Storia MinimaL’Italia è il Paese degli ex, l’hanno fatta i voltagabbana

L’Italia è il Paese degli ex, l’hanno fatta i voltagabbana

Il gattopardo, fin dai tempi della sua uscita, è il testo con cui molte volte è stata spiegata la Sicilia che va dal Risorgimento in poi. Ogni tanto, nei momenti alti della crisi politica, quando il gioco di maschere si fa significativo, non è sbagliato riaprirlo e chiedersi: questa volta sarà diversa? È proprio vero che c’è un carattere fisso, dato, antropologico, strutturale comunque immodificabile? Oppure è un confronto in cui tutto lo schema che è immodificabile?

È un meccanismo che corrisponde al livello più evidente nel monologo del Principe di Salina. C’è anche un livello più indiretto su cui conviene soffermarsi e che il protagonista del monologo accenna alla fine, sommessamente. È il tema degli “ex”, di coloro che hanno avuto un ruolo prima, ma sanno come riformulare se stessi dentro una trasformazione che hanno consapevolezza che sarà radicale.

Un aspetto che lo storico Mario Isnenghi ha proposto come regola della storia italiana e non come eccezione, come chiave interpretativa generale. Gli ex sono coloro «che hanno spezzato la loro vita in due, disfatti e rifatti, da catastrofi, abiure, conversioni e palingenesi». Isnenghi propone di considerare «[l’]arcipelago degli ex come meccanismo costitutivo e originario nella storia dell’Italia unita».

Un criterio che Isnenghi adotta per leggere lungo l’intero percorso della storia italiana dal Risorgimento e poi nell’Italia liberale, nel fascismo, nell’Italia repubblicana, per arrivare fino all’89. Un percorso che divide orizzontalmente le famiglie tra genitori e figli; che ha alcuni anni canonici (1861,1922,1945,1989); che presenta procedure che si ripetono “regolarmente”.

La regolarità, osserva Isnenghi, non consiste solo nel passaggio da una condizione all’altra, per cui «allorquando le barche invertono le rotte, ciò che era a destra ora lo si vede a sinistra» e viceversa, ma coinvolge anche gli spettatori, pur fermi sulle rive «che ora si voltano e tirano il collo di qua, mentre prima di là». Quella regolarità riguarda anche i protagonisti di una stagione che chiedono il diritto di parola in nome del “vissuto”, di una “autobiografia” che si candida a canone e si costruisce come memoria.

Dietro alla questione degli ex, dunque, non c’è solo una persistenza di figure, ma anche un modo di presumere di fare i conti, o di chiuderli, con il passato creando nuove illusioni, identificandosi con quelle, facendosene paladini e dunque “risorgendo a nuova vita”.

Quanti dei candidati che a novembre si sfideranno per il dopo Raffaele Lombardo rispondono a questo requisito? E soprattutto quella condizione possiamo dire viga solo a Palermo? E infine: quella condizione è un residuo o è un’anticipazione?

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, La nuova generazione dei siciliani*

“l’intenzione è buona ma tardiva; del resto le ho già detto che in massima parte è colpa nostra; lei mi parlava poco fa di una giovane Sicilia che si affaccia alle meraviglie del mondo moderno; per conto mio mi sembra piuttosto una centenaria trascinata in carrozzella alla Esposizione Universale di Londra, che non comprende nulla, che s’impipa di tutto, delle acciaierie di Sheffield come delle filande di Manchester e che agogna soltanto di ritrovare il proprio dormiveglia fra i suoi cuscini sbavati e il suo orinale sotto il letto . (…)

Non nego che alcuni Siciliani trasportati fuori dall’isola possano riuscire a smagarsi bisogna però farli partire quando sono molto, molto giovani: a vent’anni è già tardi; la crosta è già fatta, dopo: rimarranno convinti che il loro è un paese come tutti gli altri, scelleratamente calunniato; che la normalità civilizzata è qui, la stramberia fuori. Ma mi scusi Chevalley, mi sono lasciato trascinare e la ho probabilmente infastidito.

Lei non è venuto sin qui per udire Ezechiele deprecare le sventure d’Israele. Ritorniamo al nostro vero argomento. Sono molto riconoscente al governo di aver pensato a me per il Senato e la prego di esprimere a chi di dovere la mia sincera gratitudine; ma non posso accettare: sono un rappresentante della vecchia classe, inevitabilmente compromesso col regime borbonico, e ad esso legato dai vincoli della decenza in mancanza di quelli dell’affetto. Appartengo ad una generazione disgraziata a cavallo fra i vecchi tempi ed i nuovi, e che si trova a disagio in tutti e due. Per di più, come lei non avrà potuto fare a meno di accorgersi, sono privo di illusioni; e che cosa se ne farebbe il Senato di me, di un legislatore inesperto cui manca la facoltà d’ingannare se stesso, questo requisito essenziali per chi voglia guidare gli altri? Noi della nostra generazione dobbiamo ritirarci in un cantuccio e stare a guardare i capitomboli e le capriole dei giovani intorno a quest’ornatissimo catafalco. Voi adesso avete bisogno di giovani, di giovani svelti, con la mente aperta al “come” più che al “perché” e che siano abili a mascherare, a contemperare volevo dire, il loro preciso interesse particolare con le vaghe idealità politiche. Posso dare a Lei un consiglio da trasmettere ai suoi superiori?”

“Va da sé, principe, esso sarà certo ascoltato con ogni considerazione, ma voglio ancora sperare che invece di un consiglio vorrà darci un assenso”.

C’è un nome che io vorrei suggerire per il Senato: quello di Calogero Sedàra; egli ha più meriti di me per sedervi; il casato, mi è stato detto, è antico o finirà per esserlo; più che quel che Lei chiama il prestigio egli ha il potere; in mancanza dei meriti scientifici ne ha di pratici, eccezionali; la sua attitudine durante la crisi di Maggio scorso più che ineccepibile è stata utilissima; illusioni non credo che ne abbia più di me, ma è abbastanza svelto per sapere crearsele quando occorra. 

* Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il gattopardo, nuova edizione riveduta a cura di Gioacchino Lanza Tomasi,Feltrinelli, Milano 2007, p. 178-181