Non solo Fiorito, il Lazio fa i conti con la maxitruffa nella sanità

Non solo Fiorito, il Lazio fa i conti con la maxitruffa nella sanità

Nei giorni in cui gran parte del ceto politico del Lazio rischia di essere travolto per gli sprechi e l’uso arbitrario e privatistico dei fondi pubblici destinati ai gruppi consiliari, una storia emblematica di furto delle risorse comuni arriva dalle aule di giustizia. La sesta Sezione dibattimentale del Tribunale penale di Roma, infatti, ha celebrato l’ennesima udienza del processo per una colossale truffa a danno della sanità regionale, con capi di imputazione che coinvolgono anche l’associazione a delinquere e il falso, la tentata estorsione e il riciclaggio. Si tratta in realtà di uno dei capitoli giudiziari scaturiti dalle indagini della Procura capitolina e delle forze dell’ordine risalenti a oltre sette anni fa e che hanno gettato luce su un’operazione fraudolenta del valore economico di centinaia di migliaia di euro.

L’ipotesi accusatoria al centro del dibattimento cerca di ricostruire i contorni di un sodalizio criminoso e un meccanismo truffaldino dai tratti sofisticati e complessi, che avrebbe fruttato diverse decine di migliaia di euro. Sulla base delle formulazioni dei magistrati inquirenti, a concepire e mettere in atto un progetto finalizzato ad appropriarsi illegittimamente dei fondi destinati alla salute sarebbero stati il direttore amministrativo della Asl di Roma C Mario Celotto, il funzionario nonché suo collaboratore Paolo Ippopotami e il fratello Enrico, la ex collaboratrice della società che gestisce le procedure informatiche dell’azienda sanitaria Tiziana Garrioli, e Salvatore Tassone, che con altri avrebbe riciclato il denaro sottratto in attività commerciali, soprattutto autosaloni. Principale imputato del filone processuale all’esame del collegio giudicante è Enrico Ippopotami, personaggio chiave, secondo la tesi del pm, per ricostruire i passaggi e i tasselli fondamentali di uno degli scandali più rilevanti che hanno colpito la Regione negli ultimi tempi. 

Tutto sarebbe nato all’interno dell’unità sanitaria locale, dove dirigente e funzionari incriminati avrebbero articolato un piano ingegnoso. Mentre nei documenti della contabilità cartacea i pagamenti della Asl a favore delle società fornitrici di servizi e prestazioni erano regolarmente saldati e registrati, nella banca dati informatica apparivano ancora aperti. E quelle spese, anziché essere orientate direttamente alle imprese formalmente beneficiarie, venivano dirottate verso soggetti e gruppi che vantavano una delega a riscuotere le somme dovute. Una sorta di “mediatori” che quindi entravano in possesso di enormi flussi finanziari e di cui le società creditrici pulite, che avevano già ottenuto il loro compenso, non erano a conoscenza. Grazie alla falsificazione contabile interna all’azienda sanitaria locale e alla divaricazione tra bilanci su carta e i conti in forma telematica, il denaro pubblico usciva dalle casse regionali per essere convogliato verso i beneficiari effettivi. A incamerare simili risorse erano gruppi e società che, secondo l’ipotesi accusatoria, facevano capo, fra gli altri, a Enrico Ippopotami, fratello di uno dei presunti cervelli dell’operazione fraudolenta. In tal modo, gli ideatori della truffa avrebbero riversato il denaro sul conto di società che indirettamente li vedevano coinvolti. A conforto delle proprie tesi, i magistrati della Procura mostrano in particolare un bonifico di pagamento per 57mila euro compiuto dall’azienda sanitaria capitolina a una srl, nel cui retro sono scritte diverse iniziali con accanto una ripartizione delle cifre incassate. Le lettere segnate sembrano combaciare alla perfezione con i nomi degli imputati. Un elemento che, a giudizio della difesa, costituisce un punto di appoggio assai fragile, destinato a cadere nelle successive udienze. 

Se le ipotesi di truffa e falso rientrano in questa fase, l’imputazione di riciclaggio sembra emergere in forma inquietante e tutta da approfondire nei momenti seguenti. Quando, osserva il pm con il supporto dei riscontri ottenuti dalla polizia investigativa, le risorse illecitamente ricavate vengono reimpiegate in attività economiche di varia natura, dagli autosaloni con officina all’import-export di macchine fino ai centri solarium, quasi tutte ascrivibili a Enrico Ippopotami, che ne risulta in genere l’azionista di riferimento e l’amministratore delegato. A persuadere gli inquirenti della colpevolezza dell’uomo anche in merito al reato di riciclaggio è soprattutto un dato: la straordinaria coincidenza di tempi tra la riscossione del denaro proveniente dalla Asl e i massicci investimenti compiuti dall’imputato nelle sue aziende. Se il quadro disegnato dall’accusa presenta una sua coerenza logica nella ricostruzione del tentativo di truffa contro la sanità regionale, adesso tocca alla difesa dimostrare ai giudici l’estraneità dell’uomo alla trama criminale e smantellare la credibilità di alcune iniziali scritte su un bonifico bancario. Ma per questo è necessario aspettare. Gli interrogatori di testimoni, persone informate dei fatti, imputati per reato connesso come si dice nel lessico giudiziario, sono stati fissati a metà febbraio del 2013.
 

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