Intanto la riforma sulle intercettazioni è ferma alla Camera

Intanto la riforma sulle intercettazioni è ferma alla Camera

Il Quirinale replica duramente alle notizie di stampa sulle presunte telefonate tra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino intercettate dalla procura di Palermo. Nel frattempo la politica torna a interrogarsi sull’uso – e l’abuso – delle intercettazioni telefoniche e della loro diffusione. In prima fila tanti esponenti del Pdl, ma non solo loro. «È una cosa primitiva – spiega l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini – non consona ad una società liberale, che le intercettazioni private vengano sbattute sulle pagine dei giornali, una legge è indispensabile». Già, peccato che sono proprio i partiti a non trovare un’intesa su un provvedimento in materia. Un riforma in ballo da anni, che ha visto la resa tanto di governi di centrosinistra che di centrodestra.

Ci aveva provato il governo Prodi, nel 2006. Ma il tentativo di un disegno di legge per regolamentare intercettazioni telefoniche e relative pubblicazioni sui giornali fallì miseramente al Senato (dopo una prima approvazione alla Camera). Stessa sorte per il governo successivo, l’ultimo guidato da Silvio Berlusconi. Un provvedimento a firma Angelino Alfano – simile al precedente – approvato a Montecitorio nel giugno 2009, modificato al Senato un anno dopo, è ancora oggi ancora in attesa alla Camera. È la riforma impossibile. Ufficialmente i partiti non riescono a trovare un’intesa. In realtà troppo spesso la regolamentazione della materia diventa materia di scambio e oggetto di strumentalizzazioni politiche (non stupiscono da questo punto di vista le numerose reazioni delle ultime ore).

E così la trattativa Stato-mafia e le telefonate rubate al Colle riaprono il confronto. Con un nuovo protagonista: il governo tecnico. Il presidente del Consiglio Mario Monti è deciso a intervenire. Dieci giorni fa parlando con il settimanale Tempi il Professore ha annunciato «iniziative» sul tema, per prevenire «abusi che si sono verificati e si verificano». Come intervenire? Per l’esecutivo le strade possibili sono due. Si può far proseguire l’iter del ddl Alfano – la cosiddetta “legge bavaglio” – o presentare un provvedimento ad hoc.

L’obiettivo è chiaro. «Creare un filtro affidato al magistrato – così ha spiegato il ministro Paola Severino in una recente intervista al Corriere della Sera – idoneo a tracciare una separazione netta tra le intercettazioni penalmente rilevanti e quelle irrilevanti». Mentre i berlusconiani si mangiano le mani per non aver approvato il proprio ddl quando potevano contare su una larga maggioranza in Parlamento, a Largo Arenula si studia il percorso.

Alcune norme del disegno di legge fermo alla Camera destano qualche dubbio. Tra i passaggi più discussi c’è la scelta di togliere al gip del tribunale il potere di autorizzazione delle intercettazioni telefoniche, per affidarlo a una corte di tre magistrati presenti nel capoluogo di distretto. Ma anche il divieto di utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi.

Peccato che una parte del provvedimento non sia più modificabile. In particolare quella che Camera e Senato hanno già approvato, in entrambe le letture. La questione procedurale rischia di creare più di un problema. «Il primo nodo da sciogliere è quello legato alla modificabilità di quelle parti della legge che hanno già avuto una doppia approvazione – ha chiarito il ministro Severino – Solo quando sarà superato questo dubbio, si potrà procedere ai necessari emendamenti».

E così si fa strada la seconda ipotesi, quella eventualmente preferita dal Partito democratico. Un nuovo testo, scritto dal Guardasigilli con l’intesa delle parti politiche. Considerato l’avvicinarsi delle prossime elezioni, le settimane a disposizione non sono molte. E in realtà dal Pd qualcuno ha fatto notare di essere già fuori tempo massimo per una riforma di questo tipo. Una riforma, è bene chiarire, che non influirà in ogni caso nella vicenda che vede coinvolto il Capo dello Stato. Di quella, dopo la richiesta del Colle, si occuperà la Corte costituzionale.

Il rischio di stallo è alto, anche stavolta. Con una preoccupazione in più. Se il ddl sulle intercettazioni finirà su un binario morto – l’ennesimo – probabilmente seguirà la stessa sorte anche il provvedimento anti-corruzione. Frutto di un intenso lavoro diplomatico del ministro Severino, che è riuscita a mettere d’accordo tra mille difficoltà Pd e Pdl, qualche mese fa il testo è stato approvato dalla Camera. Merito, anche, dell’ennesimo voto di fiducia chiesto dal governo. Inviso al Pdl, ora il provvedimento è fermo al Senato. I dirigenti berlusconiani hanno già fatto sapere che se non si procederà in parallelo con le intercettazioni, sono pronti a bloccarlo. A dirla tutta i provvedimenti legati alla giustizia che il Pdl chiede di esaminare contemporaneamente sono tre. Oltre a intercettazioni e anti-corruzione c’è anche la responsabilità civile dei giudici. Non è difficile immaginare quanto alte siano le probabilità di un altro nulla di fatto. Con buona pace di Napolitano.  

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