Viene dalle Alpi l’uomo che insegna agli afghani a sciare

Viene dalle Alpi l’uomo che insegna agli afghani a sciare

Immagina un ligure che più ligure non si può, uno che da ragazzo di notte andava alla lampara per la pesca delle acciughe, e poi al mattino andava al liceo. Uno che ha vissuto tra Sestri Levante e Vernazza. Ritrovalo poi in Val d’Aosta, diventato guida alpina, uomo piccolo e duro, con le mani nervose fatte per tirar su pesci e rocce, biondo e occhi azzurri alla valdostana, uno che ha preso le valanghe e un seracco sul Grand Combin. Uno che la montagna l’ha frequentata con Antonio Carrel, ex sindaco di Cervinia e già presidente mondiale delle Guide alpine. Uno che ha aperto la via delle falesie sul mare di Riva con Ottavio Bastrenta, il notaio valdostano sposato con una ligure che negli anni ’70 pagava dei ragazzi per andare in giro nella Vallée con dei manifestini in cui era scritto di non vendere le case e i pascoli ai turisti perché «‘E palanche e sun de pape’ ma a terra a l’è d’ou» (Il denaro è di carta mentre la terra è d’oro).

Ferdinando Rollando è il nome di questo ossimoro di pescatore dei monti che un paio di anni fa è andato ancora più in là, con un’idea finita sulle pagine del Wall Street Journal e su Onu Channel: è andato in Afganistan per piantare su quei monti il seme della cultura di montagna. Ha creato dal nulla una micro-stazione sciistica, dove quest’anno sono arrivati i primi turisti, da Kabul ma anche dall’Australia. La sua associazione si chiama Alpistan, è stata lodata da mezzo mondo, finanziata dalla fondazione dell’Aga Khan e da donatori italiani.

La radiotelevisione svizzera realizzerà un reportage sul prossimo viaggio di Rollando nella Terra di Mezzo afgana. Alpistan può contribuire a rovesciare l’infinita Apocalisse fatta di taliban, di una guerra trentennale, di traffici di armi e oppio? L’idea va al di là dell’azione della politica dei governi e di molte Ong che vanno lì per «aiutare», ma senza creare lavoro e soluzioni stabili. Di conseguenza è lo stesso governo italiano che sta seguendo con interesse diretto l’evoluzione di Alpistan.

Il risultato è piccolo ma concreto: un giovane montanaro che ora – oltre a vacche e capre – sulla montagna porta anche gli sciatori. La modernità non corre soltanto sulle ali del gossip, del pop, dell’informatica. Lo sport e la cultura di montagna smuoveranno l’immobilismo dei maomettani afgani?

Un anno fa il WSJ riferiva della seconda Afghan Ski Challenge di Hoh-e-Baba, nella provincia di Bamiyan, dove una decina di sciatori afgani si sono sfidati scendendo giù dalla montagna. Persino l’Afganistan non è tutto fatto di taliban, pashtun e trafficanti.

Anzi «I taliban sulle montagne praticamente non esistono – dice Rollando – Esiste piuttosto una sudditanza/rassegnazione all’economia di guerra. È come se in Italia la Seconda Guerra mondiale fosse finita nel 1970: ovvio che tutti lavorano per la guerra, come interpreti e autisti per le truppe Nato. Gli stessi contadini e artigiani. Non si sviluppa nulla che esuli dal mondo delle divise occidentali e dei Kalashnikov tribali o fondamentalisti. Noi vogliamo far capire che le montagne afgane non devono essere abbandonate, ma possono produrre turismo e ricchezza». Adesso Rollando sta per ripartire, accompagnato dal figlio di 18 anni che studia economia a Londra.

La nuova missione svilupperà il lavoro già avviato lo scorso anno, quando erano stati fatti dei corsi di sci di fondo per le poliziotte afgane. Obiettivo: combattere la piaga delle valanghe che l’anno scorso hanno ucciso quasi mezzo migliaio di pastori e abitanti dei villaggi più esposti (Mission avalanche).

Il capo della Protezione civile afgana ha capito che si può e si deve lavorare sulla prevenzione delle valanghe, e ha conferito un incarico ad Alpistan, col placet dell’Onu. Ad ottobre arriverà in supporto anche un responsabile della Protezione Civile del Trentino. La prossima primavera Rollando incontrerà gli esponenti del governo afgano, dopo aver compiuto una traversata di tutte le catene montuose afgane, seguito (per un tratto) da una troupe della televisione svizzera. Oltre a capire dove e come colpiscono le valanghe che distruggono interi villaggi, Alpistan ha un secondo obiettivo: portare la medicina sulle montagne (le Ong finora hanno creato solo ospedali da campo vicini alle principali città). Alpistan cercherà di coinvolgere in questo secondo obiettivo Emergency, che in Afganistan è in smobilitazione (preferendo puntare sul centro cardiologico in Sudan).

L’Afganistan visto così è diverso da quello anti-agiografico e volutamente s-patinato, dipinto da un cattivo giornalismo. Sulle montagne vi è gente ospitale e pacifica, di cui ora si comincia ad avere la percezione anche nello Chateau di Kabul, «Il Castello» dove vivono tutti i giornalisti occidentali, e dove, quando passa per Kabul, Rollando ha sempre un letto libero e opinioni da scambiare con Qais Azimy di Al Jazira o con Dion Nissenbaum del WSJ.

Chiedo a Rollando se è vero che uno dei principali – e inavvertiti – attori del caos afgano è la Cina. (la Cina è forse una delle cause dell’intervento di Bush a Kabul). Risposta: «La Cina fa attenzione a non farsi notare troppo, ma ha di fatto il 50% delle ricchissime concessioni minerarie afgane, a partire dal rame».

L’Afganistan ha bisogno di denaro fresco, e la Cina è la sola a poterne offrire in quantità. «Ma la partita vera si gioca sulle Terre rare. Se la Cina (primo produttore mondiale) si impadronirà anche dei 3000 miliardi di Terre rare nascosti nel bacino del fiume Helmand, addio Nasa, addio Apple. Sui giacimenti di ferro adesso a Kabul stanno cercando di vincere le compagnie minerarie indiane e canadesi, ma i cinesi hanno promesso la costruzione di ferrovie chiavi in mano, e questo è un argomento molto convincente».

Il Tajikistan è sempre lo sbocco naturale dei traffici di armi e droga, e non piuttosto anche l’Iran? «Finora non sono andato nella zona del confine iraniano, ma certo verso le aree tagike si è consolidato un corridoio dell’illegalità. Va detto che buona parte dei traffici proviene dal Pakistan». 

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