Nucleare, grandi annunci ma la bonifica è “all’italiana”

Nucleare, grandi annunci ma la bonifica è “all’italiana”

TRINO VERCELLESE (VC) – Trino Vercellese è una zattera galleggiante immersa nella pianura padana, appoggiata al Po e al Monferrato. Da oltre mezzo secolo, la sua storia è legata al nucleare, nonostante in 23 anni di attività (1964-1987) la centrale Enrico Fermi abbia prodotto 26 miliardi di kWh di elettricità, allo stato attuale dei consumi in Italia, pari a circa 26 giorni di fabbisogno.

L’impianto compare all’orizzonte percorrendo, in direzione Casale Monferrato, l’ex 31 bis o il ponte sul grande fiume verso la collina: ha una base tozza, una torre affilata e un aspetto ormai antico. Poco più in là, a Leri Cavour, si ergono altre torri, con forme più “americane”, sono quelle della Galileo Ferraris, che doveva essere atomica ma con il referendum del 1987 la sua destinazione fu convertita a gas. A venti chilometri di distanza, troviamo Saluggia, capitale delle scorie (oltre l’80% dei rifiuti radioattivi italiani giacciono a due passi dalla golena della Dora Baltea). Un triangolo che non ha pari nel resto del Paese.

Torniamo alla Fermi. È qui che, in questi giorni, i riflettori sono puntati. Costruita in soli tre anni da un consorzio di imprese guidate da Edison, nell’ottobre del 1964 la centrale incominciò la produzione di energia elettrica. Passata in mano a Enel nel 1966, la sua attività è stata fermata ventuno anni dopo.

Il 6 agosto scorso, la Sogin (società di Stato incaricata del decommissioning) ha comunicato che il ministero dello Sviluppo economico ha approvato, su parere dell’Autorità di sicurezza nucleare (Ispra), il decreto di disattivazione per la centrale di Trino – prima a ottenerlo tra i quattro impianti italiani (Garigliano, Caorso e Latina) – che prevede la bonifica completa del sito con lo smantellamento e la decontaminazione dell’isola nucleare. «Raggiungeremo l’obiettivo, previsto nel nostro piano industriale, di terminare la bonifica del sito di Trino nel 2024», ha dichiarato l’amministratore delegato Giuseppe Nucci, che considera lo smantellamento degli impianti nucleari, «la più grande bonifica ambientale della storia del nostro Paese».

Qualche mese fa, il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, era stato più prudente sui 12 anni previsti. «Lo stato di avanzamento del decommissioning – aveva dichiarato nel corso del question time alla Camera – è attualmente valutato dalla Sogin pari al 14% e l’anno 2024 è stimato quale data presumibile di rilascio del sito, senza vincoli di natura radiologica».

Per la disattivazione dell’impianto vercellese, il piano Sogin prevede 234 milioni di euro e due fasi: la prima, riguarda il completamento delle attività di smantellamento, per il 2019, con il cosiddetto “Brown field” (i rifiuti vengono stoccati in depositi temporanei). Nella seconda fase, per un costo di 52 milioni, le scorie verranno trasferite, cinque anni dopo, al deposito nazionale. L’area di Trino – dice Sogin – sarà così libera da vincoli radiologici, diventerà “Green field” (prato verde). 

Esiste, però, un particolare che mette in dubbio un possibile lieto fine. Manca ancora il deposito nazionale, secondo una legge dello Stato (368/2003) doveva essere costruito entro il 31 dicembre 2008, ma quattro anni dopo non è stato individuato. «Non essendoci il sito nazionale, né i criteri per l’individuazione, la disattivazione completa di Trino, come di altre località, non sarà possibile», dice Gianpiero Godio, di Legambiente Vercelli, già tecnico Enea. «Così com’è – aggiunge – è solo una finta disattivazione, si tratta di una messa in ordine delle scorie. Il rischio reale è che queste rimangano sul territorio. La strategia di Sogin, a dispetto delle parole, pare quella di trasformare i siti in depositi di se stessi. Si dovrebbe invertire, invece, il percorso: prima il sito, poi la disattivazione. Come associazioni ambientaliste avevamo chiesto la sospensione dell’autorizzazione nel caso in cui fosse emanato il decreto. Ora, presenteremo ricorso al Tar». 

Il Piemonte è la regione che sconta maggiormente il peso del nucleare pregresso. Secondo l’ultimo Annuario dei dati ambientali dell’Ispra, il 72% dei rifiuti radioattivi, in termini di attività, presenti in Italia, si trova qui. La percentuale sale al 96% in un virtuale inventario che comprende rifiuti radioattivi, sorgenti dismesse e combustibile irraggiato (in base ai dati del 2010).

A Bosco Marengo (provincia di Alessandria), a Saluggia (dove è previsto il contestato mega D2) e a Trino (provincia di Vercelli) sono già stati autorizzati, oppure sono in avanzato corso di autorizzazione, nuovi depositi nucleari (temporanei). 

Finora il problema dell’individuazione del sito italiano è stato rimandato. Secondo una direttiva europea, entro il 2015 i Paesi membri dovranno scegliere i luoghi per i depositi definitivi. Negli ultimi anni sono spuntate quasi clandestinamente liste e mappe di siti idonei. Si diceva che Emilia-Romagna e Basilicata fossero in pole position. Recentemente, rispondendo a un’interrogazione della deputata radicale Elisabetta Zamparutti, il sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, ha confermato la presenza di uno studio della Sogin, ma come documento “preliminare” svolto d’ufficio dalla società e non divulgato: «In carenza dei presupposti normativi, non potrà avere certamente seguiti procedimentali», si è trattato solo di «un apprezzabile impegno del soggetto gestore sulla strada della individuazione non ulteriormente procrastinabile del sito dove realizzare il parco tecnologico (con annesso deposito, ndr)».

A marzo, sul tema, il ministro Corrado Passera aveva ipotizzato che «una prima proposta di mappa da Sogin» sarebbe potuta arrivare «entro i primi mesi del 2013» e che «gli investimenti per il parco tecnologico» ammonterebbero «a 2,5 miliardi di euro».
Nella centrale Enrico Fermi – divenuta nel 1999 proprietà della Sogin – negli ultimi 15 anni è stato smantellato il 40% degli impianti. Sono state demolite le torri di raffreddamento, abbattuta la torre meteorologica, decontaminati i generatori di vapore, smantellati gli edifici che ospitavano i generatori diesel d’emergenza, rimossa la traversa sul Po, necessaria a garantire l’approvvigionamento idrico, smontati i componenti dell’edificio turbina. Il paesaggio in parte è cambiato. E ancora cambierà.

Trino, nonostante le due alluvioni, 1994 e 2000, che l’hanno duramente provata (ridotta la popolazione di quasi mille unità, 7.500 abitanti), è rimasta se stessa: caparbia. Prova a reagire anche se il nucleare da manna (negli anni ’60) è diventata una mannaia. In Comune, dopo la caduta della giunta di centrodestra (sindaco Marco Felisati, eletto nel 2009), siede da qualche mese un commissario, Raffaella Attianese. In questi giorni è in vacanza. È rimasto solo qualche impiegato, che subito si irrigidisce appena si nomina l’argomento atomico. D’altronde, il tema rimane scottante: il decreto di disattivazione della centrale non è ancora stato pubblicato sull’albo pretorio online. Quello che prevede il “prato verde”, che qualcuno immagina come un pioppeto lungo il fiume.

«Sembra – sottolineano i dirigenti locali del Pd insieme ai parlamentari Luigi Bobba e Roberto Della Seta – di trovarsi davanti a un’operazione volta a risolvere per sempre il problema dell’eredità nucleare per il nostro territorio. Purtroppo così non è. Chiediamo prima il deposito nazionale e poi lo smantellamento. Un processo così delicato non può realizzarsi senza il coinvolgimento e la piena informazione dei cittadini e degli enti locali. Sogin non pensi di comportarsi come sta facendo a Saluggia, dove costruisce il deposito D2 mai sottoposto a valutazione di impatto ambientale, malgrado sia destinato a ospitare rifiuti radioattivi a elevata intensità». 

I tempi del nucleare sono lunghi, lunghissimi. È innegabile, al di là delle posizioni contrapposte, che rimanga un problema annoso. Secolare? Le barre di combustibile irraggiato sono partite da Caorso, Saluggia e Trino in direzione La Hague, Francia, per il riprocessamento, ma torneranno in Italia nel 2025. E faranno, probabilmente, ancora discutere.