BERLINO — Lo ha definito lei stessa «un messaggio politico», non solo un consiglio. «Tutti coloro che troveranno la forza e il coraggio di fare outing devono sapere che vivono in un Paese dove non c’è niente da temere», ha detto Angela Merkel intervenendo nel dibattito apertosi in Germania dopo la confessione di un calciatore della Bundesliga che ha rivelato di sentirsi costretto a nascondere la propria omosessualità. «Vogliamo darvi — ha aggiunto — questo segnale. Non abbiate paura».
Parole forti, pronunciate alla presentazione della «giornata per l’integrazione» in programma questo fine settimana negli stadi tedeschi. Le squadre di calcio toglieranno alle loro maglie i nomi degli sponsor (che, bontà loro, non hanno chiesto indennizzi) e li sostituiranno con uno slogan legato ai temi della fratellanza, in un Paese dove 16 milioni di persone hanno origini straniere. «Il calcio è il motore dell’integrazione», ha sottolineato la cancelliera, che parteciperà all’iniziativa assistendo all’incontro tra Borussia Dortmund e Bayer Leverkusen.
Ma se è vero che il calcio potrebbe servire ad avvicinare le persone e a comprendere le loro diversità, allora è tanto più sconvolgente il racconto di chi ha dovuto constatare il contrario, pagando personalmente un prezzo altissimo. L’anonimo giocatore che si è confidato con Fluter, la rivista dell’agenzia governativa per l’educazione civica, non ha potuto fare a meno di esprimere il proprio pessimismo e la propria amarezza. «Sono costretto a recitare giorno dopo giorno. Se la mia sessualità diventasse pubblica non sarei al sicuro e la mia vita sarebbe sconvolta».
Anche l’invito a fare outing già lanciato qualche tempo dall’ex presidente della Federcalcio, Theo Zwanziger, non ha prodotto a suo giudizio nessun risultato. È facile parlare, ha osservato, per chi non deve scendere in campo tutte le settimane ed è inimmaginabile riuscire a convincere i tifosi che «i gay sono uomini assolutamente normali». «L’unica alternativa — ha proseguito — è limitare la mia sfera privata e mentire a me stesso».
Che la tolleranza non sia il valore dominante della mentalità dei tifosi lo si era potuto constatare anche qualche giorno fa quando gruppi di fanatici hanno aggredito e minacciato il centrocampista del Colonia Kevin Pezzoni, di origini italiane, accusato di scarso rendimento. Ma l’intervista del giocatore senza volto, che non sa se riuscirà a sopportare a lungo «questa continua tensione», aggiunge forti elementi di preoccupazione, in un Paese peraltro dove il ministro degli Esteri Guido Westerwelle e il sindaco di Berlino Klaus Wowereit hanno spesso al fianco i loro partner. È quello del calcio un mondo a parte? Cosa si può fare per cambiarlo? Ieri ci ha provato Angela Merkel.