Test sbagliati e rischio di ricorsi agli esami per gli aspiranti docenti

Test sbagliati e rischio di ricorsi agli esami per gli aspiranti docenti

Più che di una scrematura si è trattato di un massacro. Il test a crocette preliminare per entrare nel Tirocinio formativo attivo (tfa), il corso che si conclude con l’abilitazione all’insegnamento, ha avuto finora dei risultati incredibili. Ad oggi si sa chi ha passato il primo ostacolo per entrare nel tfa – si richiede un punteggio di 42/60 – nelle classi di concorso di matematica, fisica, scienza e meccanica agraria, filosofia-psicologia-scienza dell’educazione e lingua e civiltà araba.

In quasi tutte le università, i candidati ammessi hanno superato di poco – quando lo hanno superato – il numero di posti messi a disposizione. Questo crea un grave rischio che i posti poi non vengano coperti, perché tra i vari candidati ammessi è probabile che alcuni abbiano passato il test anche in altre categorie di concorso e optino per quelle. Ad esempio a Bari, per Fisica, sono disponibili 25 posti. Solo 26 candidati hanno superato l’esame a crocette. Sarà sufficiente che due tra gli ammessi decidano, per qualsiasi ragione, di non frequentare il tfa che il numero previsto non sarà coperto. Stesso problema alla Statale di Milano per Matematica (47 ammessi per 40 posti), o all’Università Tuscia per Scienze e meccanica agraria (30 ammessi per 25 posti).

La situazione già così sarebbe molto grave. Ma, guardando i dati, ne risulta una ancora peggiore. In molte università infatti gli ammessi sono già in partenza meno dei posti disponibili. Per Matematica succede a Napoli, con solo 33 ammessi per 60 posti, o a Milano Bicocca, con 48 ammessi per 65 posti. Per Arabo, alla Sapienza di Roma solo in 35 hanno passato il test a fronte di 40 posti a disposizione.

I risultati più imbarazzanti sono quelli del test per Filosofia, Psicologia e Scienza dell’educazione. A Bologna sono stati ammessi in 4 per 20 posti disponibili. A Firenze in 6 per 25 posti. A Milano-Bicocca uno solo, pur essendo disponibili 20 posti. Addirittura alla Statale di Milano, non è stato ammesso nessuno. Idem alle Università di Cagliari, di Sassari, della Calabria, a quella di Cassino-Lazio Meridionale, di Urbino, Lumsa Roma e a quella di Trento. Otto atenei, nessun promosso.

Gli studenti, che per sostenere l’esame a crocette hanno pagato 150 euro, sono infuriati. Per ottenere risultati simili, il test è stato progettato male. Inoltre in alcune materie è stato segnalato che alcuni quesiti erano errati. È successo in quello di Fisica, di Informatica e in modo più rilevante in quello di Matematica. Il professor Giorgio Bolondi, membro dell’Unione matematica italiana (Umi) che segue la questione del tfa, riconosce che «alcune delle proteste degli studenti sono fondate. Almeno due domande del test ammettevano più di una risposta corretta (la n. 24 e la n. 39ndr). Noi, in quanto Umi, pubblicheremo nelle prossime ore una relazione tecnica al test in cui evidenziamo gli errori. Ovviamente al ministero l’avevamo consegnata prima della pubblicazione delle graduatorie. Ora aspettiamo di vedere cosa verrà deciso».

Gli fa eco la professoressa Paola Gario, dell’Università di Milano: «Due domande sono sicuramente errate, e secondo noi altre, nella parte di comprensione del testo, sono ambigue. Per la classe di lingua araba hanno stabilito che a una domanda dubbia tutte le risposte valessero come esatte. Visto che per matematica la questione è stata segnalata anche prima, non si capisce perché non sia stata già presa una decisione simile».

Il rischio è quello di una pioggia di ricorsi. Una possibilità è quella di considerare qualsiasi risposta alle domande errate come esatta, e ricalcolare i punteggi di conseguenza. Ma – come detto – più che singoli errori materiali, il problema di questi test preliminari risiede in un macroscopico difetto nella loro progettazione. Molti hanno lamentato l’eccessiva difficoltà delle domande. Alcune di carattere puramente nozionistico, e riguardanti aspetti poco conosciuti della materia. Altre, di ragionamento, di una complessità sproporzionata rispetto al tempo concesso. Un test di 60 domande e della durata di tre ore, non può prevedere che la risposta venga ricavata in più di 3 minuti.

Un criterio che, stando alle proteste degli studenti e anche ai rumors dell’ambiente accademico, non è stato rispettato. Il professor Bolondi spiega che «ci sono stati diversi problemi. Fissare una soglia di ammissione è rischioso, perché non permette di normalizzare il test in base alla sua difficoltà. Questo test in particolare poi o non è stato sperimentato, o comunque lo si è fatto male. E poi si sarebbe potuto lasciare più potere alle singole commissioni di decidere quanto peso attribuire al test, in base al tipo di materia». Rincara la professoressa Gario: «Si è trattato di un test inutilmente duro, con domande per eruditi e non per aspiranti insegnanti. Quando un esame dà lo 0% di ammessi, in diverse zone di Italia, con studenti di diverse età e diversa formazione, è l’esame a essere sbagliato».

La situazione è molto grave. Se nella correzione dei test delle altre materie dovesse emergere un tasso di bocciature simile a quello visto finora, questo primo tfa (dopo 4 anni dalla chiusura delle Ssis) sarebbe un fallimento. Le scuole che hanno bisogno di nuovi insegnanti abilitati rimarrebbero sostanzialmente scoperte (è un problema solo di alcune aree geografiche, altre – al contrario – hanno un soprannumero di docenti abilitati). Le stesse Università si troverebbero a dover affrontare problemi di accorpamento di vari tirocini, e gli studenti rischiano di essere costretti a frequentare il corso in una sede diversa rispetto a quella per cui hanno svolto il test (in base al decreto, l’attivazione dei tfa non può gravare sulle casse degli atenei).

«Ora – conclude Bolondi – aspettiamo che il Ministero prenda una posizione chiara, per evitare che tutta l’operazione dei tfa venga svalutata». Bisogna dare risposta ai problemi emersi che, in ambiente universitario, si ritiene siano stati creati proprio dal dicastero dell’Istruzione. «Se i test fossero stati predisposti dalle Università, invece che dai tecnici del Miur, tutto questo non sarebbe successo», è la tesi che circola. Ma ormai il danno è fatto, e agli studenti interessa poco del senno di poi. E che il Ministero sia inciampato in una simile tagliola proprio quando è guidato da un ex rettore, non è una gran pubblicità positiva per il governo dei tecnici.

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