Un anno di inviti, messaggi, sollecitazioni. Un anno in pressing per spingere i partiti a riformare la legge elettorale. Pur di archiviare definitivamente il Porcellum il Quirinale non si è risparmiato. Anzi, sembra quasi che il presidente Giorgio Napolitano ne abbia fatto una questione personale. Ogni occasione è buona per pungolare il Parlamento. Ogni intervento pubblico è utile per richiamare i principali esponenti politici alle proprie responsabilità. Una strategia asfissiante. Tesa anche, soprattutto, a sottolineare l’incapacità riformatrice dei partiti italiani. Impegnati ormai da qualche tempo a fare e disfare la tela di Penelope della nuova legge elettorale. A seconda delle convenienze del momento.
Un impegno alla luce del sole, quello di Napolitano. Che non gli ha risparmiato qualche critica. Senza una nuova legge elettorale, il presidente ha già fatto sapere ai leader delle principali forze politiche che non scioglierà anticipatamente le Camere. E se fosse improvvisamente necessario dar vita a una nuova legislatura – magari per un’inattesa evoluzione della crisi finanziaria mondiale – saranno i partiti ad assumersene la responsabilità.
Onore al capo dello Stato. Giorgio Napolitano è stato tra i primi a sollevare la questione. Lo scorso settembre i comitati referendari per l’abolizione del Porcellum hanno appena raccolto oltre un milione di firme quando il presidente della Repubblica, intervenendo alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli, condivide pubblicamente l’opportunità di una nuova legge elettorale. L’obiettivo deve essere il ripristino del «rapporto di responsabilità tra elettore ed eletto» spiega Napolitano. «Non voglio idealizzare o idoleggiare i modelli del passato. Perché sappiamo quanto la pratica delle preferenze grondasse di negatività, ma quella era una forma di collegamento più diretto».
Poco prima di Natale il Colle torna sull’argomento. A dicembre, durante la cerimonia per lo scambio degli auguri al Quirinale, Napolitano chiama direttamente in causa il Parlamento. «Purtroppo – le sue parole – in questi anni non si è giunti alle decisioni che si attendevano e che oggi appaiono auspicabili, anche a proposito di legge elettorale». Il capo dello Stato è ancora fiducioso. Forse nemmeno lui immagina il lungo e inconcludente balletto che si sarebbe aperto di lì a poco alle Camere. «Si recuperi il tempo perduto – così Napolitano – in un sussulto conclusivo di operosità riformatrice e di fecondità del Parlamento, della legislatura, dei partiti».
Invece il tempo passa. E la trattativa per archiviare definitivamente il Porcellum e riformare la legge elettorale neppure inizia. Il 30 gennaio, in occasione del conferimento della laurea ad honorem da parte dell’Università di Bologna, il presidente sollecita un intervento dei partiti. In alcuni passaggi della sua lezione su «Le difficoltà della politica (in Europa e in Italia)», Napolitano continua a riporre le sue speranze nella responsabilità delle forze politiche. Sottolineando l’importanza di alcune riforme utili ai partiti e alle istituzioni per recuperare «quella fiducia che si è venuta tanto indebolendo». Tra queste «la restituzione ai cittadini-elettori della voce che ad essi spetta innanzitutto nella scelta dei loro rappresentanti», ma anche «la selezione di candidati a ruoli di rappresentanza istituzionale che presentino i necessari titoli di trasparenza morale e competenza».
Niente da fare. Nonostante gli inviti del Colle poco o nulla sembra muoversi. A marzo il presidente torna a farsi sentire. Sempre con educazione, senza mai alzare la voce, al termine di una visita al Museo Campano di Capua Giorgio Napolitano confida ai giornalisti presenti che il Parlamento sta per aprire il confronto su alcuni temi all’ordine del giorno. È il caso del «cantiere delle riforme in campo costituzionale, elettorale e regolamentare – spiega – Mi auguro che soprattutto questo cantiere vada rapidamente avanti». Una speranza vana.
Il 25 aprile Napolitano inizia a spazientirsi. In occasione delle celebrazioni per l’anniversario della Liberazione, dal palco di Pesaro il capo dello Stato tradisce l’irritazione. Una dura critica ai partiti che siedono in Parlamento. «Ho ritenuto doveroso, e non solo negli ultimi tempi ma in tutti questi anni, sollecitare anche con accenti critici riforme istituzionali e politiche. E mi rammarico che si sia, in questa legislatura e nella precedente, rinunciato a ogni tentativo per giungere in Parlamento a delle riforme condivise» premette. Tra le riforme più urgenti c’è ovviamente quella del Porcellum. C’è bisogno di «una nuova legge elettorale – avverte Napolitano – che restituisca ai cittadini la possibilità di scegliere i loro rappresentanti, e non di votare dei nominati dai capi dei partiti».
Della necessità di una nuova legge elettorale per ricostruire un rapporto di fiducia tra il Paese e la politica Napolitano torna a parlare a fine maggio. L’occasione non è casuale. Dall’aula bunker di Palermo, durante la cerimonia di commemorazione di Giovanni Falcone, il presidente spiega senza troppi giri di parole che «una nuova riforma elettorale è diventata indispensabile per riguadagnare la fiducia dei cittadini, per ridare slancio e capacità innovativa al sistema politico e istituzionale».
Arriva l’estate, si avvicina la pausa dei lavori parlamentari. Nei colloqui privati tra Napolitano e il presidente del Consiglio Mario Monti si comincia persino a ipotizzare una chiusura anticipata della legislatura. A luglio Napolitano è costretto a rivolgersi direttamente alle Camere. Lo fa con una lettera, inviata ai due presidenti Fini e Schifani. Un messaggio in cui il capo dello Stato avverte che la riforma della legge elettorale «non è più rinviabile». Per la prima volta Napolitano non parla più di riforme condivise. Il tempo a disposizione è troppo poco. Piuttosto che tornare al voto con il Porcellum, meglio una nuova legge, anche se approvata senza l’accordo di tutti i partiti. «Anche rimettendo a quella che sarà la volontà maggioritaria delle Camere la decisione sui punti che non risultassero oggetto di una più larga intesa preventiva». La risposta del presidente di Palazzo Madama è rapida. Renato Schifani assicura immediatamente il Colle che entro dieci giorni sarà pronta una bozza della nuova legge elettorale, frutto di un confronto tra i gruppi parlamentari. Sono passate tre settimane.