Una delle immagini rubate al funerale del boss
CATANIA – Nel pomeriggio di martedì presso la “Tenda Ulisse” di Ognina, zona costiera dI Catania, si sono tenuti i funerali di Pippo Ercolano, storico esponente del clan Santapaola-Ercolano, influente famiglia per gli interessi economici della città.
Solo tre foto, scattate furtivamente con una macchina nascosta da Andrea Di Grazia per il freepress catanese Sud hanno mostrato la cerimonia blindata in grande stile. Moltissimi i presenti, arrivati con auto di grossa cilindrata, parcheggiate sia all’interno che all’esterno del piccolo porticciolo catanese. Il feretro è stato trasportato dalla ditta D’Emanuele, di proprietà di Sebastiano e Natale, cugini di Nitto Santapaola. Proprio Natale sta scontando in carcere una condanna definitiva per omicidio e associazione mafiosa. Anche il figlio Antonino è finito in manette nel 2010 in seguito all’operazione “Cherubino”, nell’ambito dell’indagine sull’infiltrazione dei clan mafiosi nel settore delle onoranze funebri, quando la Dia sequestrò alla famiglia D’Emanuele beni per un valore di 10 milioni di euro. Ad accompagnare l’auto con la salma del defunto, quattro furgoni contenenti circa 16 corone di fiori, omaggi di diverse famiglie e amici vicini al clan, che già nella giornata di lunedì si erano raccolti nell’abitazione di Giuseppe Ercolano per l’estremo saluto.
“U zu Pippu”, come lo chiamavano in tanti, era ormai malato da tempo di cancro, e si trovava a casa durante il decesso, per scontare gli arresti domiciliari in seguito all’inchiesta “Iblis”. Aveva 76 anni, era sposato con Grazia Santapaola, sorella di Benedetto meglio noto come “Nitto”, soprannominato “il licantropo”, reggente dell’omonima famiglia e sanguinario capomafia, oggi in carcere per diverse condanne tra cui l’ergastolo per le stragi di Capaci e via d’Amelio.
La famiglia Ercolano aveva reinvestito i proventi dei traffici illeciti in diverse attività commerciali. Una di queste era la gestione del settore della grande distribuzione con la sigla “Superesse”, ovvero una catena di supermercati intestata al prestanome Anastasio Caponnetto. L’altro punto di riferimento ruota intorno al mondo degli autotrasporti. Per molti anni Pippo Ercolano è stato titolare della “Avimec”, l’azienda leader del settore in Sicilia, poi confiscata perché “in odor di mafia”. «Nei tempi d’oro – scriveva Claudio Fava in un suo articolo sull’Unità – dentro i tir dell’Avimec viaggiava, ben protetto, Nitto Santapaola quando doveva spostarsi da un rifugio all’altro».
Il “re degli ortofrutticoli” viene arrestato la prima volta nel dicembre ’92, nell’ambito dell’operazione “Orsa Maggiore”, e condannato a 12 anni di reclusione per associazione mafiosa. Uscito nel 2004 dal carcere di Lanciano, viene nuovamente arrestato per “estorsione” appena un anno dopo, ma verrà successivamente scarcerato dal Tribunale del Riesame. Infine finisce ancora in manette nel 2010, in seguito all’operazione “Iblis” sui presunti rapporti tra mafia, politica e imprenditoria che vede coinvolti anche l’ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo e il fratello Angelo, attualmente parlamentare Mpa.
Il primogenito, Aldo Ercolano, sta scontando una pena al 41 bis per essere stato il killer di Pippo Fava. In quella tragica notte del 5 gennaio 1984, mente il giornalista di Palazzolo Acreide si trovava nei pressi del Teatro Verga, zona Cibali, venne freddato da cinque compi calibro 7,65 alla nuca. Con la storica operazione “Orsa Maggiore”, Nitto Santapaola venne condannato per essere il mandate dell’omicidio, mentre Aldo per aver preso parte al plotone d’esecuzione.
Il clima di intimidazione verso i giornalisti consentiva di poter operare sotto un alone di silenzio. Coloro che facevano il contrario venivano prontamente redarguiti. C’è persino un aneddoto che spiega meglio tale sudditanza. «Un giorno – scrive Claudio Fava ne I nuovi Siciliani nel marzo 1996 – Pippo Ercolano si presenta davanti Mario Ciancio, direttore del quotidiano La Sicilia per fare le sue rimostranze su un pezzo del giorno precedente in cui lo si definisce “boss mafioso”». A quel punto il direttore del principale quotidiano siciliano chiama a rapporto «il capo cronista Vittorio Consoli e il cronista autore del pezzo, Concetto Mannisi, li rimprovera davanti al boss e li congeda, invitandoli a non indicare più nei pezzi il signor Giuseppe Ercolano e nessun altro della sua famiglia con tale appellativo».
Il secondo figlio, Vincenzo, viene arrestato nel 2000 durante l’operazione “Orione 5”, con l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso e concorrenza sleale. Dopo 22 mesi di reclusione, viene scarcerato perché il fatto non sussiste. Dissequestrata anche la sua ditta, la “Geotrans”, sempre inserita nel mondo degli autotrasporti. Recentemente è balzato agli onori della cronaca durante la protesta dei forconi in Sicilia. In un video apparso su Reportime, realizzato dal giornalista Antonio Condorelli, viene notato tra i tanti manifestanti presenti ai blocchi delle autostrade.
Eppure già nel marzo 2010, l’inchiesta video di Report, intitolata “Il Progetto”, realizzata da Sigfrido Ranucci e con la collaborazione di Antonio Condorelli, raccontava come gli Ercolano fossero inseriti nel sistema del movimento terra in Sicilia. I giornalisti raccontarono come la Cava della Co.pp., riconducibile proprio a Vincenzo, lavorava con il subappalto concesso dalla Unical Spa che a sua volta forniva materiale dalla Pizzarotti & C. Spa per la realizzazione dell’autostrada Catania-Siracusa. Circa 750 milioni, molti dei quali provenienti dai fondi Fas, per realizzare in grande stile circa 27 km di superstrada. La Pizzarotti, che aveva firmato il protocollo di legalità con la quale si impegnava a sospendere eventuali forniture di aziende legate alla mafia, aveva inviato alla Prefettura di Catania l’elenco delle ditte tra cui figurava anche la Co.pp. Nonostante i lavori avviati, dopo nove mesi l’Ufficio territoriale del Governo chiede di sospendere le forniture. A quel punto la Co.pp. di Ercolano sporge reclamo ufficialmente alla Prefettura etnea per conoscere le ragioni della sospensione. Dopo nuovi accertamenti, la Prefettura dichiara di essersi sbagliata e garantisce che l’azienda è provvista della certificazione antimafia.
Il legame tra la famiglia Ercolano e gli autotrasporti continua con Angelo Ercolano, nipote del boss, nominato nel settembre 2009 presidente della FAI Catania, federazione degli autotrasportatori, che rappresenta circa 1.500 addetti. Nonostante il cognome pesante, Angelo è un’imprenditore incensurato. Amministra la “Sud Trasporti Srl”, costituita nel 1969 dal padre Giambattista Ercolano fratello di Pippo, anche lui arrestato per mafia e poi scarcerato nel 1998 per «insufficienza di prove». L’azienda a conduzione familiare, gestita insieme alla sorella Maria e al figlio Aldo, opera tra il Nord e il Sud dell’Italia, con una flotta di circa 600 camion e 70 dipendenti fissi. Risulta inoltre essere regolarmente iscritta a Confcommercio ed è considerata tra le aziende “pulite” che ha aderito al protocollo di legalità.
Proprio quest’ultima vicenda ha scatenato una diatriba in Sicilia tra Confcommercio e Confindustria. «Sono accusati di avere un cognome scomodo – spiega Pietro Agen, presidente di Confcommercio – Angelo e i suoi fratelli sono incensurati e il padre Giambattista è stato assolto in appello». «È reato chiamarci Ercolano a Catania?», conclude Agen. Negli elenchi degli iscritti a Confcommercio depositati presso la Regione Sicilia risulta anche l’azienda dell’altro cugino, la “Geotrans” di Vincenzo Ercolano.
«Tuteliamo le persone che vogliono redimersi rispetto a una storia di famiglia», spiega Ivan Lo Bello, ex presidente di Confindustria Sicilia, oggi componente nazionale e vicepresidente all’Education. Ma sulla polemica con Agen e il protocollo della legalità non ha mezzi termini: «Non scordiamoci della storia della famiglia Ercolano, che è storia di sangue, di delitti e di omicidi».