega. Impossibile conciliare la presenza di Silvio Berlusconi – in pochi hanno dimenticato le sue uscite anti-euro – con una coalizione come quella descritta. A Popolo della Libertà e Lega Nord resterebbe la strada della vecchia alleanza, peraltro già rinata al Senato negli ultimi scorci di questa legislatura al Senato. Stavolta in chiave anti-Monti.
Un passaggio importante rimane quello della legge elettorale. Anche se forse meno decisivo di quel che sembra. Tutti i protagonisti della scena politica si sono impegnati – almeno a parole – a riformare il Porcellum. Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche Napolitano avrebbe persino posto la riforma del sistema di voto come condizione necessaria per interrompere la legislatura (le Camere devono essere sciolte non oltre il 15 settembre, per poter indire le elezioni alla fine di ottobre). Che il Porcellum non piaccia al presidente della Repubblica è un dato certo, e che alcune migliorie gli sarebbero gradite è dato per certo. Dal punto di vista del Colle, in ogni caso, la nascita di un governo stabile e in linea di continuità con l’esecutivo Monti ha la priorità su tutto. L’approvazione di una legge elettorale deve rappresentare «un segnale forte a chi dubita della stabilità futura dell’Italia» spiegava domenica Casini a La Stampa. Una candidatura dell’attuale presidente del Consiglio potrebbe avere lo stesso effetto. Senza considerare che, a conti fatti, il Porcellum resta l’unica legge elettorale in grado di garantire alla nuova formazione una forte stabilità (la prima coalizione “conquista” un premio di maggioranza pari al 55 per cento dei seggi a Montecitorio). Numeri necessari per rimanere al governo non solo durante al fase emergenziale, ma per tutti i cinque anni della prossima legislatura.