La casta dei sindacalisti che comanda in Banca d’Italia

La casta dei sindacalisti che comanda in Banca d’Italia

In Banca d’Italia il mandato a vita per il governatore non c’è più. Cancellato dalla riforma del 2005. Di incarichi a vita, però, ne sopravvivono ancora: quelli dei sindacalisti interni. I governatori passano, ma loro restano al loro posto. Per quarant’anni o quasi, anche da pensionati. C’è chi era già sulla breccia ai tempi di Guido Carli, e di banchieri centrali ne ha visti passare tanti: Baffi, Ciampi, Fazio, Draghi e, ora, Ignazio Visco.

Il Leone di Via Nazionale. Luigi Leone è indubbiamente il campione della longevità sindacale. Entrato in Via Nazionale nel 1970, è stato prima il leader interno della Fabi e poi, nel 1995, se ne è staccato per fondare la Falbi, un sindacato pensato appositamente per i lavoratori e i pensionati della Banca d’Italia. Oggi Leone è in pensione ma non molla: sempre riconfermato. Da quasi quarant’anni le questioni sindacali, e anche non poche questioni di potere, sono il suo pane quotidiano. Lui non si scompone: «Evidentemente la gestione che ho portato avanti è stata gradita», è la sua risposta a Linkiesta. Nel tempo, la Falbi ha scalzato la storica leadership della Fisac-Cgil, che un tempo raccoglieva circa l’80% degli iscritti, ed è diventato il sindacato più rappresentativo della banca centrale italiana, con diramazioni anche in altre autorità di vigilanza (Consob, Agcom, Autorità per l’energia).

Dinosauri sindacali. Massimo Dary, segretario del Sibc-Cisal, è coetaneo di Leone, e suo alleato. Sindacalista da tempo immemorabile, Dary è anche lui pensionato. «Però a novembre avremo un congresso che eleggerà un nuovo segretario responsabile scelto fra i dipendenti in servizio», si affretta a precisare Alberto Antonetti, membro della segreteria nazionale del Sibc. A capo della rappresentanza della Fabi, invece, c’è Angelo Maranesi, classe 1951, subentrato a Leone dopo la scissione di metà anni ’90, e da allora sempre in carica. La longevità sindacale fa premio anche nelle altre sigle: dall’ultrasettantenne Ugo Onelli (Fisac) al coordinatore della rappresentanza Fiba-Cisl Gianni Romoli. Capita anche che il capo del sindacato dei dirigenti Stefano Barra (Sindirettivo-Cida) sia il marito di uno delle dirigenti di un sindacato concorrente Antonella De Sanctis, oggi nella segreteria nazionale della Fiba-Cisl Banca d’Italia ma fino a due anni fa dirigente del Sibc-Cisal.

Ricambio difficile. «È vero che ci sono molti sindacalisti in là con gli anni – chiosa Antonetti – ma è pure vero che sono rappresentativi di una base sindacale, e comunque il ricambio non è facile, perché oggi sono sempre meno i giovani disponibili a svolgere attività nel sindacato». Il caso della Falbi è emblematico: a fronte di 1.851 iscritti in servizio, i pensionati sono il doppio. Per le altre sigle non è molto diverso. Il livello di sindacalizzazione resta comunque alto: su 7.040 addetti, che a Bankitalia costano in media 110mila euro l’anno, il 70% è iscritto a un sindacato. La Falbi di Leone è di gran lunga il primo sindacato, seguita dalla Fisac-Cgil con 1.020 iscritti e dal sindacato dei dirigenti Sindirettivo-Cida con 703 iscritti [i dati sono aggiornati a fine agosto 2012]. Più a distanza, c’è il Sibc-Cisal (382 iscritti) e poi la Fabi (il sindacato autonomo dei bancari) e la Fiba-Cisl, entrambe a 318 iscritti. Il mosaico sindacale di Via Nazionale è completato la Uilca-Uil (170 iscritti) e dal Dasbi (172), un sindacato molto radicato nell’area studi di Via Nazionale, la stessa da dove proviene il governatore Visco. Proprio ieri pomeriggio, peraltro,  il governatore e il direttore generale Fabrizio Saccomanni hanno incontrato i segretari generali dei sindacati del credito Agostino Megale (Fisac Cgil), Lando Sileoni (Fabi), Giuseppe Gallo (Fiba Cisl), Massimo Masi (Uilca Uila) «per fare il punto sugli scenari e la situazione del settore del credito nel nostro paese».

Trampolino di lancio. Il Sindirettivo-Cida è forse l’unica sigla dove i vertici vengono periodicamente rinnovati. «Nessuno dei vertici del nostro sindacato è un “sindacalista di professione”, i nostri organi sono composti da persone che svolgono l’attività sindacale con passione e con impegno, ma che ogni giorno vanno al lavoro timbrando il cartellino», si legge in una relazione di Barra al consiglio direttivo del Cida, lo scorso 4 giugno. «È proprio per questo che conosciamo bene quali distorsioni vi siano oggi nell’attuale sistema delle carriere». Ma i critici fanno notare che dopo l’esperienza sindacale i dirigenti del Cida «vanno ad occupare posizioni di rilievo nella struttura dell’istituto». Se da un lato ci sono insomma, «pensionati confermati sulla propria poltrona da ere geologiche» – è lo scambio di accuse – dall’altra si usa il sindacato come trampolino di lancio per arrivare a cariche di prestigio. In Banca d’Italia i dipendenti avviati alla carriera direttiva sono 2.070, il 30% del totale. «Troppi generali e pochi soldati», critica Leone.

Otto sigle, due schieramenti, molte gelosie. La Falbi e i suoi alleati Sibc-Cisal e Uil coagulano quasi il 60% degli impiegati sindacalizzati, e il 48% del totale. A questo blocco, si contrappongono le altre cinque sigle, che stando alla vulgata che circola in Bankitalia trovano orecchie più attente ai piani alti della banca. Fra i due fronti non mancano occasioni di polemiche accese in un momento in cui i vertici di Via Nazionale sono impegnati a efficientare la struttura e puntano a ridurre il personale anche tramite il collocamento a riposo d’ufficio, mentre il negoziato sul contratto aziendale resta fermo.

Trasferimenti a  peso d’oro. Ad avvelenare gli animi, c’è poi la questione delle “vacancy”, i posti vacanti nelle varie sedi che vengono coperti con trasferimenti interni. L’esponente di un sindacato nazionale che chiede di mantenere l’anonimato la spiega così: «Per coprire dei posti vacanti, viene spostato un dirigente dalla filiale A alla filiale B ed accontentare il sindacato x, ma a questo punto la filiale A ha carenza di organico, quindi si riutilizza il sistema della vacancy spostando personale dalla filiale C alla filiale A, e si accontenta un altro sindacato». Il trattamento di trasferimento vale circa 100mila euro l’anno. «Il punto è che i criteri decisionali non sono chiari», osserva la fonte. Comprensibile che queste scelte provochino gelosie e rivalità, soprattutto alla luce del blocco triennale degli stipendi di tutto il personale. «Se molti hanno l’impressione che nella gestione dei trasferimenti vengano accontentati alcuni sindacati, è perché manca la trasparenza necessaria. Sarebbe tutto più semplice se la banca rendesse nota la pianta organica delle diverse realtà, e i criteri con i quali sceglie fra le domande di trasferimento di Tizio e di Caio. Ci vuole tanto?», conclude Antonetti.

Twitter: @lorenzodilena

(aggiornato alle 17.30)

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter