Il Consiglio regionale del Lazio ha appena votato l’ultima sforbiciata della giornata, dimezzando il numero delle commissioni ordinarie. Il verde Angelo Bonelli scuote la testa. «È finita in maniera drammatica. A tarallucci e vino». Le dimissioni di Renata Polverini sono già un lontano ricordo. Arrivata alla Pisana con tre ore di ritardo – nell’agenda istituzionale c’era prima l’inaugurazione del nuovo reparto geriatrico in un ospedale della Capitale – l’ex sindacalista è pronta a rimanere al suo posto fino a fine legislatura. Altri due anni e mezzo. «Ve la sentite di andare avanti? – si rivolge alla fine del suo breve discorso ai 69 consiglieri presenti in Aula – Io me la sento». La brutta vicenda dello scandalo laziale sembra chiudersi così.
Basta una mattinata al Consiglio regionale del Lazio per rivalutare il Parlamento. Altro che Montecitorio. Alla Pisana la distanza tra eletti e cittadini è palpabile. La sala consiliare, ad esempio. Si può assistere ai lavori solo dietro a una grande vetrata. Lo chiamano l’acquario, l’impressione è quella di una gabbia. Sembra di stare allo zoo. La buvette della Camera in confronto è cara. Al bar per dipendenti e consiglieri è possibile fare colazione quasi gratis. Il caffè costa 45 centesimi, il cappuccino 60. Meno di un euro per un succo di frutta. Stessa cifra per un tramezzino. «Però almeno scriva – si lamenta una dirigente del Consiglio – che il caffè qui fa schifo».
Al piano inferiore c’è la buvette vera e propria. Vicino al piccolo Transatlantico. A differenza di Montecitorio, però, qui l’accesso è consentito solo ai consiglieri e agli assessori. Questione di privacy, dicono. «Si può entrare solo con autorizzazione espressa del presidente del Consiglio». Alla faccia del palazzo di vetro che tanti decantano. Poco distante dall’ingresso, un lungo corridoio porta ai gruppi consiliari. Per evitare scocciature, questa mattina un paio di addetti alla sicurezza sorvegliano anche quest’area. Hanno il compito di fermare tutti giornalisti.
Eppure, quella della Regione Lazio è una casta meno appariscente. Alle pareti dei corridoi del Palazzo non ci sono dipinti antichi, nessun busto di marmo dei padri della Patria. L’atmosfera è più spartana: un misto tra la corsia di un ospedale e l’ufficio anagrafe. Non solo. Per entrare in Consiglio regionale non c’è alcun dress-code. Nessuna giacca e cravatta. Così molti, approfittando della calda giornata romana, passeggiano per le sale in maglietta a maniche corte.
Fuori non ci sono sampietrini, obelischi, palazzi antichi. Tutto intorno, solo campagna. Un palazzone costruito a fine anni Sessanta nel quadrante ovest della città, un paio di chilometri fuori dal raccordo anulare. L’ambientazione è quasi surreale. Davanti all’ingresso principale c’è un casolare diroccato. Dietro al cancello, un mondo nascosto. Un’oasi nel deserto. Alle spalle degli agenti di vigilanza privata sorge una piccola città. Prati all’inglese, fiori, alberi. È qui che Batman Fioroni distribuiva centinaia di migliaia di euro ai colleghi. Vicino all’entrata, un parcheggio riservato ai consiglieri. Data l’aria che tira, questa mattina molti hanno scelto un profilo basso. Tra le auto in sosta solo pochi Suv e una decappottabile. Tante utilitarie. Qualcuno ha lasciato persino una vespa rossa.
A pochi passi dal parcheggio, l’ingresso del Palazzo. Già dalla mattina c’è una ressa di giornalisti e operatori video. Non potrebbe essere altrimenti. Oggi è il grande giorno di Renata Polverini. La svolta, forse, della legislatura. La fila davanti allo sportello degli accrediti ricorda il botteghino di un cinema di sabato pomeriggio. In poco tempo i tre addetti alla distribuzione dei pass vanno nel panico. L’arroganza di qualcuno si adatta perfettamente al luogo. «Non mi fa entrare? Vuole che chiami l’assessore?».
I primi a farsi vedere sono Francesco Battistoni e Chiara Colosimo. Lui si è appena dimesso dall’incarico di capogruppo del Pdl. Su pressioni, sembra, della governatrice. Lei, ventisei anni, è stata appena eletta al suo posto. I problemi del partito a vedere loro non esistono. Sorridenti incontrano la stampa. In un attimo di riservatezza Battistoni racconta della sua visita di ieri sera a Palazzo Grazioli, dove ha deciso di fare un passo indietro. «Sì, ho incontrato il presidente. Abbiamo parlato del più e del meno. Ha molto apprezzato il mio gesto». Qualche maligno sostiene che come ricompensa possa presto diventare il sindaco di Viterbo. «Ma no – ride – non credo».
Chiara Colosimo è il nuovo volto del Pdl laziale. Giovane, in jeans e giacca rosa, sorride a tutti. Qualche tempo fa era finita al centro delle polemiche per aver proposto la rottamazione di Fabrizio Cicchitto. Oggi si gode la vittoria. «Sarò la paladina anti-casta» annuncia. Più tardi, prendendo la parola in Aula, darà la sua versione degli scandali di questi giorni, con una poco apprezzata citazione del filosofo britannico Edmund Burke. «Affinché il male avanzi basta che i buoni rinuncino all’azione». In sala stampa quasi nessuno capisce. Per trascrivere la frase bisogna ricorrere alle registrazioni.
Non tutti i consiglieri hanno la stessa disponibilità di Chiara Colosimo. Molti sono preoccupati, guardano i giornalisti con terrore. Le indiscrezioni giornalistiche di questi giorni li hanno impauriti. Non sono abituati alle luci della ribalta. Prima di entrare in Aula Isabella Rauti si affaccia per sbaglio nella sala dove sostano i cronisti. «No, no» l’avverte l’assistente. Poco dopo arriva l’assessore alle Attività produttive Pietro Di Paolo. «Più tardi possiamo portarla per una diretta tv?» Gli chiede con cortesia una giornalista. «Assolutamente no» dice lui senza fermarsi. La più nervosa è la giovane presidente della commissione Cultura Veronica Cappellaro (finita nelle cronache di questi giorni per il presunto book fotografico costato alle casse regionali oltre mille euro). Nel pomeriggio, avvicinata da alcuni giornalisti prima di lasciare la Pisana, la consigliera sbotta. «Basta, è così da una settimana. Mi aspettano sotto casa, mi citofonano alle dieci di sera. Io non ce la faccio più». Alcuni addetti alla sicurezza intervengono e la proteggono in attesa che arrivi l’auto. Poi in due la scortano fino alla vettura.
«Un casino del genere io non l’ho mai visto» se la ride Fabio Nobile, consigliere della Federazione della sinistra. Puntuale, in tarda mattinata inizia la seduta. La dichiarazione del presidente Mario Abbruzzese è un bollettino di guerra. Come chiesto da Renata Polverini oggi sarà dimezzato il numero delle commissioni ordinarie. E saranno eliminate le tre commissioni speciali. Martedì scorso, intanto, l’Ufficio di presidenza ha già tagliato del 50 per cento i fondi previsti per curare il rapporto eletto-elettore (circa 2mila euro in meno per consigliere). Azzerati i contributi per l’attività dei gruppi, revocate tutte le autoblu del Consiglio, eliminate tutte le consulenze. Lunedì prossimo saranno cancellati i monogruppi. È il prezzo da pagare per proseguire la legislatura.
E poi c’è la riduzione dei consiglieri (da 70 a 50) e dei membri della giunta (da 16 a 10). Qui la procedura è più complicata. Per modificare lo Statuto servirà un doppio voto dell’Aula. In totale la Regione risparmierà 20 milioni di euro già quest’anno. Altri 28 per ciascuno dei prossimi due anni.
Intanto la governatrice non si vede. Passano le ore, consiglieri e giornalisti si allarmano. Vuoi vedere che alla fine si dimette per davvero? Dopo poco è la portavoce a rassicurare tutti. «Il presidente sta per arrivare, era impegnata». Chi non si vede affatto è er Batman. Franco Fiorito. Qualcuno è riuscito a parlarci e spiega che l’ex capogruppo passerà la giornata senza uscire di casa. In Aula, nel frattempo, gli interventi dei consiglieri si assomigliano un po’ tutti. Ognuno si affanna a prendere le distanze dall’accaduto. «Non siamo tutti uguali», chiariscono in molti. Ovviamente sono tutti entusiasti dei tagli. Una sforbiciata messa in atto «con responsabilità e decisione – spiega con enfasi il vicepresidente della Regione Luciano Ciocchetti – Anche se forse con qualche ritardo». Forse. Al momento del voto scatta il plebiscito. Su sessantanove votanti, sessantanove favorevoli.
Renata Polverini prende la parola nel pomeriggio, dopo essere entrata da un ingresso secondario per sviare le decine di giornalisti che la aspettano. È il momento del buonismo e del riscatto. «Ringrazio tutti per il sostegno emotivo e psicologico». La governatrice è soddisfatta dei tagli già messi in atto dai consiglieri. Apprezza il lavoro di maggioranza e opposizione. «Dobbiamo uscire da quest’aula con un voto unanime». Tanti progetti per il futuro. «Quello che facciamo oggi non può essere che il primo passo». L’ex sindacalista ha già in mente le prossime novità. Dalla fine di ottobre è pronta una nuova rivoluzione virtuosa. Dimezzamento delle Asl, soppressione delle comunità montane. Bisogna dimostrare «nella consapevolezza di aver procurato un danno, anche solo di immagine, di essere in grado di reagire. Se voi ve la sentite. Io me la sento».
Tutti contenti. O quasi. A fine seduta i consiglieri di opposizione raccolgono le firme per una mozione di sfiducia alla presidente. Il documento sarà votato entro quindici giorni. «Lo abbiamo presentato solo oggi – spiega il capogruppo Pd Montino – perché non volevamo compromettere i tagli. Ma se sarà approvato, il Consiglio si scioglierà automaticamente».